questione di dehors
Valerio M. Visintin

Evocati dal caldo e promossi dalle agevolazioni fiscali, sono tornati a fiorire i dehors, gioie e dolori delle nostre città. Ristoranti e locali sono sbucati fuori dalle sale, invadendo le strade con tavoli, stoviglie e pietanze. È tutto un magna magna, verrebbe da dire, se l’espressione non avesse una coloritura plumbea. Ma è vero che si mangia e si beve dappertutto, come se non avessimo nessun’altra risorsa plausibile per santificare il nostro tempo libero. Siamo mosche da bar, portatori non tanto sani di bicchieri e di forchette.

 
Inutile negare, tuttavia, che questa esplosione di vita ci rallegra. Pompa nuovo sangue nelle casse di un settore vampirizzato dal biennio virale. E ci riconduce a una convivialità sfilacciata da mesi di allarmi assortiti.
Se il concetto di bene comune non fosse un’utopia, se la nostra società non fosse intasata da interessi personali che si urtano e si azzuffano tra loro come i capponi di Renzo Tramaglino, saremmo a posto così. Ci godremmo questa chiassosa e benedetta fioritura in santa pace, senza se e senza ma. E se invece i dehors sono accampati sotto le nostre finestre? Se requisiscono i nostri parcheggi? Se le feste degli altri inquinano il nostro sonno?

 
Che dire della decantata movida, che utilizza i dehors come rampa di lancio per espugnare ogni spazio disponibile? Un assembramento di umanità etilica, che si scola le serate immersa in una gazzarra ottundente. D’altra parte, l’assembramento è il simbolo tangibile di un individualismo corale, patologia antica e contemporanea. Un’area del pensiero nella quale ognuno è autorizzato a farsi i comodi propri, ma intruppato nella folla, brucando il fiore di un alibi collettivo. L’assembramento è la religione più urgente dei giorni nostri. Il massimo sintomo del cretinismo di una società fondata sul primato del denaro, del possesso e del divertimento inteso nella sua forma più assordante, superficiale ed effimera.

 
Il guaio è che i principali responsabili sono proprio quelli come me, che hanno scavalcato i cinquanta. Abbiamo smantellato tutti valori con i quali siamo cresciuti. Non abbiamo tramandato né la nostalgia del passato, né la passione per il futuro.