new post sommelier AIS Staff Writer Non c’è dubbio, questa professionalità ci appartiene. È dal 1965 che combattiamo per affermarne il valore. Un valore costruito sullo studio, sulla pratica quotidiana, sul confronto, sulla condivisione, sulla ricerca, sulla continua formazione e sul progressivo aggiornamento. Tutto ciò si trasforma anche nel valore del racconto del vino, e poco importa se l’ambiente è la sala di un ristorante, il palco di una conferenza, l’aula di una scuola, il bancone di un wineshop, le pagine di una rivista o quelle del web, una zoom conference o quattro amici al bar. Il Sommelier deve possedere duttilità; solo con quelle elastiche competenze potrà ritagliarsi più spazi e occasioni di occupazione in questo nuovo pianeta dell’effimero materiale che vogliono chiamare smart e abbinarlo a working, quando la parola smart ha un significato distante da ciò che si traduce in italiano, perché indica una funzionalità che agisce in modo intelligentemente agile. Giusto per non far polemica, come Sommelier l’accettiamo, basta che non si arrivi a “smart wine”, “smart tasting”, “smart schooling”. Il tema dell’essere oggi Sommelier non è separabile dalle affermazioni precedenti, e quello che appariva un controsenso sta per diventare un senso unico da percorrere velocemente. Il Sommelier è stato spinto a mutare la sua indole enoica con l’avvento della pandemia, e non ci si riferisce solo al contesto italiano. Molti Sommelier hanno visto svanire la loro occupazione nei ristoranti per le chiusure anche post Covid, quelli che operavano negli hotel di lusso non hanno nemmeno avuto l’occasione di rientrare per un giorno, i conferenzieri del vino e gli organizzatori di eventi stanno ancora girandosi i pollici. Il Sommelier non si è dato per vinto: in molte nazioni occidentali si sono adattati a prestare consulenze nella grande distribuzione, per suggerire ai clienti i vini per i loro pasti domestici, altri si sono messi al servizio delle vendite online con chat di consulenze per i naviganti; in molti, Italia inclusa, hanno sfoggiato la loro competenza con racconti e degustazioni su Facebook, Instagram e altro. C’è chi ha programmato micro masterclass, anche a pagamento; infine c’è chi si è indirizzato a tentare la via dell’influencer. Insomma, il mondo del Sommelier non si è fermato, ha fornito prova di un’esuberante dinamicità, forse abbastanza vicina alla duttilità. Tutto questo ci ha fatto riflettere, e non poco. È stata una riflessione che ha generato stimoli formativi innovativi, che ricostruiranno una figura di Sommelier multitasking, duttile nella pratica quotidiana, nella cultura degustativa e nell’approccio con la socialità. Le linee guida della nuova formazione dovranno includere un intervento di pulizia lessicale nel gergo della degustazione del vino, un ampliamento didattico linguistico (si pensi all’inglese) e un’accentuazione della logica degustativa per saldare la terminologia descrittiva a un linguaggio più rigido e quindi più riconosciuto, una formazione social affinché la presenza web sia anche un’occasione per creare economia personale e/o aziendale. Anche l’immagine professionale sarà oggetto di sviluppo nelle diverse modalità operative, ovvero dalla sala di un ristorante al banco di un winebar, dall’accoglienza in un’enoteca alla presentazione di un vino o di una tematica enografica, da svolgersi in presenza e a distanza. Sarà dedicato spazio al racconto scritto del vino, differenziando la formazione verso le esigenze letterarie (il cartaceo), i post sui social o un intervento da blog. È un progetto molto ambizioso e non d’immediata attivazione nella sua completezza, ma riteniamo che un Sommelier che misceli varie competenze professionali, senza mai prescindere dalla perfetta competenza del vino e del suo abbinamento con il cibo, possa diventare tra qualche anno un’occupazione non solo per chi si avvicina al mondo lavorativo, ma anche per quanti vogliono rigenerarsi perché logori, stanchi o inespressi nell’attività che svolgono. Abbiamo sbirciato il modo di operare delle realtà che agiscono nel nostro ambito, analizzando soprattutto le azioni intraprese all’estero, e ne siamo rimasti confortati, accrescendo addirittura la nostra autostima, il che non vuol dire autolodarsi, bensì prendere coscienza che disponiamo di tutte le risorse umane per portare a compimento i nostri progetti, con l’accresciuta consapevolezza che – e qui usiamo le parole virus-scaramantiche – “andrà tutto bene”. Questa evoluzione non disconoscerà quella che è stata ed è la nostra più limpida rappresentazione di Sommelier, il contatto con il cliente nel ristorante, i suggerimenti, i dialoghi, gli scambi d’opinione e le suggestioni empatiche di un rapporto, ma fornirà elementi di nuova conoscenza per non rischiare un’inadeguatezza rispetto alla velocità dei cambiamenti professionali e occupazionali, perché non si è Sommelier solo quando si lavora. Kilolo Strobert, una Sommelier di Brooklyn, ha detto: “I’m somming all damn day!”. Ed è davvero così, perché i Sommelier siamo noi, i Sommelier siamo AIS.