l’acidità
perduta

Francesca Zaccarelli

Il clima sta cambiando, e con esso il vino. A essere maggiormente minacciate sono le produzioni di alta qualità, rese tali da condizioni peculiari riscontrabili solo in determinate microzone. Il terroir è dato dall’interazione tra uomo-vitigno-ambiente, dove per ambiente si intende una miriade di piccole e delicate variabili incluse in un delicatissimo equilibrio: il pedoclima è forse l’aspetto più significativo. Le condizioni legate ai fenomeni atmosferici, all’esposizione solare, alle precipitazioni, agli sbalzi termici tra giorno e notte, alla presenza di determinati insetti e alla composizione del suolo sono parametri decisivi per determinare la qualità del vino. Nemmeno il più esperto dei viticoltori e il vitigno più performante possono sostituirsi all’ambiente.

L’acidità è tra le componenti qualitative più a rischio a causa del cambiamento climatico. Gli acidi organici dell’uva si accumulano nei vacuoli delle cellule, soprattutto in quelli della polpa. La pianta sintetizza naturalmente tre acidi principali: l’acido tartarico e l’acido malico rappresentano quasi il 90 per cento dell’acidità totale del mosto, seguiti da percentuali inferiori di acido citrico. A seconda del clima, delle tecniche vitivinicole e del vitigno stesso, troviamo una presenza ancora minore di un’altra ventina di acidi, tra i quali gli acidi fenolici della serie cinnamica legati all’acido tartarico (caffeil tartarico, p-cumaril tartarico e ferulil tartarico), l’acido ascorbico, l’acido shikimico, acidi sotto forma polimerica (acidi galatturonico, glucuronico) e acidi che provengono dal metabolismo della botrytis cinerea nel caso di uve attaccate da muffa nobile (principalmente gluconico).

Gli acidi hanno soprattutto funzioni biologiche e fisiologiche atte a proteggere e a sostenere lo sviluppo dell’acino-portatore del vinacciolo. Con il progressivo accrescimento del frutto, gli acidi sono man mano consumati, diminuendo notevolmente. Poco prima dell’invaiatura, la quantità di acido tartarico raggiunge facilmente i 15-20 g/l, mentre il malico arriva anche a 25 g/l. A maturazione il loro valore medio rispettivo è di soli 5-10 g/l. All’origine di questa diminuzione vi sono diversi fenomeni, tra i quali la diluizione del succo vacuolare provocata dall’ingrossamento della bacca e la combustione dell’acido malico per provvedere ai fabbisogni energetici dell’acino. Anche le tecnologie vinicole possono influire negativamente sulla quantità di acidi, soprattutto in presenza di eccessivo inerbimento in vigna, impianti poco densi, troppo vigore vegetativo e rese molto alte.

Basilare è poi l’aspetto climatico: più sono elevate le temperature cui è esposta la bacca, più forte è la diminuzione in termini di acidità, che può arrivare anche a dimezzarsi rispetto agli standard negli areali più freddi (nelle zone settentrionali si conservano in media 6 g/l per acido, mentre in aree meridionali più calde e con un’esposizione solare più aggressiva difficilmente a maturazione si mantengono più di 3 g/l di tartarico e 2 di malico).