Si è rischiato di perderlo, ora invece gode di un’attenzione crescente. Il foglia tonda è vinificato in quasi tutte le province toscane in numerosi stili produttivi, come solista o privilegiato compagno del sangiovese.
sull'onda
del foglia tonda
Massimo Castellani
Giuseppe di Rovasenda nel Saggio di una ampelografia universale (1877) scriveva del suo incontro con la varietà foglia tonda al Castello di Brolio, nei vigneti del barone Bettino Ricasoli. È la prima testimonianza di questo vitigno; poi la fillossera azzerò la presenza di queste uve impropriamente ritenute minori. L’origine del foglia tonda rimane un mistero: la tesi più plausibile è che sia un’ibridazione tra una varietà sconosciuta e il sangiovese. Chiara invece la ragione del nome, che deriva dalla particolare forma tondeggiante della foglia, somigliante a una piccola padella. Il Registro nazionale delle varietà di vite recita: “La foglia è orbicolare, di grandezza media, intera o con lobi leggermente accennati”. Il grappolo è medio, medio-grosso (lunghezza 15-23 cm), di aspetto compatto, piramidale, alato, con una o due ali. Il punto debole, che segnò l’abbandono della coltivazione, è la grande vigoria, che comportava una scarsa qualità dei vini. Il problema era dettato dalla mentalità mezzadrile, che mirava alla quantità, e dal sistema di allevamento, l’archetto toscano e il guyot, cioè potature a tralcio rinnovabile che inducevano la pianta a una copiosa produzione. Ciò rendeva difficile raggiungere una buona maturazione degli acini e una corretta estrazione polifenolica. Di contro, possedeva il pregio di resistere alla peronospora, alla botrite e in parte all’oidio, nonché di avere un ciclo vegetativo, e quindi di maturazione, simile al sangiovese (anche se leggermente più tardivo): un vantaggio per i contadini del tempo, perché poteva essere vendemmiato insieme al sangiovese stesso.