L’Associazione Italiana Sommelier ha lo scopo primario di qualificare la figura e la professione del Sommelier, nonché di valorizzare la cultura del
vino, dei prodotti alimentari tradizionali e tipici, della gastronomia. Questo è un estratto dell’articolo 3 del nostro Statuto, e per conseguire
questo Scopo Sociale l’AIS cura la preparazione professionale dei Sommelier e del personale docente. Sotto questo aspetto il nostro impegno è
massimo e i risultati sono notevoli. Ne è un esempio la preparazione culturale e professionale emersa nell’ultimo Concorso Miglior Sommelier
d’Italia svoltosi a Bologna.
Se da una parte c’è un profilo educativo di alto livello, dall’altra c’è la professionalità in una ristorazione in crisi. Non fraintendete: la
nostra ristorazione non è in discussione, anzi sta progredendo sostenibilmente e si sta evolvendo culturalmente, a tutti i livelli. È la carenza di
personale a mettere in difficoltà questo settore, a cui si sono aggiunti sospettosi aumenti di prezzi e ventilati incrementi nel 2022, addirittura a
due cifre. Le prospettive dicono che mancherà pure la materia prima, e sono già segnalate assenze di taluni vini sul mercato. La nostra esperienza
ci porta ad affermare che chi possiede il titolo di Sommelier AIS non trova particolari difficoltà a svolgere la professione in ambito ristorativo,
ce lo riconoscono tutti, in Italia e all’estero.
Perché allora questa crisi di personale nelle sale della ristorazione? Sarebbe fin troppo facile congetturare che sia effetto del reddito di
cittadinanza e della pandemia; e se così non fosse? Una certa crisi era già evidente da qualche anno. L’imperfetta programmazione del servizio, un
eccessivo ruolo di “tuttofare” e una clientela via via più attenta ed esigente hanno fatto tentennare molte situazioni date per consolidate e
scontate da tempo. Poco importava se un collaboratore più qualificato e con più esperienza venisse quasi equiparato a quello con minore esperienza e
incerta e/o imperfetta qualificazione; dietro l’angolo un sostituto era sempre in agguato. Eppure, accadeva con frequenza che il rapporto tra
commensale e personale di sala fosse alquanto freddo, difficilmente si instaurava quell’empatia temporanea che avrebbe consentito di agevolare
entrambi. Altre volte il personale (e non solo) dedicava più attenzione a coloro che erano già clienti, incorrendo in uno degli errori più
macroscopici per un locale che fa del pubblico la sua risorsa, perché è il nuovo che avvicina al domani, che crea il futuro, l’acquisito lo è già.
Operare in sala stava diventando progressivamente più complicato, e una naturale autoselezione si era già attivata, solo non ce ne eravamo accorti.
Si pensi alle recensioni in rete che si accaniscono su tutto per un pranzo o una cena con qualche intoppo, magari dopo un riscontro affermativo alla
domanda: “È stato di vostro gradimento?” uscendo dal locale. Se c’è qualcosa da dire, va detto subito, davanti al personale, è più utile per tutti:
spesso possono essere presi accorgimenti e cortesie riparatorie. Il team che legge le critiche può andare in crisi se la proprietà scarica solo su
di loro la responsabilità e, passi una volta, passi la seconda, alla fine la via di uscita è trovarsi un’altra occupazione. Altra condizione critica
è assegnare al personale ruoli che non sa svolgere con adeguata competenza. Il servizio del vino, non solo inteso come mescita, ma ancor più come
racconto, è stato troppo spesso considerato con superficialità, nonostante il prezzo in carta lasciasse presagire che chi avrebbe servito il vino
sarebbe stato qualificato. Per affermare di essere il sommelier del locale, bisogna esserlo davvero.
Stare in pubblico in un contesto in cui tutto si snoda sul concetto “il cliente ha sempre ragione” è diventato molto difficoltoso, e assorbire il
logicamente non assorbibile è frustrante e nega l’essenza di ogni professionalità. Meglio evitare quelle posizioni occupazionali in cui c’è solo una
direzione, hanno ragione solo gli altri, quelli del pago-pretendo, ed “essere in servizio” diventa un usa e getta.
I professionisti della sala conoscono e digeriscono con difficoltà le cose non positive quando la negazione è forzata. Se trovo un’occupazione che
mi evita questo, mi garantisce una sicurezza dei ritmi e dei tempi di lavoro, anche se non è affine alla mia indole lavorativa, anche se meno
retribuito, sai che ti dico?, ci provo! Attenzione, però, ricordiamoci di Pablo Neruda: “Chi si accontenta, non gode, ma lentamente muore”.
Noi che ci interessiamo al vino e al cibo, essenza di ristorazione e hospitality, siamo propensi a cogliere questa critica staticità come un
carburante per energizzare una nuova formazione di sommelier e di professionalità di sala, coniugando culture professionali differenti, ma affini,
per edificare un nuovo modello lavorativo, la cui essenza sarà la duttilità e non il “tuttofare”; dove il nuovo tra vino e cibo sarà un nuovo
d’innovazione, da toccare nella connessione cliente, vino/cibo e l’interlocutore del momento, sommelier, maître, chef o patron. Kevin Zraly, autore
di Windows on the World Complete Wine Course, ha sempre dichiarato che “il vino non è capace di vendersi da solo”, dipende dallo staff di sala,
dalla loro conoscenza del vino (e del cibo), dall’abilità a rispondere alle domande e a guidare gli ospiti nella loro esperienza.
Se l’attuale carenza di personale è la conseguenza di ciò, non c’è da stupirsi. Tutto questo però è recuperabile e ci sarà un nuovo fil rouge tra
cibo e vino.