Paradiso dell’America Centrale, in Honduras la natura trionfa: montagne e altipiani, grandi vallate percorse dai venti alisei, ricche pinete, una
giungla lussureggiante e fiumi che scorrono sinuosi, parchi nazionali, isole e coste dalle spiagge bianchissime lungo la barriera corallina. Bagnato dal
mar delle Antille per circa 700 chilometri a nord e un piccolo sbocco sul Pacifico con il conteso Golfo di Fonseca, confina con il Guatemala, El
Salvador e Nicaragua.
Passato quasi indenne attraverso i grandi stravolgimenti politici degli anni Ottanta nel Centro America, nel 2009 vede il palazzo presidenziale preso
d’assalto dai militari e il presidente Manuel Zelaya costretto all’esilio. Non può difendersi dagli uragani, Fifi nel 1974, Mitch nel 1998 e ancora
Gamma, Eta e Iota, ed è anche il paese delle bande criminali dette maras, delle carovane dei migranti che camminano per migliaia di chilometri verso gli
Stati Uniti, delle uccisioni di ambientalisti e difensori dei diritti umani, come Berta Cáceres e Nelson García. Per descrivere questa nazione,
all’inizio del Novecento lo scrittore statunitense O. Henry coniò l’espressione “repubblica delle banane”, a indicare un conglomerato di povertà,
instabilità, corruzione e pratiche di natura illegale, nei confronti delle persone e delle risorse naturali.
Scoperto da Cristoforo Colombo nel 1502 al suo quarto viaggio, quando sbarcò sull’isola di Guanaja, a una trentina di miglia dalla costa, il territorio
honduregno conta circa 112.000 chilometri quadrati, fra terraferma e isole, con una popolazione molto giovane, intorno ai 9 milioni di abitanti,
fortemente multiculturale: in gran parte sono meticci, mescolanza dei conquistadores con le popolazioni indigene, insieme a diverse minoranze etniche,
come i Lenca della parte sudoccidentale, discendenti di gruppi olmechi giunti dal Messico, i Miskito, fra Nicaragua e Honduras, che basano la loro
economia sul turismo e sull’accoglienza come barcaioli e guide, e i Garifuna, lungo la costa settentrionale e le Islas de la Bahía, eredi di schiavi
africani scampati a un naufragio nel 1635.
È il paese più montagnoso del Centro America, attraversato da un sistema che lo percorre da est a ovest, con la vetta del Cerro Las Minas e
un’altitudine media intorno ai 1000 metri; il suolo prevalentemente vulcanico è bagnato da una serie di fiumi, come il Río Coco, che delinea il confine
con il Nicaragua, e il Río Patuca. Il clima tropicale alterna stagioni umide e secche ogni sei mesi. Con il Niño prendono il sopravvento le alte
temperature e l’aridità, mentre la Niña apporta piogge, cicloni e uragani, segnando il terreno con inondazioni e scivolamenti, in un’alternanza in cui
l’instabilità diviene la regola. La piovosità sulla costa nord è molto elevata, fino a 3500 mm all’anno; le coltivazioni trovano dunque riparo nelle
valli interne, dove la media si abbassa fino a 900 mm annuali.