la nobiltà
del grano arso

Giuseppe Baldassarre

L’inconfondibile colorazione scura del grano arso e gli aromi che richiamano note tostate e affumicate lo rendono molto apprezzato e ricercato, anche dalla creatività degli chef. Se non lo avete ancora assaggiato, la sua storia tutta pugliese vi ingolosirà.

Chi, in anni recenti, ha visitato la Puglia, si sarà probabilmente imbattuto in qualche gustosa preparazione gastronomica a base di grano arso e forse si sarà chiesto come nasce questo curioso prodotto originario della Daunia. Si tratta di un tipo di cereale oggi piuttosto in voga, che mostra un’incredibile duttilità, lasciandosi forgiare sotto forma di orecchiette, cavatelli, capunti, pane, taralli, focacce, pizza, biscotti, torte e altri dolci.

Pur essendo un prodotto di nicchia, da qualche anno il grano arso è sotto i riflettori, sempre più apprezzato e ricercato, anche perché dona alle diverse preparazioni, oltre che un inconfondibile colore scuro, una consistenza granulosa e un gusto intenso dalle sfumature di affumicato, caffè, mandorle e nocciole tostate. Persino chef talentuosi e affermati non disdegnano di utilizzarlo, dando forma a piatti tradizionali, magari sottoposti a rivisitazione creativa.

Un’idea di successo quindi, ma che affonda le radici in un umile passato, nel quale non era facile sbarcare il lunario per i braccianti agricoli, con un magro salario e famiglie numerose.

La storia del grano arso nasce nel Tavoliere di Puglia, noto come “granaio d’Italia” per l’abbondanza delle messi che lo caratterizza. A favorire lo sviluppo delle colture cerealicole nelle sconfinate distese di terra del Foggiano fu certamente il declino della pastorizia transumante, un evento che ripeteva il proprio bucolico rituale da millenni. La transumanza, come è noto, consisteva nella migrazione stagionale, lungo i tratturi, delle greggi provenienti dai pascoli in quota dell’Abruzzo e del Molise verso le terre verdeggianti della Daunia. Ne parlava con enfasi Gabriele D’Annunzio nella poesia I pastori: “Settembre, andiamo. È tempo di migrare. / Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori / lascian gli stazzi e vanno verso il mare”.