le forme
di assaggio

Luigi Caricato

Da un approccio sensoriale più consapevole e meditato si sta delineando un futuro nuovo per l’olio, dove la versatilità e la scelta in funzione degli abbinamenti acquisteranno sempre maggiore interesse.

All’inizio di tutto c’è sempre l’assaggio. Annusare per verificare. È una forma di difesa primordiale, che permette di capire se il nostro organismo può accogliere o meno un cibo in tutta sicurezza. Se non è pericoloso, nocivo, se non compromette la nostra vita, si procede con l’introdurlo in bocca, pronti a masticarlo e deglutirlo per assicurare la sopravvivenza. In origine i nostri sensi costituivano un baluardo a difesa da possibili rischi. Poi, pian piano, sono subentrate l’esperienza, la conoscenza delle materie prime, e ci siamo un po’ rilassati, fino ad avvertire il piacere procurato dal cibo e a scoprirne il valore intrinseco.

Il ricorso ai nostri sensi – educandoli, allenandoli – resta fondamentale, per tante ragioni. Per valutare gli oli ricavati dalle olive, gli antichi romani avevano stabilito una classificazione merceologica straordinaria, più efficace di quella attuale. Meglio di noi contemporanei, capivano l’olio sulla base della sola esperienza sensoriale. Già, perché non esistevano attrezzature di laboratorio. Solo con la seconda metà dell’Ottocento si iniziò a studiare l’olio da olive in maniera scientifica, grazie all’invenzione del refrattometro (1875) per l’analisi dei grassi e al metodo Wijss (1898) per determinare l’insaturazione degli oli. Da allora si susseguirono continue scoperte e innovazioni, mentre prima si agiva solo su base empirica, a partire dall’assaggio. La grande svolta si data al 1952, con l’introduzione del gascromatografo, che permette di indagare l’intima natura dell’olio.