la grappa vola alto Marco Visentin La grappa è un vero emblema italiano. Ogni sorso interpreta il luogo da cui proviene: i campi in fiore a primavera, il fieno tagliato, il profumo della frutta, la rosa canina, il gelsomino, la lavanda, il muschio e il tralcio di vite, le spezie, la frutta secca, le erbe aromatiche, il cuoio e il tabacco, la vaniglia, il miele e la tostatura. La grappa diventa espressione culturale di un territorio. Quando si parla di grappa, qualcuno pensa ancora a un distillato ruvido, diretto, pungente, al calore che infondeva al contadino nel duro lavoro dei campi. Molto tempo è passato. La grappa si è evoluta, è migliorata, si sono ottimizzate le tecniche di produzione, sono cambiate le materie prime, e ora si rivolge a consumatori sempre più informati. A conferirle una personalità distintiva sono le sostanze rilasciate dalle vinacce durante la distillazione: possiamo definirla la quintessenza dell’uva. La genialità dei distillatori italiani sta nell’aver creato una bevanda a partire da uno scarto di produzione destinato a essere smaltito nei campi. Oggi è un distillato di eccellenza, con profumi fini e preziosi, riconosciuto ed esportato in tutto il mondo. Quel distillato rude e pungente si è trasformato da crisalide in una farfalla leggiadra, un processo iniziato intorno alla metà del secolo scorso, che ha impiegato alcuni decenni per completarsi, fino a raggiungere un grande traguardo: la Grappa Nonino, infatti, è stata insignita del Wine Star Awards, il prestigioso premio internazionale di “Wine Enthusiast”, nella sezione Spirit Brand/Distiller of the Year 2019. L’azienda friulana ha portato l’Italia nell’Olimpo dei distillati ed è la prima italiana ad aggiudicarsi questo riconoscimento. La normativa europea attribuisce solo all’Italia la possibilità di utilizzare il termine “grappa” per riferirsi al prodotto ottenuto per distillazione di vinacce fermentate o semifermentate in modo continuo o discontinuo, oppure diretto o con vapore acqueo. La determinazione dello stile è legata anche al mastro distillatore che interpreta il territorio, la cultura, la tradizione, il vigneto scelto. Non esiste una sola grappa, esistono le grappe. Ognuna è diversa per le vinacce utilizzate, la zona di produzione delle uve, la tipologia di alambicco impiegato. L’assaggiatore va alla scoperta di culture e tradizioni diverse, legate al mondo della viticoltura, che ogni regione italiana offre in abbondanza. Il concetto di distillato “antico” o “vecchio” è stato sostituito dall’immagine positiva di un distillato unico nel suo genere. Negli anni Sessanta i principali produttori veneti e piemontesi si sono avvicinati alla produzione industriale di grappa bianca con forti investimenti, anche pubblicitari: tutti ricordiamo Mike Bongiorno sulla vetta del Cervino. Si esaltavano i valori della forza, della fatica, dello sport e si delineava un consumatore di grappa ancorato alle proprie radici. Negli anni Ottanta studi e ricerche per migliorare lo standard qualitativo dei distillati da vinaccia hanno apportato innovazioni nelle tecniche produttive. Si valorizza il monovitigno unico, che garantisce alla grappa doti di morbidezza e delicatezza, staccandosi dal modello che aveva caratterizzato la produzione rurale. Cresce l’interesse in una fascia di consumatori sempre più attenta ed esigente, i degustatori di distillati. Il cambiamento investe il packaging: le bottiglie diventano ricercate, elaborate, soffiate dai vetrai di Murano, espressioni artistiche in molteplici forme e materiali, in cuoio o legno, vere opere d’arte. Le confezioni si fanno sempre più ricche, con grafiche accattivanti. Mutano pure le dimensioni: la bottiglia da un litro è sostituita da contenitori più piccoli, adatti a custodire il prezioso distillato. La grappa non è più un digestivo da bere dopo pranzo, ma un distillato che evoca sensazioni appaganti e suscita emozioni. Non è più bevanda da osterie o taverne, ora entra da protagonista nei ristoranti a fianco dei più grandi distillati del mondo. Il consumatore è esigente, ama prodotti di eccellenza che si intrecciano con la tradizione italiana, con un’interpretazione moderna ed elegante, dal gusto distintivo e raffinato. italiano, mantenendo però il prodotto finito enon modificabile. L’origine