Morbide, avvolgenti, opulente. Sono le birre da meditazione da sorseggiare con calma, in riflessivo relax, cullate in una coppa balloon e valorizzate dal fuoco di un suggestivo camino.
fire's beer
Riccardo Antonelli
Le birre sono catalogate in modo scientifico all’interno di stili ben precisi, con limiti ben visibili sotto tutti gli aspetti tecnici della degustazione. Gli stili, a loro volta, prevedono sottostili, o diventano in taluni casi famiglie di stili, come la famiglia delle Bock o delle Weizen. In questo articolato mondo, tuttavia, osserviamo talvolta la necessità di uscire dalle regole e volgere l’attenzione alla matrice più intima e personale del degustatore. Secondo Charlie Papazian, guru mondiale della comunicazione della birra craft e tra i fondatori della celebre Brewers Association, benché sia necessaria una catalogazione specifica come quella che conosciamo, l’equilibrio e le caratteristiche di una birra si spostano a seconda del momento in cui la si beve. Centro focale di questo nuovo punto di messa a fuoco non è più la birra, ma il degustatore. Il momento ottimale richiede volta per volta una nicchia specifica di prodotti, totalmente trasversale alle logiche che abbiamo imparato. Ci troviamo davanti alla possibilità di scegliere sradicando le nostre conoscenze, alla ricerca di una spensieratezza meritata, arrivando a dire che esistono birre da bere in spiaggia, diverse da quelle da bere in campeggio. Birre da bere dopo lo sport e altre da gustare alla fine di una lunga giornata di lavoro. Birre adatte al dondolio di un’amaca e birre perfette da sorseggiare davanti al camino.
Amo questa rappresentazione, perché inconsciamente stiamo mettendo nero su bianco che la birra, quella vera, anche se fatta con la massima attenzione, le materie prime più fresche e conservata in maniera ottimale, deve essere riassociata ai caratteri di spensieratezza. La conoscenza, mossa dalla curiosità, è utile per comprendere tecniche e tecnicismi che si celano dietro un prodotto, ma siamo noi che scegliamo la birra a seconda del momento e dello stato d’animo. È da considerare anche il risvolto commerciale che questo comporta. Perché, se è vero che ognuno di noi sceglie per sé stesso, e che il singolo può avere bisogni differenti dal gruppo, la statistica mostra che le masse smuovono percentuali rilevanti di varie categorie di prodotti in diversi momenti dell’anno: le birre di frumento belghe o tedesche hanno picchi di vendita in estate, mentre il macroscopico ed eterogeneo mondo delle dark/black beer vede una rinascita in inverno. Le eccezioni esistono, ma conoscendo questi meccanismi elementari è più facile orientare la produzione di alcuni stili di birre in birrificio. Anche la birra artigianale, dunque, ha un suo momento ottimale di consumo, e questo si collega a tutti gli altri mondi qualitativamente rilevanti sul mercato. A spostare i momenti ideali di consumo sono la qualità e la biodiversità, che si ritrovano nei migliori vini, pietanze, distillati, caffè, cocktail e così via. Da questo punto di vista, lo stacco con l’industria è netto. L’industria cerca e ottiene la tranquillità della cosiddetta “commodity”, bene generico che con piccole oscillazioni di vendite durante l’anno garantisce costanza macroscopica con il minimo apporto di lavoro extra. Questa regola fondamentale non consentirà mai all’industria di avere le armi necessarie per vincere la qualità delle birre artigianali. L’obiettivo è diverso.