‘o per’ ‘e
palummo

Franco De Luca

La Campania è luogo di bellezza e di martirio, di fascino e contrasti e, anche dal punto di vista geologico, di scontri e turbolenze: gli Appennini, scendendo lungo lo stivale, incontrano qui il tormento dei vulcani, che siano essi attivi o spenti, dormienti o remoti. Le altissime colonne di materiale piroclastico che toccavano il cielo e caratterizzavano le eruzioni del Vesuvio erano spinte dalle brezze marine verso levante, distribuendo ceneri e lapilli fino alla Puglia. L’Appennino campano è per questo connotato da terreni molto complessi, in cui si alternano stratificazioni di differenti matrici rocciose, con diversi gradi di permeabilità; ciò ha consentito la formazione di numerosi bacini idrici, a svariate profondità, che diventano riserve eterne di acqua. Di verde in Campania non c’è solo Irpinia; un po’ ovunque la terra è ricca e feconda, col suolo che cambia metro dopo metro. Ne deriva un’ampia varietà ampelografica: sono circa cento i vitigni autoctoni campani, tutti in grado di conferire un preciso profilo ai vini e, per questo, tutti estremamente preziosi.

I fratelli maggiori sono tre: l’austero e vigoroso aglianico, l’energico greco e l’elegante fiano. Danno vita ai vini più celebri della regione, le quattro Docg: il Taurasi, il Greco di Tufo, il Fiano di Avellino e l’Aglianico del Taburno, in rigoroso ordine di apparizione. Due fratellini più piccoli, che stanno spesso insieme, meritano attenzione: la femminuccia, bionda, generosa e affidabile, protettiva e solida, si chiama falanghina; il maschietto è invece dispettoso e monello, amabile ma anche irritante, è il piedirosso.

Il piedirosso non è, tra il centinaio di autoctoni, il vitigno da cui nascono i vini più famosi, ma è senza dubbio tra quelli più interessanti. La sua intrigante imprevedibilità si evince già dalla sua storia: pur coltivato da sempre – potrebbe essere la palombina descritta da Plinio nella Naturalis historia (I sec.) – raramente ha messo piede fuori dalla Campania. L’habitat prediletto è il golfo di Napoli, dove è maggiormente diffuso e dove è chiamato per’ ‘e palummo per il colore che assume il pedicello in piena maturazione, che lo fa assomigliare alle zampette del colombo. Qui esprime il suo carattere maggiormente identificativo, ma biotipi lievemente differenti sono coltivati anche nelle altre province.