della grappa quindirimane italiana, di vinaccia italiana, vinificatae distillata in Italia. L’Italia è l’unico paese diproduzione della grappa. A differenza di altri distillati europei, non avrebbe bisogno di riposare in legno. Il distillatore, tuttavia, può decidere di lasciarla maturare qualche mese in acciaio o in legno, anche per lungo tempo. La grappa invecchiata è affascinante, ma occorre partire da un’acquavite di grande qualità. Solo una grappa di alta qualità può riposare per lungo tempo in botte per farsi avvolgere dalla magia della porosità del legno. Grappa e aria vengono a contatto negli spazi microscopici del legno e danno il via a una danza di molecole che riappaiono nel distillato invecchiato come aromi ricercati. L’ossigeno modifica molti componenti del distillato, mentre l’alcol scioglie e incorpora alcuni elementi solubili del legno. La grappa invecchiata quindi si arricchisce di profumi, aromi e sapori generati dal legno di cui è fatta la botte. L’azione del legno, tuttavia, ha un “costo” molto elevato: una parte del distillato esce dalla botte attraverso la sua porosità e si disperde nell’atmosfera sotto forma di particelle aeree. Questo processo è chiamato “calo della botte” o, come dicono in Francia, è la “parte per gli angeli”. In etichetta, normata da un recente decreto, è possibile indicare il vitigno di origine, una o al massimo due varietà. Si può riportare il nome del vino da cui derivano le vinacce se è Doc o Docg. Anche la territorialità è garantita dall’etichetta: la normativa europea prevede di attribuire il nome del luogo di origine per indicare un prodotto di qualità, come Grappa del Piemonte, Grappa di Barolo, Grappa di Lombardia, Grappa del Trentino e dell’Alto Adige, Grappa del Veneto, del Friuli-Venezia Giulia o Friulana e le recenti grappe di Sicilia o la Grappa di Marsala. Il decreto 5389 del 2011 (MIPAF) attribuisce l’indicazione geografica “Grappa” al prodotto ottenuto da vinaccia italiana vinificata, distillata e imbottigliata in Italia. Tuttavia, la parola “imbottigliata” è stata eliminata nel comma 2 del decreto 747 del 2016, consentendo di imbottigliare la grappa fuori del confine italiano, mantenendo però il prodotto finito e non modificabile. L’origine della grappa quindi rimane italiana, di vinaccia italiana, vinificata e distillata in Italia. L’Italia è l’unico paese di produzione della grappa. La distillazione è un procedimento fisico antichissimo, testimoniata in antichi documenti egiziani e babilonesi. Nel Medioevo e con la Scuola Medica Salernitana si affinano le tecniche di distillazione, prendendo spunto dall’esperienza araba. Anche il termine “alcol” deriva da una parola orientale che significa “polvere impalpabile per tingere le sopracciglia”. In Italia i primi a sperimentare la distillazione delle vinacce furono i contadini dei secoli scorsi. Utilizzavano la “picchetta”, costituita da vinacce esauste, che veniva allungata con l’acqua per produrre un vino annacquato ad uso casalingo. La grappa in origine aveva una personalità graffiante ed era chiamata “crap” (uncino), “graspo” (grappolo), poi “branda” in Piemonte, “grapa” in Lombardia, “graspa” in Veneto, “sgnape” in Friuli. Non ci sono indicazioni chiare sulla sua nascita. La realtà contadina, spesso analfabeta, non ha lasciato documenti su questa attività. Alcuni manoscritti precedenti al Seicento citano la distillazione, senza però specificare se si trattasse di una distillazione di vinaccia o di vino. Nel Seicento furono soprattutto i gesuiti a studiare i metodi di distillazione, come Francesco Terzi Lana. Se ne trovano tracce in uno dei primi vocabolari, nel 1896. Appena nata, la grappa era prodotta di nascosto per evitare le tasse imposte dai legislatori. La distillazione quindi era clandestina, effettuata di notte, spesso nelle baite di montagna, quando pioveva, nevicava, quando c’era vento o nebbia, in due persone perché uno restasse di guardia. Le bottiglie riempite però non potevano essere trasportate alla luce del sole. Occorrevano ingegno e astuzia per eludere i controlli. Una modalità efficace era quella di nasconderle sottoterra, dove rimanevano per mesi, legate una ad una con del filo di ferro per poter essere recuperate. Ancor oggi su alcune etichette, in Piemonte o in Sardegna, “Filu