Si parla ancora l’occitano nel Quercy, regione che deve il nome alle foreste di querce che riempiono di verde ogni angolo del territorio. Nonostante la bellezza paesaggistica quasi incontaminata, la zona è sconosciuta ai più, eppure vale davvero una deviazione, se non altro per ammirare il ponte Valentré a Cahors o la piccola Rocamadour, arroccata sopra il canyon di falesia calcarea che si erge dall’Alzou, circondata da una natura ancora selvaggia. Vi domina il vitigno malbec, che non è nativo di queste parti, ma proviene dalla Charente (areale del Cognac Aoc), frutto di un incrocio tra magdeleine noire des Charentes e prunelard, quest’ultimo originario della regione di Gaillac, nel dipartimento del Tarn. Parecchi sono i sinonimi: nella Valle della Loira è chiamato cot, mentre a Saint-Émilion noir de pressac o pressac.
Altri nomi poco collegati a una specifica area sono: vesparol, prolongeau, mauzat, grifforin, plant du Roy, per tornare a congiungersi a un territorio con plant du Lot e plant de Cahors. La maggior diffusione del vitigno è in Argentina, che assorbe quasi due terzi della coltivazione mondiale, seguita dalla Francia con seimila ettari, e altre presenze residuali in Cile, Sud Africa, California, Uruguay, Nuova Zelanda e Italia. Nel Sud-Est della Francia, nella zona di Cahors, dipartimento del Lot, prende il nome di auxerrois. Hanno tanta storia alle spalle Cahors, il territorio e il vino, strettamente legati l’uno con l’altro in quegli elementi identitari che lo storico Pascal Griset e il ricercatore Léonard Laborie compendiano così: “la città, il vitigno malbec e il terroir di altipiani (causse) e vallate”. Le causse (parola occitana) sono pianure carsico-calcaree, anche aride, caratterizzate da profonde vallate, con vegetazione d’arbusti e scarsa boscaglia; i fiumi Aveyron e Tarn vi hanno scavato dei canyon con spettacolari conformazioni rocciose.
Cahors sta lì, adagiata sulla causse, sulle rive del fiume Lot, e vive di luce riflessa da una storicità che risale all’imperatore Augusto. Ebbe un ruolo strategico nell’economia medioevale, fu città universitaria dal 1332 al 1751, attraversò la guerra dei Cento Anni, poi la campagna si ripopolò e le vigne spuntarono un po’ dappertutto, fino a lambire le porte della città. Il vino era elaborato all’interno delle mura, per questo – secondo il poeta Clément Marot – il rosso divenne “vin dit de Cahors”: era il XVI secolo. “Rouges de Cahors” furono venduti a San Pietroburgo nel 1728 al costo di 22 rubli per una barrique, un prezzo non inferiore ai celebrati cru di Francia. Interessanti le informazioni sull’areale di Cahors che l’agronomo inglese Arthur Young riporta in Travels in France (1792): “Il vero vino di Cahors, che ha una grande reputazione, è ottenuto da appezzamenti di vigne rocciose che si collocano sulle alture esposte a mezzogiorno e si chiamano vin de grave a causa del suolo pietroso”.