Sono trascorsi alcuni secoli da quando, nel 1658, il medico alchimista Franciscus de la Boë Sylvius diede vita a Leida, nei Paesi Bassi, a un distillato officinale a base di ginepro, battezzato Jenever.
Questa primogenitura è ancora dibattuta. Infatti, la produzione di infusi e distillati con il ginepro sembra avere una remota origine italiana, e già nell’XI secolo presso la Scuola Salernitana si studiavano gli effetti di questi elisir nella pratica medica. Certo, il Jenever può essere considerato una sorta di progenitore dell’attuale Gin, ma la ricchezza di essenze vegetali aromatiche della nostra Penisola ha sicuramente agito da volano di ispirazione.
Fu poi il Regno Unito a dare vigore e fama al Gin, grazie a Guglielmo III d’Orange, olandese d’origine, che importò nelle isole britanniche l’uso del Jenever, mentre il florido commercio navale della Compagnia delle Indie permise di arricchirlo con particolari spezie e piante esotiche.
L’adozione da parte dell’Inghilterra di questo distillato, che a metà del Settecento contribuì a creare una significativa crisi sociale per via di un diffuso abuso, ha fatto sì che lo standard produttivo assumesse una connotazione “british” molto profonda, tanto che gli stili classici sono identificati con termini riconducibili alla tradizione inglese: il London Dry Gin, dal carattere secco, balsamico e dall’intensa nota di ginepro; il Plymouth Gin, unica denominazione protetta dall’attuale normativa europea, in cui i sentori freschi esaltano tocchi speziati e agrumati per la presenza di cardamomo, scorze d’arancia e di limone; l’Old Tom Gin, una versione ormai storica caratterizzata dall’aggiunta di sciroppo di zucchero. Nel corso dei secoli i processi produttivi si sono via via standardizzati, sia nell’uso di specifici “botanicals”, variamente dosati nelle ricette, sia nell’applicazione di metodi di distillazione tecnologicamente sempre più raffinati, come il sistema Carter Head, in cui i vapori distillati possono estrarre le essenze su un cestello apposito, senza danneggiarle con il calore diretto, o gli attuali alambicchi discontinui a corrente di vapore, dalla maggiore efficienza estrattiva, o ancora le tecniche sottovuoto con rotavapor per un’estrazione molto selettiva a bassissime temperature. Oggi i master distiller hanno ampliato gli orizzonti, accedendo a nuove essenze per esaltare caratteri specifici e particolari, in virtù di una scelta maggiore e più stimolante di materie prime.