e ferru” ricorda questa grappa clandestina. Per venderla i commercianti utilizzavano la “baga”, un otre di capra riempito di grappa e nascosto tra i sacchi di farina sui carri trainati dai buoi, oppure la “pancera”, un budello di maiale celato sotto le gonne delle signore. Il commercio clandestino cessa con la comparsa dei “grapat”, ambulanti che distillavano a domicilio e si accollavano l’onere fiscale in cambio di un quantitativo di vinaccia o di distillato. La medicina popolare se ne serve per curare il mal di denti, l’insonnia, le cicatrici, la bronchite, la tosse e la febbre. Durante le guerre mondiali assume un’identità patriottica associata all’immagine dell’Alpino al fronte. Dal 1951 inizia un periodo nuovo per la grappa, che raggiunge il suo apice negli anni Sessanta, quando la pubblicità spinge al consumo di massa. Tutto cambia quando in Friuli-Venezia Giulia si distilla una vinaccia da un solo vitigno, il picolit. Si brevetta un nome particolare che lega la distillazione del vitigno singolo a un nuovo inizio: l’acquavite d’uva. Non più un distillato di vinacce, bensì di una spremuta d’uva costituita dalla parte solida e dalla parte liquida del pigiato. L’acquavite d’uva nasce nel vigneto: è lì che si originano gli aromi varietali, cioè il profumo dell’uva, che diventano espressione essenziale di un distillato di qualità. Non solo la buccia, quindi, ma tutta la ricchezza del succo e della polpa dell’acino. La diversa materia prima utilizzata, rispetto alla vinaccia, spinge le aziende a una nuova tecnologia di distillazione. Tutto evolve rapidamente: cambiano le condizioni di fermentazione della materia prima da distillare, cambiano gli impianti e la tecnologia applicata. L’uva viene prima parzialmente fermentata, poi distillata mediante alambicchi discontinui e a vapore per realizzare un distillato piacevole, elegante come seta. Il gusto è pulito, sobrio, fine, con un bagaglio aromatico che ricorda nettamente l’uva da cui è stato ricavato. Cambia l’alambicco. Le distillerie si caratterizzano per l’altissima tecnologia e l’attenzione costante al processo di distillazione, con l’obiettivo di preservare l’uva e non lasciarla aggredire dal calore: in alcuni casi le caldaie lavorano sottovuoto. La grappa è sempre stata un modo economico per la realizzazione casalinga di liquori e infusi. Ancor oggi il pino mugo, dal gusto balsamico dolciastro, è una base medicamentosa nella stagione invernale. La tradizione popolare porta a conservare nel tempo la stagionalità della frutta: pere, ciliegie, albicocche, prugne, fragole, frutti di bosco sono immersi con qualche cucchiaio di zucchero e alcune spezie “sotto spirito”. Tradizionalmente la grappa è servita al termine di un pranzo, ma si può abbinare anche con il cibo, in particolare accostando i profumi del distillato con quelli della frutta. Le grappe giovani più delicate possono trovare una giusta collocazione con dolci a base di mandorle, crostate di frutta o pasticceria napoletana. Intrigante l’abbinamento con le mousse al cioccolato e i dolci con gli amaretti. Un matrimonio di successo sposa le grappe stravecchie con tortini al cioccolato fondente, dolci al caffè, panforte e panpepati. Possiamo azzardare felici accostamenti con preparazioni salate, con alcuni formaggi, piatti di carne di cinghiale speziati, con lo speck dell’Alto Adige o con il petto d’oca affumicato, oppure, ricordando tradizioni dell’Est europeo, il caviale e il pesce crudo. La mixology moderna ha preso in considerazione drink ottenuti con grappe. L’IBA – International Bartenders Association – ha coniato il cocktail VE.N.TO., evocativo del Triveneto, che mescola grappa bianca, succo di limone, miele e sciroppo di camomilla. In salotto con gli amici l’abbinamento perfetto è una grappa invecchiata con del cioccolato fondente e un sigaro toscano. Ai distillati d’uva possiamo accostare il cioccolato bianco o al latte; con grappe invecchiate è perfetto un cioccolato criollo al 70%, raggiungendo con grappe stravecchie il 99% di cacao. L’abbinamento con i sigari, poi, è un’esperienza affascinante per i cultori del gusto. La potenza del sigaro entra in armonia con quella del distillato e la sua persistenza gusto-olfattiva, che intreccia speziatura, boisé e piccante, è esaltata da una grande grappa.