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Francesca Zaccarelli

Il contesto storico che stiamo vivendo è forse uno dei più drammatici che la storia contemporanea potrà ricordare. Agli effetti dell’instabilità economica globale, aggravati dalla pandemia ancora in corso, si è unita una crisi climatica senza precedenti.

Le conseguenze devastanti di tali fenomeni hanno costretto ciascun paese a ripensare in modo profondo al sistema vigente, le cui falle stanno presentando un conto altissimo. Persino l’Unione Europea si è trovata più unita e solidale, tanto che la risposta finanziaria per soccorrere gli stati membri in difficoltà è stata quasi immediata. Al centro del progetto di ripresa non c’è solo il sostegno alle nazioni più colpite dall’ondata pandemica, ma la visione più ambiziosa di portarle tutte a un livello di sostenibilità maggiore, con un’attenzione particolare verso due pilastri da sempre al centro della politica e dell’economia dell’UE: l’agricoltura e l’ambiente.

Nasce così lo strumento della NextGenerationEU, il cui aspetto più pragmatico si concretizza nel meglio conosciuto Recovery Plan. Un piano appunto, e non solo un aiuto economico, che vuole cogliere l’occasione di trasformare radicalmente il sistema europeo, rendendolo più ecologico, digitale e resiliente. E un’opportunità di crescita e intervento unica nel suo genere, che conterà da qui al 2026 investimenti complessivi per quasi 750 miliardi di euro, ripartiti fra prestiti (390 miliardi) e sovvenzioni (360 miliardi).


È indubbio che l’Italia abbia sofferto più di altri a causa della pandemia, registrando un calo del PIL dell’8,9% (la media in Europa è stata del 6,2%) e il triste record di nazione con più decessi da Covid-19. La ragione di queste drammatiche conseguenze è da ricercarsi anche nel già fragile contesto economico-sociale che caratterizza la nostra penisola. Basti confrontare la crescita dal 2009 al 2019, che in Italia è stata dell’8%, mentre in Germania, Francia e Spagna è arrivata rispettivamente al 30,2%, al 32,4% e al 43,6%. Il dato deludente è legato a limiti politici e strutturali, all’incapacità di cogliere le molte opportunità legate alla rivoluzione digitale e alle caratteristiche del nostro tessuto produttivo, composto prevalentemente da piccole e medie imprese reticenti verso l’innovazione e spesso non supportante in questa transizione.