C’è stato un tempo in cui gli uomini vivevano senza guerre, senza bisogno di leggi, senza coltivare la terra – poiché essa offriva frutti in abbondanza
– e senza necessità di case o ripari, nel tepore di un’eterna primavera. Per la mitologia romana era la leggendaria età dell’oro, l’aurea aetas
in cui tutto galleggiava in una sospensione temporale felice. In quel tempo la Borgogna non era stata ancora risucchiata nel Pantheon delle figure
culturali iconiche, come La Gioconda, la Quinta di Beethoven, il Taj Mahal. Era una semplice regione vinicola. Il lettore giovane che oggi sente
aumentare il battito cardiaco al solo nome di Vosne-Romanée provi a immaginare come poteva apparire la Borgogna trenta o quaranta anni fa: nessuna
divinità in forma di cru, nessuna luce accecante dalle etichette che costringesse all’uso degli occhiali da sole. Nessun divo in forma di vignaiolo, con
tanto di manto di ermellino e scettro. Solo una semplice regione dove si coltiva la vigna e si fa vino.
A quella remota epoca serena occorre rifarsi, senza fanatici che ti rovinano la serata discettando su quale cru di D’Angerville sia più longevo, o sul
perché il produttore x “è passato al grappolo intero”, o come mai “la 2009 convince meno della 2010 nella parte mediana del Clos Vougeot”, per
immaginare un panorama borgognone non contaminato dall'eno-gastrofighettismo imperante oggi.
Come dite? Anche in questa serie di articoli sui “vini confinanti” si discetta di singoli cru, diraspatura, carattere delle annate?
Vero. Ma conta l’angolazione prospettica. “La pornografia è l’erotismo degli altri”, affermava lo scrittore e regista francese Robbe-Grillet.
È facile, quindi: se lo dico io (io enofilo, giornalista, enotecario, distributore, importatore, eccetera), è analisi critica; se lo dicono gli altri, è
enofighettismo.