cocktail, il mondo in un bicchiere Alessia Cipolla I cocktail sono il centro di un curioso mondo che ruota attorno ai banconi dei migliori bar, non solo di Caracas. Più che un prodotto, sono uno stile di vita, ottimi compagni nei quali annegare i propri dispiaceri, con cui dare brio a un party o brindare a una serata, da soli o in compagnia. Dal loro punto di vista, gli uomini si dividono in due categorie: quelli che ordinano “il solito”, liscio o on the rocks (con ghiaccio) e chi si avventura tra pozioni magiche, sapori inusuali, colori sgargianti e decorazioni esotiche. Pre-dinner, after-dinner o any-time, sono perfetti per tutti i momenti della giornata. Il bartender è spesso un alchimista, iniziatore di tendenze, miscele e stili, ma soprattutto conoscitore dell’animo umano, detentore dei segreti più profondi della varia umanità al bancone, che cura dispensando miscele colorate e, talvolta, buoni consigli. Può essere un classic barman se riproduce fedelmente le ricette dei cocktail del passato, catalogate dall’IBA (International Bartenders Association), il più autorevole organismo nel mondo del bartending, che ha codificato gli ingredienti, le dosi, le guarnizioni, il bicchiere e la tecnica di costruzione dei drink. Oppure può trasformarsi in un vero e proprio mixologist se si dedica al twist on classic, creando varianti della ricetta originale sostituendo gli ingredienti, usando una tecnica diversa o inventando ricette particolari, utilizzando magari le acrobazie del flair bartending. La parola cocktail, “coda di gallo”, affonda le radici in molti bicchieri di distillati senza trovare una vera paternità: potrebbe derivare dalla principessa messicana Xoctl, che offrì una bevanda alcolica e colorata ad alcuni soldati europei, pronunciando il proprio nome. O da Betsy Flanagan, proprietaria di un locale dove mesceva drink preparati con whiskey o gin e frutta fresca, dai colori sgargianti come quelli della coda di un gallo. Potrebbe derivare dal francese coquetier, una caraffa a forma di galletto utilizzata per miscelare liquori sui battelli del Mississippi, o dai bicchieri arrotondati serviti a New Orleans, i coquetelle, che ricordavano la forma dell’uovo. Si trovano riferimenti al termine cocktail già all’inizio dell’Ottocento, mentre nel 1862 il leggendario bartender americano Jerry Thomas pubblicò la prima raccolta di ricette nel The Bar-Tender’s Guide (intitolato anche How to Mix Drinks or The Bon-Vivant’s Companion). La popolarità dei cocktail si diffuse durante il Proibizionismo (1919-33), quando il divieto di fabbricare, vendere e importare alcol spinse a creare ricette inedite e varianti per mascherare la pessima qualità dei distillati di contrabbando e del cosiddetto bathtub gin, ottenuto mescolando alcol di cereali a basso costo con acqua, aromi e altri agenti, come il succo di bacche di ginepro e la glicerina. Nacquero gli speakeasies, club nascosti, accessibili tramite parola d’ordine, spesso nel retrobottega di macellerie o negozi di barbiere, ma anche nelle cantine delle abitazioni private, dove bisognava parlare a bassa voce per non farsi scoprire dalla polizia. Le stesse atmosfere sono rimaste nei contemporanei bar Speakeasy ammantati di mistero, con porte nascoste o conosciute da pochi intenditori, ambientazioni soft, luci soffuse, jazz, e naturalmente cocktail di altissimo livello. Con la fine del Proibizionismo fu l’American Bar a riscuotere un enorme successo, prima in America e poi in tutta Europa, come locale dedicato alla vendita di cocktail, spesso all’interno di famosi hotel o casinò, con il tipico banco bar circolare per servire i clienti e con professionisti di fama. Nati da leggende, i cocktail hanno fatto più volte il giro del mondo, arricchendosi di nuove storie, dettagli, ingredienti e sapori. Ispirati a personaggi reali o meno, a luoghi esotici