why not
a funky wine

AIS Staff Writer

Il vino è un racconto. C’è stata una corsa agli aggettivi, ai sostantivi e ai verbi da sdoganare per raccontare ciò che il vino è in grado di offrire al degustatore e farlo diventare un momento di empatia mentre lo si suggerisce o se ne parla. Nel degustare lo stesso vino, nello stesso momento, in bicchieri dalla stessa forma, e nello stesso luogo, una domanda sorge spontanea: perché nascono descrizioni differenti? Ad esempio, un degustatore considera un vino fruttato, con ciliegia, lampone e ribes rosso. Un secondo degustatore lo trova sempre fruttato, con mora, cassis e susina. Un terzo nel fruttato percepisce fragolina di bosco, melagrana e uva spina rossa. È il vino a mutare i profumi o è il filtro esperienziale del degustatore che esclude i più frequenti, i più comuni, o sceglie quelli meno consueti? Eppure quel vino, in quel momento, dovrebbe offrire tutti i suoi profumi a quei degustatori, perché non può essere il vino a dire al secondo degustatore: “Eccoti la mora” e al terzo: “Per te una bella fragolina di bosco”. E fin qui sempre di frutti si tratta. La complicazione nasce quando mancano riferimenti specifici, distintivi di qualcosa di riconoscibile. È complesso, equilibrato, stimolante: sono descrittori frequenti, anche positivi, ma cosa raccontano di quel vino? E quel vino vorrebbe essere raccontato in quel modo?


Negli incontri online con alcuni colleghi statunitensi è apparso più volte il termine funky. Qualche anno fa a Boston, un sommelier del Grill 23 & Bar, di fronte a un Pinot Noir Lange Freedom Hill Vineyard della Willamette Valley, giocherellando sul fruttato se ne uscì con “funky rainier cherry”, “groovy smell”. Altrettanto mi capitò all’Alcove e al Cultivar con un Bogati Malbec della Virginia “funky freshness”. Un Gramercy Cellar Viognier di Washington fu catalogato senza mezze parole come “funky wine”. La sommelier aggiunse: “Lo suggeriamo ai nostri frequentatori più giovani, dicendo loro: Why not a funky wine?”.

Funky significa bizzarro, stravagante, eccentrico. È sinonimo di: particolare, non convenzionale, trendy, di tendenza, di moda. In versione slang significa “fico”, ma anche “puzzolente”. La parola funky accompagna quei vini che hanno avuto un percorso enologico non del tutto convenzionale, su cui può essere intervenuta la filosofia vitivinicola, culturale e di pensiero del vignaiolo, con incerti (ma bizzarri e non criticabili) effetti devianti dalla linearità frutti/fiori/vegetale, abbinabili anche a sentori di terra, animale, espressioni “rustiche”: quello che in Italia spesso indichiamo con “è un po’ particolare”, “non è il solito vino”, prodotto da quel vignaiolo che “è un personaggio”, “è fatto a modo suo”. Siamo in quel limbo dell’interpretazione del carattere del vino che divide la questione tra il corretto e il difettoso. Il termine funky – precisano gli anglofoni – non è da considerare un fattore trendy e nemmeno vuole giustificare le imperfezioni di maldestri tentativi di fare vini natural, vegani o bio. È qualcosa che abbina due diversi approcci al vino, quello del sommelier, che nella sua naturale curiosità ricerca vini che lo impressionino perché “diversi”, e quello del commensale, che gradisce essere stimolato. Così agendo, quel sommelier sta facendo bene il suo lavoro, perché leggendo la sua carta non si rischia di addormentarsi con le eno-filastrocche. Vi sarà capitato di scegliere dalla carta un vino bianco macerato, magari di un’annata non recente, e il sommelier vi chiede con cautela se conoscete quel vino e magari insieme convenite che è “molto particolare”, che il produttore “è un personaggio fuori dagli schemi” e che “piace a pochi, a quelli che sono usciti dal concetto dell’ortodossia del vino”. Oppure, con una straordinaria sincerità vi dice: “Lo conoscono così in pochi che alla fine lo bevo tutto io”, e vi sentite ancor più complici e partecipi.


Ecco, anche “fuori dagli schemi” è sinonimo di funky, e dire che quel vino è particolare equivale a considerarlo funky. Forse tra qualche tempo troveremo qualche “hipster sommelier” (sarebbe anche l’ora) che ci metterà del suo nel focalizzarne il carattere in carta. Chissà che effetto farebbe trovare un vino descritto con: “ha un fruttato stravagante”, “il suo floreale è eccentrico”, “c’è una bizzarra speziatura”, “ha un gusto all’ultimo grido”, oppure “è un vino da paura”. Interpretazioni descrittive che di certo incuriosiscono, e fanno desiderare di ascoltare dal sommelier il suo modo di pensare il vino.