vini-paesaggio a Jesi Fabio Rizzari I vini-paesaggio che esploriamo in questa puntata non provengono da vigneti confinanti in senso stretto. La regione – le Marche – e la denominazione d’origine – il Verdicchio dei Castelli di Jesi – sono comuni, ma le proprietà distano un paio di chilometri in linea d’aria. Le due aziende sono però confinanti in senso più nobile ed esteso: condividono la stessa terra e ne esaltano il carattere. Senza fronteggiarsi in una competizione commerciale e personale. Secondo l’ispirata distinzione di Antonella Tarpino (Il paesaggio fragile, Einaudi 2016), la frontiera divide, il confine condivide. Nel concetto di frontiera è implicita l’idea di scontro, di contrapposizione. In quello di confine, a partire dall’etimologia cum finis, si coglie il senso della condivisione. Privilegiando così “la linea di con-giunzione – ciò che è comune tra due territori – a differenza della frontiera (da frons, fronte, fronteggiare), che è ciò che li divide”. Senza contare che due chilometri non sono nulla, anche restando agli aridi dati catastali. Diceva nell’antica trasmissione radiofonica Alto Gradimento un personaggio del proteiforme Mario Marenco: - Abbiamo in linea il professor Sbarbantini. Ci sente, pronto? - Sì pronto, sono Sbarbantini. Sto telefonando da Reggio Emilia, vicino a Massa Carrara. - Ma come professore, mica sono città vicine! - Sì, ma è più vicina Reggio Emilia rispetto a Massa Carrara di Torino rispetto a… Washington. Secondo la stessa logica incontrovertibile, la storica azienda Bucci e il più recente nucleo produttivo di Pievalta sono perfettamente confinanti. Siamo nell’area di una delle tipologie di bianco più illustri d’Italia, la denominazione d’origine Verdicchio dei Castelli di Jesi. Questa porzione di territorio prende il suo etimo dai numerosi, piccoli borghi fortificati che sorsero in epoca altomedievale: le castella, o i castelli, fa riferimento alle robuste mura difensive che li cingevano. Nonostante la significativa vicinanza al mare – una quindicina di chilometri da Jesi – nella bassa valle Esina il clima ha inflessioni continentali; sebbene non così pronunciate quanto nell’alta valle Esina di Matelica. I nomi di grande fama qui non mancano, ma – non me ne vogliano gli altri – nessuno gode del prestigio e della stima pluridecennale di Ampelio Bucci. Il professor Ampelio, uno dei pochi senatori del vino italico, è stato tra i primi a credere nella qualità del Verdicchio. Senigalliese di nascita, ha messo a dimora le prime vigne a Ostra Vetere negli anni Settanta del secolo scorso, e imbottiglia finissimi Verdicchio dagli anni Ottanta. Lo ha affiancato per decenni un’altra figura riassorbita nel mito, l’enologo-rabdomante Giorgio Grai. La loro impostazione, pur nel solco della valorizzazione dei migliori elementi della tradizione locale, è di aperta discontinuità nello stile dei vini. “Resta molto importante nella mia memoria la prima volta che Luigi Veronelli assaggiò il vino”, ricorda oggi Bucci, “e scrisse questa nota che cito a braccio: ‘Un vino da discutere con Giorgio e Ampelio. Mi sembra che esca dai canoni che avevo in mente del Verdicchio. Ma forse invece questo è l’inizio di un Verdicchio più vero, più curato...’. La discussione poi avvenne insieme tra noi tre. Gli spiegammo perché avevamo optato per piccole produzioni da 60/70 quintali di uva per ettaro, anziché seguire il disciplinare che ne prevedeva (e continua a prevederne) 140 quintali. Poi gli facemmo assaggiare i blend fatti dal maestro Giorgio dei vini delle diverse vigne. Credo che Veronelli abbia apprezzato molto.” Veronelli aveva ragione: i bianchi di casa Bucci sono in media più ricchi di sfumature rispetto a molti altri Verdicchio. La loro configurazione aromatica, così sottilmente giocata sulla corda tesa tra note di riduzione e complessità derivata dall’autolisi dei lieviti, può rimandare a profili stilistici che appartengono a vini più nordici. Una perifrasi per non citare l’ingombrante e ormai ubiquo paragone con la Borgogna (che come si vede esce dalla porta e rientra comunque dalla finestra). “È vero, ci sono all’origine delle ascendenze borgognone”, conferma Bucci; “molti anni fa amici della Borgogna mi diedero alcuni suggerimenti di partenza, a cominciare dall’attenzione nella scelta delle giaciture per piantare le viti. Così individuammo alcune parcelle - sette - particolarmente valide: bella esposizione, alta percentuale di calcare su substrato più argilloso (e quindi più capace di trattenere umidità). La qualità del vino viene da queste vigne.” Merito al carattere delle colline jesine, quindi; ma anche alla lenta e sicura sosta sulle fecce fini. “I nostri bianchi sono vini di assemblaggio: una parcella dà basi più calde e mature, un’altra più fresche e sapide, e così via. Poi i vini sostano molti mesi sui lieviti, che rimettiamo in sospensione non appena avvertiamo il classico rischio di avere note troppo riduttive.” Finezza nel taglio finale e sottile lavorìo dei lieviti fanno nascere Verdicchio di particolare ampiezza aromatica. I Verdicchio Bucci sono tra i bianchi più longevi prodotti in terra italiana. Le bottiglie delle migliori annate degli anni Novanta e Duemila sono perfettamente bevibili, se conservate con la debita cura. Più che bevibili, sono anzi di una ricchezza olfattiva