fermento piceno Antonello Maietta La storia che stiamo per raccontare avrebbe preso probabilmente una piega differente se, in occasione dell’assaggio di un vino rosato prodotto da un contadino della zona, non fossero stati presenti Marco Casolanetti, Giovanni Vagnoni e Valter Mattoni. Era l’anno 1998; i tre viticoltori marchigiani si conoscevano da tempo, grazie all’esperienza condivisa nel gruppo “Piceni Invisibili”, un’aggregazione spontanea di produttori indipendenti, uniti dall’obiettivo di dare visibilità al proprio territorio mettendo in comune le rispettive esperienze vitivinicole. Quel vino in cui erano per caso incappati catturò immediatamente l’attenzione per la sua originalità. Infatti, poco o nulla aveva da spartire con le caratteristiche delle varietà coltivate nel comprensorio, dove nelle vigne trovavano dimora montepulciano in primis, sangiovese e qualche altra cultivar a bacca nera. Tutti avevano sentito parlare di questo misterioso vitigno, ma la sua conoscenza si era persa nel tempo. Frugando nella memoria collettiva, si formularono diverse ipotesi sulla sua origine – alcune non ancora del tutto accertate –, e il desiderio unanime decretò che valesse la pena approfondire l’indagine. L’areale interessato è ubicato in provincia di Ascoli Piceno, racchiuso tra la catena dei monti Sibillini, nell’Appennino umbro-marchigiano, e il tratto costiero del mar Adriatico che da Cupra Marittima raggiunge il confine amministrativo con l’Abruzzo a San Benedetto del Tronto. Per restringere ancor di più il campo, potremmo puntare il compasso sul borgo di Offida e tracciare una circonferenza del raggio di una ventina di chilometri. All’interno del cerchio risultano praticamente tutte le aziende che oggi si stanno adoperando con vigore nella valorizzazione di questa varietà. Il motivo che ci ha indotto a essere fin qui così guardinghi nel pronunciare il nome Bordò è legato a questioni burocratiche, che stanno causando parecchi grattacapi alla sparuta pattuglia di produttori che da qualche anno ne vuole rivendicare con orgoglio il nome in etichetta. Assodato il fatto dell’evidente l’assonanza fonetica con la prestigiosa regione vitivinicola francese, e ancor più che in termini di mercato questa confusione potrebbe non giovare a un auspicabile incremento dell’esigua produzione – oggi sono poco più di 5000 bottiglie complessive –, è doveroso e urgente trovare un rimedio. Per il momento la parola Bordò è sparita prudentemente da etichette, brochure e schede tecniche, e pure nel web le tracce si vanno via via diradando. Una soluzione accettabile potrebbe essere la collocazione del vino all’interno della vasta denominazione Marche Igt con l’aggiunta della menzione Grenache o del suo sinonimo Alicante. Se ne interessò in passato, e lo sta facendo tuttora, anche l’Assam, l’Agenzia per i servizi nel settore agroalimentare della regione Marche, affermando in un comunicato che “la varietà di uva volgarmente e impropriamente chiamata bordò è stata oggetto di genotyping ed è risultata essere corrispondente alla varietà già iscritta al Registro nazionale delle varietà di uve da vino del Mipaaf come grenache o alicante o cannonau”. La Regione ha offerto un contributo fondamentale per la realizzazione di una mappatura genetica delle viti, così da permettere di capire che si trattava di una mutazione di grenache adattatasi al territorio. Il materiale di propagazione è stato reperito in un vecchio vigneto poco distante dall’azienda Oasi degli Angeli, da cui si è approvvigionata inizialmente anche Le Caniette. Diverso è il caso per Pantaleone, poiché il suocero di Francesca Pantaloni lo allevava già tra i filari di proprietà. Quindi ci si è ritrovati con ben due