ed evocativi di un modo di essere e di vivere, i loro nomi sono universalmente conosciuti. L’esotico Mojito, arricchito con una specie di menta cubana, pare fosse già in uso tra i marinai del XVII secolo come rimedio contro lo scorbuto. Potrebbe derivare dallo spagnolo mojadito, “umido”, o da mojo, che nella cucina cubana indica un preparato con agrumi utilizzato per marinare, o “incantesimo” nella cultura locale vudù. Agli inizi del Novecento, durante la guerra ispano-americana, quando Cuba ottenne l’indipendenza dalla Spagna, si narra che un militare americano a L’Avana chiese al barman di miscelare Coca-Cola e rum cubano in un bicchiere con ghiaccio, insieme a una spruzzata di lime, gridando: Por Cuba libre! (“Per Cuba libera!”). Il cocktail Americano, conosciuto anche come Milano-Torino per via delle sue origini, si prepara versando direttamente nel bicchiere colmo di ghiaccio il Vermouth rosso e il bitter, soda, una scorza di limone e una fettina d’arancia. Pare sia nato tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento nel Bar Gaspare Campari di Milano o, secondo un’altra versione, in onore del pugile Primo Carnera tornato dai suoi successi in America. Negli anni Venti a Firenze il conte Camillo Negroni si fece modificare dal barman del celebre caffè Casoni un Americano, sostituendo il seltz con un po’ di gin. Il cocktail ebbe un enorme successo e prese il nome dell’elegante conte. Il GodFather, a base di scotch e amaretto di Saronno fu creato, pare, in omaggio ai capi della mafia italo-americana come Al Capone e Jackie D’Amico, frequentatori assidui di locali notturni. Il Bellini, uno dei più noti cocktail italiani, è un mix di Prosecco brut e purea di pesca, ideato all’Harry’s Bar di Venezia nel 1948 da Giuseppe Cipriani: lo chiamò Bellini per l’inaugurazione della mostra dedicata a Giovanni Bellini, ispirato dal colore rosato, simile alla veste di un santo dipinto dal pittore. A inventare lo Spritz furono gli austriaci di stanza in Veneto ai tempi dell’Impero austro-ungarico: allungavano i forti vini locali con dell’acqua frizzante, una sorta di Spritz bianco. Il nome deriverebbe dal tedesco spritzen, “spruzzare”. Quando nel Novecento cominciarono a diffondersi i primi sifoni per il seltz, la ricetta dello Spritz prese forma: fu aggiunto il Select, nato proprio a Venezia negli anni Venti. Originariamente si utilizzavano un vino fermo dei Colli Euganei e il seltz, poi sostituiti dal Prosecco. Il barman francese Fernand Petiot negli anni Sessanta creò la versione definitiva del Bloody Mary, aggiungendo alla base di vodka e succo di pomodoro quattro grosse prese di sale, due di pepe nero, due di pepe di Cayenna e uno strato di salsa Worcester. Il nome deriva dal colore rosso sangue e dalla regina Maria I Tudor, detta la Sanguinaria per le violente persecuzioni perpetrate nei confronti dei protestanti. Il Tequila Sunrise nacque come miscela di tequila, soda, succo di lime e crème de cassis, modificata negli anni Settanta da Bobby Lozoff, barista dell’Hotel Trident di Sausalito, in tequila, succo d’arancia e crème de cassis. Fu subito un successo internazionale grazie anche ai Rolling Stone, che intitolarono il loro tour “Cocaine & Tequila Sunrise”, e dagli Eagles, i quali dedicarono al drink una canzone. I cocktail devono raggiungere il perfetto equilibrio tra struttura, aroma e colore, perché oltre a essere ottimi devono essere bellissimi. Gli ingredienti sono una miscela di più elementi: la base, i distillati, e poi gli aromatizzanti (liquori o creme), i coloranti (cola, tonica, sciroppi, succhi di frutta), i dolcificanti (zucchero, ma anche miele e agave), il ghiaccio se presente (intero, pestato o tritato) e le decorazioni. Secondo il tipo di base possono essere, ad esempio, Sparkling, fatti con spumante o champagne, o Dark drink, con caffè. Classificati secondo