il vino fra
tempo e memoria

Eleonora Camilli

La mente umana pensa per analogie, e quella fra il vino e la scrittura ne è la riprova. La scrittura richiede un tempo di “decantazione” per fissare il pensiero su un mezzo che le impedisca di svanire; e la frase Verba volant, scripta manent conferma appieno la necessità che le parole sopravvivano e si sottraggano allo scorrere del tempo. Il momento storico presente denuncia a gran voce l’urgenza di interrogarsi, agire e reagire in modo tempestivo, se pure strutturato, a fronte di un ritmo della vita e della produzione scellerato, che sta conducendo il pianeta alla sua involuzione e distruzione. Il sopraggiungere di questa pandemia ci ha imposto di fermarci a riflettere. Mai come ora appare necessario che a un tempo singolare e raddoppiato, come quello attuale, corrisponda un cambio di prospettiva: proprio come la bottiglia di vino che lasciamo riposare in cantina in posizione orizzontale, con la speranza che migliori negli anni.

Non si tratta di trovare necessariamente i lati positivi di questa situazione, ma di vedere “il bene della banalità quotidiana”, per parafrasare all’inverso un noto titolo di Hannah Arendt, ossia la bellezza di ciò che possediamo, che consiste ad esempio nel riappropriarci del tempo per condividere una bottiglia di vino con le persone care.

Oggi il tempo è oggetto di riscoperta da parte di una società umana che sembrava disconoscerne il valore. Eppure esso è stato protagonista indiscusso della cultura e della letteratura del Novecento. A fronte della rottura di inizio secolo sancita dalle avanguardie, che parlavano a “futura memoria”, e in modo particolare dai futuristi, che incalzavano il mito della velocità, della macchina e della guerra, la scrittura si frammenta per rispecchiare il disordine e la complessità del presente, e si dà come strumento per indagare la realtà secondo un nuovo modo di percepire.