biotipi da avviare a un’ulteriore sperimentazione. Dal punto di vista commerciale la questione è spinosa, perché non si tratta di un vitigno qualsiasi, bensì di una varietà che si colloca al settimo posto tra quelle più coltivate al mondo, con quasi 200.000 ettari dedicati, che rappresentano circa il 4 per cento della superficie vitata del pianeta. È un vitigno mediterraneo, molto coltivato in Francia con il nome di grenache e in Spagna con quello simile di garnacha: in entrambi i Paesi si piazza al secondo posto tra le cultivar a bacca nera maggiormente presenti nei vigneti. In Italia è diffuso per lo più in Sardegna, con l’appellativo di cannonau, e poi via via nel resto della Penisola, con nomi diversi: lo si incontra in Veneto (tai rosso), in Toscana (alicante), in Umbria (gamay del Trasimeno) e in Liguria: qui il nome granaccia mantiene anche l’assonanza linguistica con i consanguinei francesi e spagnoli. Si ipotizza che la cultivar sia arrivata nelle Marche oltre un secolo fa, ma il modo è ancora avvolto nel mistero. Trattandosi di un biotipo di grenache, ossia di cannonau, è plausibile ipotizzare che sia stato portato dai pastori sardi in cammino sulla linea di transumanza che dalla Maremma e dalla Tuscia conduceva verso il Piceno, e poi ancora più giù in direzione della Puglia. La varietà era definita sa vide burda (la vite bastarda), mancando la certezza della sua origine. È assodato invece che si adatti alla perfezione ai terreni in prevalenza argillosi di questo distretto produttivo, dove il microclima temperato è soggetto alla forte escursione termica assicurata dalla felice posizione geografica e dall’altimetria, oscillante tra i 150 e i 450 metri di altezza. I risultati sono eccellenti, come testimonia la degustazione dell’ultima annata disponibile dei vini ottenuti da grenache/alicante dagli attuali nove produttori che, sull’esempio di quel piccolo gruppo iniziale di pionieri, oggi si cimentano nella sua vinificazione in purezza. Nota di merito è l’attenzione di tutti alla salvaguardia ambientale, attraverso l’adozione di pratiche agricole biologiche, biodinamiche o a basso impatto, per preservare l’ecosistema. Un impegno a conservare l’equilibrio naturale dei vigneti e le biodiversità dei boschi che circondano i filari, dando voce al territorio e facendo risuonare il timbro di questo vitigno. Arsi 2017 – MARIA LETIZIA ALLEVI Nella piccola realtà di Maria Letizia Allevi e Roberto Corradetti, adagiata sulle colline di Castorano, si produce un’originale gamma di vini, solo da varietà tradizionali, che comprende anche due Metodo Classico. Da un vigneto di circa quindici anni si ricavano non più di 500 bottiglie di Arsi, giunto alla sua seconda vendemmia. La dedica ai rispettivi genitori si manifesta fin dal nome, una fusione delle prime lettere di Arnaldo e Silvio. Una luminosa tonalità granato anticipa sentori variegati di grande eleganza, tra cui spiccano ricordi di ciliegia e ribes nero in confettura, che si intrecciano a foglie di tè, tabacco, noce moscata, cardamomo e rabarbaro, con refoli balsamici di eucalipto in chiusura. Il sorso è avvolgente, scandito da un tannino setoso e da una viva matrice sapida, che regalano un lunghissimo finale. La fermentazione avviene in acciaio, con un successivo passaggio in barrique per 24 mesi. Red 2018 – IRENE CAMELI Si data al 1998 la nascita di questa azienda in quel di Castorano, grazie alla ristrutturazione di un piccolo podere della famiglia di Irene Cameli, affiancata da Claudio e Giovanni Allevi, rispettivamente marito e cognato (soprannominati Fox e Red). All’inizio del nuovo millennio prende avvio l’attività di vinificazione, che porta nel 2002 al primo imbottigliamento di Ozio, il