la decorazione, possono essere Exotic, se preparati direttamente nel frutto, o di Crusta, con zucchero o sale passati sul bordo del bicchiere inumidito. Neat se versati direttamente dalla bottiglia e serviti senza ghiaccio, o Up e Straight Up se raffreddati con ghiaccio, agitati o mescolati, e versati in un bicchiere da cocktail. Possono essere alcolici o analcolici, molto secchi, secchi, morbidi o dolci; Long drink (con una capacità da 13 a 20 cl e prevalenza di parte analcolica), Medium drink (10-13 cl e parte alcolica prevalente) e Short drink (fino a 7 cl, con sola parte alcolica). Grandi famiglie li accomunano per ingredienti o tecniche: sono Medium e Long drink i Cobbler, fatti con distillato, liquore o spumante, frutta e ghiaccio tritato, serviti con cannuccia e cucchiaino. Vi sono poi i Daisy, i Fizz, leggermente frizzanti, composti da un alcolico, del succo acidulo e soda, nati come variante dei Sour, composti da un alcolico e dal “sour”, un pre-mix a base di succo di limone, acqua e zucchero; i Frozen, con distillato, frutta, spremuta di agrume, zucchero e tanto ghiaccio, o i Rickey. I cocktail Sling (in inglese “fionda”) sono fatti con gin, vermouth dolce, succo di limone, sciroppo semplice, angostura bitter e soda. Il Singapore Sling, il capostipite, contiene Grand Marnier, liquore alla ciliegia, liquore alle erbe, succo di ananas, succo di lime, bitter e soda club. La preparazione dei cocktail non è solo magia, ma anche tecnica e uso di strumenti professionali. Un misurino a forma di doppio imbuto in acciaio (jigger) è utilizzato come dose standard. Lo shaker (“agitatore”) permette di miscelare il ghiaccio e gli altri elementi, ma anche l’ossigenazione degli elementi – attraverso il tipico scuotimento di 10-20 secondi – e l’abbassamento rapido della temperatura. La tecnica è lo shake and strain (shaking). Nello stir and strain (stirring, “mescolato”) gli ingredienti sono versati direttamente nel bicchiere o in un mixing glass (una sorta di grossa pinta con comodo beccuccio) e mescolati con uno stirrer o un cucchiaio da bar, preservando le caratteristiche di ogni elemento. Nel double strain (mixing and straining) gli ingredienti sono prima mescolati in un mixing glass o in uno shaker e poi filtrati attraverso un colino (strainer) nel bicchiere di servizio precedentemente raffreddato. Con il muddler (“pestato”), una sorta di pestello, il ghiaccio e la frutta sono frantumati per dare una consistenza grossolana al ghiaccio e per ottenere la polpa della frutta. Con la tecnica build nella variante layer le diverse consistenze dei liquidi versati nel bicchiere restano visibilmente stratificate. Nei frozen gli ingredienti sono versati in un frullatore, il blender, e lavorati fino a ottenere una consistenza semiliquida o vellutata. Memorabili restano il fascino immortale di Humphrey Bogart e il suo calice di Cocktail Champagne in Casablanca, l’eleganza di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany mentre sorseggia una coppa di White Angel, oppure il Gin Rickey di Jay Gatsby nel The Great Gatsby, o ancora il leggendario Vodka Martini, il preferito dall’agente 007 con licenza d’uccidere. Chi può dimenticare il White Russian bevuto in vestaglia de Il grande Lebowski, e il Cosmopolitan, l’emblema della scintillante New York degli anni Novanta, onnipresente nelle uscite di Carrie Bradshaw e delle sue amiche di Sex and the City? I bicchieri da cocktail, come i calici da vino, definiscono lo stile del locale, ma anche il servizio, la presentazione e la degustazione delle miscele. Rappresentano lo strumento per mescolare gli ingredienti, con la funzione di esaltare la bevanda che contengono. Ogni cocktail deve quindi essere servito all’interno di una specifica tipologia di contenitore. Il è un bicchiere apodo, in vetro spesso e resistente, di facile presa. Ha una