iridescente, con una palette di profumi da far invidia a un Puligny-Montrachet. Pur restando dei veri Verdicchio, beninteso: non sono in alcun modo debitori di altri modelli, ma tratteggiano la linea di un Verdicchio elegante, profilato, talvolta austero da giovane. Il 1988, stappato qualche anno fa e servito in modo anonimo, ha lasciato di stucco una competente - e anche un po’ snob - compagnia di amici francesi. Magneticamente attratti in ambito borgognone dagli aromi di noisette e croissant, e allo stesso tempo disorientati dalla vena di mandorla amarognola e sale inglese del finale, non sapevano che pesci pigliare: era un bianco portoghese? moldavo? cileno? della Groenlandia? Li ho benevolmente tratti d’impaccio rivelando vendemmia, azienda e provenienza. La loro ammirazione traspariva nell’avidità di versarsene un altro bicchiere. Allungando lo sguardo dalle terre della prestigiosa firma Bucci verso sud-est, in direzione di Jesi, si incontrano le prime parcelle di vigna di Pievalta. La storia di questo nucleo produttivo è significativamente più giovane, essendo nato ai primi del Duemila da un progetto di espansione mirata della Barone Pizzini, nota azienda franciacortina. I primi vigneti, una trentina, sono acquistati a Maiolati Spontini e a San Paolo di Jesi, sul monte Follonica. In epoca più recente, nel 2018, vengono integrate nella proprietà nuove parcelle a Montecarotto e Cupramontana. Da subito qui si sceglie un percorso che privilegia la ricerca di un rigoroso rispetto del materiale vegetale e dell’ambiente circostante: in conduzione biologica dalle prime vendemmie, Pievalta aderisce agli esoterici protocolli della biodinamica nel 2005. Anime del progetto sono Alessandro Fenino – per qualche vendemmia in precedenza enologo alla Barone Pizzini – e Silvia Loschi, colleghi di lavoro e compagni di vita. Anche i bianchi di Pievalta hanno energia da vendere. Il loro profilo è lontano anni luce dai Verdicchio morbidi e brucianti per l’alcol che spesso si trovavano sugli scaffali una quindicina d’anni fa. Le tre etichette condividono un assetto aromatico vibrante e un sapore pieno e insieme dinamico. “Il Tre Ripe è il vino d’annata in cui confluiscono le uve di tutti i nostri vigneti: Maiolati Spontini, Montecarotto (vigna più vicina ad Ampelio) e monte Follonica con il versante di San Paolo di Jesi” tratteggia Silvia. “Il Dominè proviene dal vigneto di Maiolati Spontini da una singola parcella del 1965, Chiesa del Pozzo: esposizione a nord-est, suolo argillo-calcareo. Solitamente dona vini freschi, con una buona acidità e finale salato. C’è sempre un corredo di erbe aromatiche, unite a note agrumate e di fiori gialli (specialmente nelle annate più calde). Con l’invecchiamento emergono profumi di mietitura (quel misto di cereale, paglia ed erba tagliata) uniti a fiori (elicriso) e frutta gialla. Insomma, il colore è il giallo. Il San Paolo Riserva viene da una singola vigna, quella sul monte Follonica a San Paolo di Jesi: esposizione nord-est, suolo calcareo-argillo-sabbioso, con affioramenti di pietra arenaria. I vini di questo versante risultano austeri, sapidi e di grande energia, vibranti. Profumano di agrumi, erbe aromatiche e fiori bianchi (gelsomino su tutti). Con l’invecchiamento si rimane su profumi di grande freschezza uniti a note di agrumi canditi.” “Quando siamo arrivati in zona c’erano molti Verdicchio bomboloni, che giocavano sul corpo, sulla potenza, sulla gradazione alcolica: avevano 15,5 gradi di alcol, l’acidità e il pH erano invertiti rispetto ai valori che oggi sono di riferimento, si aggiungeva gomma arabica per dare più morbidezza, e via così. Invece quelli di Bucci sono sempre stati vini eleganti, fini, quasi fuori moda all’epoca. Per noi è sempre stato un riferimento, anzi la nascita di Pievalta si deve anche agli assaggi dei vini di Bucci: la proprietà di Barone Pizzini ha deciso di acquistare nei Castelli di Jesi proprio perché apprezzava soprattutto i vini di Ampelio. Seguendo il suo stile il mio obiettivo è sempre stato di levare, di eliminare passaggi superflui, in favore di una vinificazione il più possibile naturale e lineare. Oggi la nostra vinificazione è semplicissima. Una delle chiavi è la lunga permanenza sulle fecce fini, periodicamente rimontate”, nelle parole di Alessandro. Difficile immaginare un rapporto più felice e di stima reciproca tra vicini. Una sorta di alleanza che ha portato i suoi frutti proprio pochi mesi fa: nel maggio del 2021, grazie alla determinazione e alla moral suasion di Ampelio Bucci dei ragazzi di Pievalta (e di vari altri produttori della denominazione, ovviamente), è stato varato il nuovo disciplinare del Verdicchio. Che ora prevede due tipologie distinte: Verdicchio dei Castelli di Jesi e Castelli di Jesi (con la dizione Verdicchio facoltativa); quest’ultima destinata ad accogliere le selezioni più ambiziose e in generale i vini più complessi e longevi. “Sì, la modifica in questa direzione del disciplinare è stato un mio impegno pluridecennale”, tiene a rimarcare Bucci. “Molte riunioni di lavoro per contribuire a definire i contorni delle nuove denominazioni si sono svolte proprio a Pievalta. Alessandro e Silvia sono bravi e hanno le idee chiare.” Rapporto felice e stima reciproca tra vicini, appunto. Il che è merce rara: in Italia e altrove.