loro vino più conosciuto, ottenuto da uve montepulciano in purezza. Esordisce invece, con l’annata che presentiamo, il Red. Livrea granato vivido, di buona concentrazione. Nell’elegante progressione olfattiva si colgono sentori di iris e rosa canina, seguiti da cenni di gelatina di more, bacche di ginepro, pepe nero e liquirizia. L’assaggio denota un piglio giovanile, con una solida struttura intarsiata da un tannino ancora in evoluzione. Fermenta in acciaio per 25 giorni, prima di essere lasciato a riposo per un anno in barrique nuove. Michelangelo 2016 – EMANUELE DIANETTI Nonostante la famiglia possieda vigneti da sempre e un nonno dedito alla produzione di vino, Emanuele Dianetti si considera un autodidatta. Animato da una curiosità innata verso la ricerca delle migliori pratiche di conduzione della vigna e della cantina, in breve tempo è entrato nel novero dei viticoltori emergenti del Piceno. Le colline della val Menocchia, nel comune di Carassai, a un passo dal mare, risentono delle forti escursioni termiche dettate dalla vicinanza con i monti Sibillini. Con l’annata 2016 Michelangelo – 600 bottiglie in tutto – giunge alla terza vendemmia, ma lascia intuire una conoscenza approfondita del vitigno. Granato luminoso, ammalia il naso con nitidi riferimenti a marasca sotto spirito, insieme a slanci floreali di roselline selvatiche essiccate e a un’aggraziata speziatura di cannella e macis. Palato in equilibrio e di lunga persistenza. Fermenta in acciaio e matura per oltre 2 anni in botticelle di rovere da 110 litri. Cinabro 2016 – LE CANIETTE L’attività fu avviata a Ripatransone nel lontano 1897 da Raffaele Vagnoni, bisnonno degli attuali proprietari, ma è Giovanni Vagnoni nei primi anni Novanta a segnare la svolta, dando vita ai primi imbottigliamenti. Cinabro, come altri vini in gamma, richiama nel nome alcuni dei colori utilizzati da Michelangelo. La prima annata commercializzata è stata la 2009; oggi sono solo un migliaio i fortunati che possono godere di tanta bontà. Le basse rese dell’unico ettaro dedicato al grenache donano una solida struttura, percepibile già dalla marcata fittezza del manto granato. L’incipit olfattivo rimanda alla violetta essiccata, incalzata dai toni fruttati di amarena candita, per chiudere con erbe officinali e caffè appena macinato. L’evidente impatto calorico che avvolge il palato è sapientemente mitigato dalla nobile tessitura dei tannini. Fermenta tra acciaio e legno grande, quindi sosta per 3 anni in mezze barrique da 115 litri. Ruggine 2015 – CLARA MARCELLI Fondata nel 1992 a Castorano, questa realtà è oggi guidata dai figli di Clara Marcelli, Emanuele e Daniele Colletta. Ruggine ha fatto il suo esordio nel 2011 e da allora si colloca al vertice di una gamma aziendale da sempre orientata alla valorizzazione dei vitigni tradizionali, coltivati su una superficie di quattordici ettari. Il rispetto delle biodiversità del territorio è testimoniato dalla piantumazione di sei ettari di bosco, che si aggiungono alla dozzina già esistente. Granato classico, con rapidi bagliori che ricordano il colore del mogano. Al naso si colgono sentori di confettura di ribes, cardamomo ed erbe aromatiche, alloro e rosmarino su tutte. La bocca è morbida e vellutata, grazie a un tannino già ben addomesticato, con un finale dalla vaga scia ferrosa, giusto per non tradire il nome assegnato al vino. È pronto a lasciare la cantina dopo 5 anni, di cui 2 trascorsi in barrique e altri 3 ad affinare in bottiglia. Rossomató 2017 – VALTER MATTONI Nel comune di Castorano Valter Mattoni – detto la Roccia – coltiva con successo i vitigni caratteristici dell’areale, come montepulciano e trebbiano, ai quali si aggiunge una piccola quantità