L’iconografia classica del Piemonte di qualche decennio fa si allineava, senza ombra di dubbio, sul profilo di una regione “rossista”, popolata dai ben noti nebbiolo, barbera, dolcetto, freisa, grignolino. Il recente passato ha tuttavia dimostrato che erano ancora moltissime le “sfumature di bianco” nella tavolozza del vino piemontese, oltre alla tradizione storica del moscato: dagli anni Sessanta in poi è stata la volta dell’affermazione su larga scala del cortese di Gavi, dell’arneis nel Roero, della wine revolution del Timorasso, in tempi ancora più recenti. E i gioielli da scoprire sono ancora molti. Dalla fine degli anni Novanta la nascetta si è inserita in questo quadro dinamico e orgogliosamente territoriale, in modo ancora più inaspettato se pensiamo che quest’uva trova la sua tradizione in uno dei comuni del Barolo, nel cuore storico dell’anima langarola.
Nascetta, nas-cëtta, anascetta, danascetta: tanti sono i nomi con cui il vitigno e il vino hanno preso forma nel corso del tempo, da quando erano citati, nei primi documenti del XIX secolo, come “uva molto fine”, “uva delicatissima e vino squisito”, sino alla recente riscoperta che ha portato alle attuali denominazioni Langhe Nascetta del Comune di Novello Doc e Langhe Nascetta Doc. Per ragioni di uniformità, ci riferiremo al vitigno, e al vino, in questo articolo, con la grafia Nascetta, consapevoli che il termine Nas-cëtta (che restituisce l’espressione dialettale novellese) è utilizzabile esclusivamente per i vini provenienti dal comune di Novello all’interno della sottozona dedicata nella Doc Langhe.