frantoio
agorà

Luigi Caricato

Il turismo dell’olio sta attirando rinnovato interesse, con investimenti mirati a sviluppare una nuova concezione di frantoio, da spazio esclusivamente produttivo a polo multifunzionale aperto ad attività culturali, ricreative e ricettive.

Il frantoio per me è sempre stato un solido punto di riferimento. Da sempre. Non lo scrivo a caso, ma a ragion veduta, visto che sono nato proprio sopra un frantoio, quello della mia famiglia.

L’abitazione che ha visto i miei natali, dove tuttora abitano i miei genitori, è stata costruita al piano superiore rispetto a dove si trova ancor oggi collocato il frantoio. Estendendo tale situazione alla gran parte degli operatori del settore, in Italia ha più senso parlare di frantoio anziché di oleificio.

Quest’ultimo termine richiama più uno stabilimento industriale in senso stretto: un opificio, appunto. Una struttura pensata per essere vocata solo all’estrazione dell’olio dalle olive. Il frantoio, per contro, al di là del nome dal fascino senz’altro maggiore, evoca un aspetto più domestico e familiare. Questa è la mia sensazione. I frantoi in Italia sono tuttora numerosissimi e conservano una dimensione che possiamo definire ibrida.

A questo punto c’è da riflettere su come sarà il frantoio del futuro, che dovrà essere diverso e staccarsi da una concezione propriamente domestica, inserita nell’unità familiare. Il futuro al quale il mondo dell’olio merita di ambire è in parte già inserito nel presente. Oggi si avverte l’esigenza di creare luoghi pensati per il lavoro, ma che abbiano, allo stesso tempo, una precisa identità. Ci vuole una dimensione nuova e discontinua rispetto al passato, senza rinnegare il passato.