Una seduzione multisensoriale, intima e senza equivoci. Il cioccolato colpisce passionalmente con la sua aromaticità intensa, la persistenza e quelle peculiarità che avvolgono e spingono verso un mondo fra l’esotico e il mistico, trasformando magicamente il tattile nello spirituale e l’assaggio in effetto sinestetico.
Stretto, anche estremo, è il legame con la sua materia prima: il seme da cui si genera, il vigore e l’eleganza della sua espressività finale. Il cioccolato è figlio del cacao, una degustazione a cinque sensi in cui la mera analisi organolettica può trasportare altrove con l’energia del fantastico.
Il delicato tocco con le dita per valutarne la setosità è antinomico alla forza fisica del machete che recide il frutto, lo snap di rottura della tavoletta fa riecheggiare il colpo del campesino sulla cabosse, l’attento esame visivo di una pralina è affine a quello inflessibile nella verifica delle fave, e il profumo di una tavoletta richiama alla mente i forti odori della foresta equatoriale, mentre il palato è pervaso, fra il vellutato e l’astringente, da quel gusto dolce-amaro, quell’essenza di luoghi lontani in cui il cacao è, prima di tutto, vita.
Sono analogie e contrasti di un mondo in cui non esistono mezze misure, il cioccolato si ama o si respinge, il cacao si coltiva con sudore e a caro prezzo, ma per qualcuno, che sia supervisore territoriale o emissario statale, può essere fonte di reddito più o meno dichiarato, nonché significativo.
Ritenuto oltreoceano il frutto dell’avventura, della fortuna e della magia, la cabosse assume colori variopinti e cangianti dall’ocra al cremisi, dal verde smeraldo al caramello, lasciando ancora dubbi sul definitivo perché scientifico.