Oggi tutti parlano di olio extra vergine di oliva, ma quanti conoscono davvero la complessità e la vastità di questa “giovane” categoria merceologica?
Giovane non a caso, perché, sebbene si estragga olio dalle olive da almeno seimila anni, sono trascorsi poco più di sessant’anni da quando la dicitura
commerciale “olio extra vergine di oliva” è stata per la prima volta introdotta in Italia, nel 1960, e in seguito recepita e adottata da tutti gli altri
Paesi nel mondo.
Esistono oli monovarietali, o monocultivar, ottenuti dalla spremitura di olive di una unica varietà, e oli “blend”, ovvero extra vergini frutto di una
opportuna miscelazione. Questi ultimi non sono in contrapposizione ai primi, come alcuni erroneamente immaginano.
Il blend si realizza mescolando oli tra loro diversi
- per origine: provenienti cioè da diversi territori, che
possono essere a loro volta poderi, comuni, province, regioni o stati diversi;
- per cultivar: in modo da ricavare un olio
plurivarietale;
- per modalità di estrazione: oli ottenuti da molitura con macine e presse mescolati con quelli ricavati da
estrazione con metodo continuo con decanter; e dunque oli da una parte dolci, rotondi e morbidi con oli più amari e piccanti, dal fruttato più marcato;
- per periodo di raccolta: oli da olive invaiate con oli da olive mature;
- per olivagione: oli della
precedente annata olearia con oli di fresca molitura.
Il blend è il frutto di un’arte. Il termine italiano “miscela” purtroppo si è svilito e non rende a sufficienza l’importanza e la necessità
di una simile operazione.