confini
straordinari

Fabio Rizzari

L’opposto dei negazionisti del punteggio, degli odiatori delle gerarchie, dei disprezzatori dei simboletti appioppati a una bottiglia è rappresentato in misura monumentale dalla storia di Bordeaux. Qui i numeri e la suddivisione in classi di merito dei vini sono tutto, o quasi. A cominciare dal censimento ufficiale dei migliori cru istituito un secolo e mezzo fa: il celebre Classement del 1855. Promossa da Napoleone III per celebrare i fasti del vino francese in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi, la classificazione ripartì un’ottantina di cru in cinque classi di merito decrescente: dai Premier Cru, solo quattro, ai Cinquième Cru.

Non bastasse questa prima bordata di numeri – con relativo incasellamento in caste –, il sindacato dei courtier (storica figura di intermediario tra gli Château e gli acquirenti) rincarò la dose esplicitando le basi mercantili del classement: “Nous pensons qu’en supposant que les 1ers crus valassent 3000 francs, les Deuxièmes devraient être cotés: 2500 à 2700; Troisièmes 2100 à 2400; Quatrièmes 1800 à 2100; Cinquièmes 1400 à 1600”.

Nonostante questi punti di partenza non proprio disinteressati, il classement si è rivelato un’operazione encomiabile, soprattutto considerando che il Bordolese non vanta la complessità e la stratificazione di climat (l’insieme di caratteri pedoclimatici e storici che definiscono una specifica porzione vigna) di terre quali la Borgogna o l’Alsazia. Qui la superficie è in massima parte pianeggiante, e almeno fino alla metà del Seicento insistevano estese zone paludose (marécageuses). Molte delle terre ricavate da questi antichi acquitrini ospitano oggi distese ordinate di vigneti, dove le piante si susseguono come tanti soldatini. Il panorama non è quindi un mosaico sfaccettato, ma propone (soprattutto nel Médoc, la riva sinistra della Gironda; la Rive Droite ha più movimento) un’uniformità particolarmente noiosa. Logico quindi che fissare dei brutali paletti di prezzo costituisse un solido orientamento pratico per il mercato.

Nell’Olimpo dei Premier Cru entrarono a metà dell’Ottocento solo Latour, Lafite-Rothschild, Margaux e Haut-Brion. Ciò suscitò lo sdegno secolare dei proprietari di Mouton-Rothschild, che si videro riconoscere l’ambito status soltanto nel 1973, firmatario l’allora ministro dell’Agricoltura Valéry Giscard d’Estaing. A titolo di aneddoto marginale, per oltre cent’anni il motto di Mouton fu “Premier ne puis, second ne daigne, Mouton je suis” (“Primo non posso, secondo non mi degno, sono Mouton”); insegna mutata poi altrettanto spocchiosamente in “Premier je suis, second jamais, Mouton ne change” (“Primo sono, secondo mai, Mouton non cambia”).

Nel tempo si sono stratificati vari cliché sull’augusto quintetto di 1er Cru, basati su solide fondamenta percettive, al netto delle ovvie varianti legate all’annata: Margaux e Lafite centrati sulla finezza, Mouton più sensuale e polposo, Haut-Brion complesso e affumicato, Latour monumentale e “bâti pour l’eternité”, costruito per l’eternità. Esistono tuttavia pochi dubbi sul fatto che Lafite, in particolare misura, mostri i tratti più quintessenziali e delicati di tutti: tanto da costituire una sorta di punto di congiunzione tra le silhouette – pur così distanti sulla carta e nei fatti – tra Bordeaux e Borgogna.