di grenache, che dà origine a circa 400 bottiglie. La prima annata prodotta reca il millesimo 2010, ma studi e sperimentazioni fervevano già da qualche anno. Di stoffa rosso rubino è l’abito di gala del Rossomató, intessuto da fini ricami granato. Il naso è subito attratto da golosi richiami fruttati di lamponi e more di gelso, che aleggiano tra respiri di cacao, foglia di tabacco e sbuffi terrosi. L’imponente dotazione calorica è ravvivata da una corrente di freschezza che dona un composto equilibrio, in sinergia con una trama tannica ben levigata. Finale lungo e cadenzato, coerente con l’approccio olfattivo. La fermentazione si svolge esclusivamente in acciaio; il vino è poi lasciato a riposare in barrique per 2 anni. Kupra 2018 – OASI DEGLI ANGELI Marco Casolanetti e la moglie Eleonora sono considerati, a buon diritto, una delle realtà che più danno lustro alla regione marchigiana. Dalla cantina di Cupra Marittima escono due sole etichette, per una produzione tanto esigua quanto estremamente accurata. Al Kurni, realizzato dal 1997 da uve montepulciano, si è aggiunto nel 2005 il pregiatissimo Kupra, frutto di un vigneto ultracentenario, coltivato in regime biodinamico, con un sistema di allevamento ad alberello connotato da impianti fitti e rese oltremodo contenute. Attira l’attenzione fin dal colore, di un vivido rosso granato lucente. Il naso rimane incantato dal tripudio di spezie, macchia mediterranea, frutti di bosco, bacche di mirto, tamarindo e china. Il palato è morbido e setoso, appagante, saporito. L’acidità anima il corpo, dai muscoli guizzanti e ben torniti. Fermenta in contenitore di cemento a uovo per 35 giorni, prima di un lungo riposo in barrique per 30 mesi. La Ribalta 2016 – PANTALEONE Nel comprensorio di Ascoli Piceno, in località Colonnata Alta, ha sede questa bella realtà condotta da Federica Pantaloni e dalla sua famiglia, dedita alla coltivazione dei principali vitigni autoctoni in un anfiteatro naturale posto a 450 metri di altitudine, circondato da boschi, dove le uve beneficiano delle marcate escursioni termiche tra il giorno e la notte. Prodotto per la prima volta nel 2009, il vino inonda il calice di vivaci tinte granato. Dopo un incipit prettamente speziato, dominato da cannella e chiodi di garofano, compaiono sulla scena sensazioni di frutta rossa in confettura, intercalate da pot-pourri di fiori, bastoncino di liquirizia e ginepro, il tutto avvolto in una fresca aura balsamica ed eterea. Il sorso è suadente, connotato da una trama tannica finissima e ben cesellata. Riposa prevalentemente in piccoli tini di rovere per circa 2 anni, ed è pronto a varcare le soglie della cantina dopo un anno di affinamento in bottiglia. Poderi San Lazzaro 2017 – PODERI SAN LAZZARO La tenuta di Paolo Capriotti e della moglie Elisetta Carosi, fondata nel 2003 nel comune di Offida, si estende su una quindicina di ettari vitati, a conduzione biologica, situati a 300 metri di altitudine: un microclima ideale per la coltivazione della vite, data la posizione tra il mar Adriatico e l’Appennino. Nella gamma produttiva di stampo prettamente autoctono, prendiamo in considerazione questo esemplare, prodotto per la prima volta nel 2009, anche se il primo imbottigliamento si data al 2011. Dal calice ammantato di un vivace rosso rubino si inizia a delineare un profilo olfattivo connotato da percezioni di fiori essiccati e di frutti rossi in confettura, a cui si aggiungono sensazioni di anacardi, caffè e un lieve tratto speziato. L’assaggio rivela freschezza e una gustosa vena sapida, che intervengono a equilibrare la ricca dotazione calorica. Fermenta in acciaio e matura in tonneau per 16 mesi, prima dell’affinamento in bottiglia per 6 mesi.