le mille anime del palomino
Roberto Bellini

Nel 1966 Caterina Caselli cantava Una vita, Cento vite, ed è questo che viene in mente pensando al palomino, un’uva capace di dare un vino con l’anima di cento vini. È un vitigno che ama farsi forgiare dall’intelletto dell’uomo, vuole essere modulato, come l’attore che attende dal regista gli stimoli necessari per far emergere la sua vena drammatica o comica.


Columella nel De re rustica (I sec. d.C.) consigliava di selezionare le piante molto vigorose, piene di salute, anticipando quanto si è iniziato a fare in questo areale con una certa sistematicità dal 1970: selezionare le migliori viti. Il palomino pare debba il nome a un cavaliere del re Alfonso X di Castiglia, detto il Saggio, il valoroso Fernand Yáñez Palomino, la cui famiglia è ancora attiva nel commercio del vino. In realtà, c’è palomino e palomino. A Jerez regnava il palomino de Jerez, ora conosciuto come palomino basto e relegato a sporadiche comparse nei vecchi vigneti. Agli inizi dell’Ottocento occupava quasi interamente le vigne di Sanlúcar de Barrameda, contro il 5% del palomino fino, che con il tempo l’ha progressivamente sostituito.


Ha molti nomi: listan, horgazuela, seminario, xérès, temprana, tempranilla, albán e palomina. La vendemmia avveniva entro le prime settimane di settembre, ma oggi è anticipata a metà agosto per via dei cambiamenti climatici. Esiste una serie impressionante di cloni e di sinonimi, a partire da quelli selezionati da Fernandéz de Bobadilla a Davis, in California: palomino fino (clone 84) e palomino fino (clone Davis), palomino negro, palomino pelusón e palomino macho. In Portogallo prende il nome di perrum, in Sud Africa white french, in Australia sweetwater. Da quest’uva si esige una limitata concentrazione di acido malico, un’adeguata presenza di citrico e un’ottima dose di tartarico.Tende a dare mosti con bassa acidità e contenuta concentrazione di zucchero. Il colore del vino è giallo pallido, con un bagaglio odoroso che non brilla per personalità: leggermente erbaceo, con lievissimi cenni di fiori di campo e un alito fruttato.


In Andalusia il suolo d’elezione è quel bianco calcare chiamato albariza, ovvero un gesso soffice ricco di carbonato di calcio (fino al 40%), poi di silice e argilla, con presenza di conchiglie dell’Oligocene.