criticità gastronomiche
Valerio M. Visintin

Non starò a ripetervi che la critica gastronomica, in Italia, è un parto incompiuto, un ruolo nominale al quale non si associa la relativa funzione, con debite eccezioni a conferma della regola. Inutile riparlare degli ammanchi etici che oscurano il cammino quotidiano di chi dovrebbe giurare di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Come il marito fedifrago in una pochade di Feydeau, la critica nazionale preferisce applicare una variante alla formula, giurando di dire la verità, tutta la verità, tutt’altro che la verità.
Ma che senso avrebbe tornare su questo scabroso tema proprio ora, alla vigilia di una rivoluzione benigna che spazzerà via le cattive abitudini come foglie secche?
Nel mondo che costruiremo dopo il tormentato biennio del Covid (lasciatemi fingere d’essere ottimista) sarà tre volte Natale e anche i critici dei ristoranti onoreranno i loro obblighi deontologici. Tuttavia, resteranno aperte alcune questioni che imbrigliano la nostra sfera d’azione, rendendola più fragile e precaria, rispetto all’omologo impegno dei critici di altre materie. Condenso i punti critici in cinque capitoletti, per i quali non esiste una vera soluzione.

Numero di visite 

Una singola visita non è sempre sufficiente per raccogliere indizi sulla natura e sul carattere di un locale. Il ristorante non è mai uguale a sé stesso. C’è la possibilità che, proprio in occasione del nostro sopralluogo, qualcosa sia andato storto. O che, al contrario, si guasti tutto dal giorno successivo, per una ragione o per l’altra. La verità è che i ristoranti sono opere in movimento, che noi immortaliamo in una fotografia istantanea. Ma – per questione di quattrini, di tempo e di opportunità – non possiamo permetterci il lusso di effettuare test ripetuti, prima di emettere la nostra sentenza. Le recensioni sono un compromesso tra ciò che percepiamo direttamente e quel che osiamo supporre.