forma cilindrica o troncoconica leggermente svasata. tumbler Il fondo è normalmente più spesso, dando un’ottima stabilità. Tre le tipologie: basso, medio e alto tumbler. Ognuno ha un uso specifico, indirizzato alla tipologia di bevanda che deve essere servita e degustata. Il tumbler basso, chiamato anche old fashioned, è il più diffuso, dal design semplice e senza tempo. Ha una capienza dai 18 ai 21 cl e può essere double, con una capienza dai 35 ai 44 cl. È utilizzato per degustare liquori on the rock e Short drink con ghiaccio, cocktail classici e twist. Il tumbler medio, o Collins, prende il nome dal cocktail Tom Collins, ottenuto con l’aggiunta di Old Tom Gin. Grazie alla sua discreta capienza, in questo bicchiere si possono servire Long drink a base di frutta o Medium come Mojito e Caipiriña, con ghiaccio, e cocktail con l’aggiunta di soda. Il tumbler alto è ideale per Long drink con molto ghiaccio; la versione Highball, per bevande in cui la componente analcolica è superiore a quella alcolica, è alto e stretto, con lati diritti o leggermente svasati. I bicchieri Beverage, molto resistenti, sono utilizzati in sostituzione del tumbler alto per cocktail con succhi e molto ghiaccio; Juice o double rock sono più bassi e meno capienti, impiegati per Medium drink o spirits e soda. I Rocks, dal vetro più spesso, sono una variante dei tumbler bassi usati per il servizio di spirits lisci o con ghiaccio. Gli shooter sono utilizzati per la degustazione di distillati senza ghiaccio, gli shot per spirits lisci bevuti in un solo colpo (appunto one shot). La Martini ha una forma conica rovesciata appoggiata su uno stelo, utilizzata per Short drink o cocktail che non superano una determinata quantità. Le forme e i materiali cambiano in base alle esigenze. La coppa Martini è legata al celebre cocktail Dry Martini: forse comparsa nella Londra di inizio Novecento in occasione del primo Martini preparato per John D. Rockefeller dal barman Martini, divenne nota in tutto il mondo dopo l’Esposizione universale di Parigi nel 1925. Nel 1934 nel film L’uomo ombra i due protagonisti Nick e Nora Charles, un detective privato alcolizzato sposato con una ricca ereditiera, portarono al successo una coppa più piccola, detta Nick&Nora. coppa La coppa Champagne è utilizzata per servire gli Sparkling cocktail (che hanno come componente principale spumanti o champagne). Per quest’ultima tipologia, con base di spumanti secchi, si preferiscono le Flûtes. La coppa Asti, dalla forma larga e svasata, riduce lievemente l’effervescenza degli spumanti dolci e permette di espandere tutti gli aromi. La coppa Margarita, dalla tipica forma sinuosa a forma di sombrero a testa in giù, è usata per il Margarita nella versione frozen con il bordo ricoperto di sale. A , è certamente noto lo Snifter, detto anche Napoleon o Brandy Ballon, usato per la degustazione di Cognac o Brandy, con bevante a base larga per permettere una buona ossigenazione del contenuto e bocca convergente per indirizzare gli aromi. Snifter in inglese indica una piccola quantità di alcol all’interno di un recipiente di vetro, “un bicchierino”. stelo corto La Copita, di origine spagnola, è utilizzata essenzialmente per degustare Sherry, Marsala, e spesso per i Sour, come il Daiquiri a base rum e il Whisky Sour. L’Hurricaine ricorda la forma arrotondata e slanciata di una hurricain lamp (lampada da uragano) e si impiega per il cocktail Hurricain, per il servizio dei drink alcolici e analcolici e per i frozen. Un bicchiere in acciaio inossidabile a forma di cono, il Julep Cup, è usato per il classico Mint Julep. Il corpo metallico permette il formarsi di un tipico strato di brina esterna intorno al bicchiere e mantiene bassa la temperatura. Cupper Mug o Mule Mug è invece la tazza di rame utilizzata per la classica preparazione del Moscow Mule a base di vodka.