biblioliteca Luigi Caricato Ogni tanto mi chiedo se si possa legittimamente parlare di “letteratura oleofila”. Ebbene, da ottimista quale in fondo sono per natura, mi rispondo sempre che sì, è possibile, pur consapevole che tale proposito resti, comunque, incompiuto e incompleto. Manca, per esempio, un’opera organica di storia dell’olivo e dell’olio. Un vero peccato, soprattutto per un Paese dalla grande storia olivicola e olearia. C’è da osservare tuttavia che ormai sono tanti i libri tematici, tra quelli disponibili in commercio, seppure con il grosso limite di una vita di scaffale breve. In libreria i volumi entrano ed escono rapidamente e talvolta non vi entrano nemmeno. Sono disponibili perlopiù venduti direttamente dall’editore o nei canali di vendita del web. In ogni caso, il dato positivo è che vi siano molte più pubblicazioni che in passato, e di taglio diverso, non solo meramente tecnico. Si affronta il vasto sapere legato all’olivo e all’olio in modo più interdisciplinare. Il punto vincente per creare una “letteratura oleofila” sta proprio nell’andare oltre i libri volumi dai contenuti espressamente tecnico-scientifici, rivolti pertanto a studiosi o comunque a lettori esperti. L’apertura a testi divulgativi, destinati a un pubblico generalista o di appassionati oleofili è la nuova tendenza che tuttavia fatica a imporsi, ma almeno c’è, rispetto a un passato che ignorava tale pubblico. Di libri tematici oggi dunque ce ne sono, anche se in realtà ce n’erano pure in passato, ma – lo sostengo per esperienza personale – da studente negli anni Ottanta i libri di “industrie agrarie” avevano la voce elaiotecnica piuttosto debole e lacunosa, sia per i contenuti, non aggiornati, sia per le stesse immagini con cui veniva rappresentato il processo produttivo: si ignorava in sostanza l’evoluzione tecnologica; non si annunciava in alcun modo il futuro, si continuava a insistere esplicitando solo il passato, non considerando mai a sufficienza il presente, quello di un periodo (allora, anni Ottanta) in cui comunque si registravano dei timidi ma sostanziali passi in avanti. C’era, all’epoca, un forte e profondo scollamento con la realtà. Poi, a un certo punto, a partire dalla fine degli anni Novanta, iniziò progressivamente a mutare lo scenario. Non tanto per via di una visione avveniristica, con l’idea di imprimere una decisiva svolta a un settore in quel tempo arretrato e dormiente, quanto invece per superare il forte stato di crisi e afflizione in cui versava il comparto produttivo. Si pubblicarono così tanti libri, perlopiù manuali. E scusate se cito me stesso, ma non posso tacere il notevole ruolo da me esercitato in quella fase di ricostruzione di una identità perduta. Il mondo dell’olio non aveva una propria “biblioteca olearia”, ne era sprovvisto. Iniziai così a collaborare per molte riviste – davvero tante – proponendo rubriche sull’olio, accettate inizialmente con atteggiamenti di curiosità misti a stupore e titubanza. Poi però si comprese la portata di tali contributi, l’utilità dei risultati raggiunti. Fu l’inizio, a cavallo tra seconda metà degli anni Novanta e primo decennio del Duemila, di una stagione virtuosa che oggi ha dato tanti buoni frutti, anche perché finalmente esiste un embrione di “letteratura oleofila”, sia tecnica (che ora è più costante nelle uscite editoriali e con una composita varietà di proposte) sia divulgativa. Io stesso ho voluto eccedere in tal senso, sia come autore di numerosi libri, sia fondando una casa editrice, Olio Officina, incentrata tutta sull’olio: una scommessa – imprenditorialmente alquanto rischiosa, lo ammetto – che dal 2013 si esplicita in una nutrita serie di pubblicazioni di libri e riviste, con oltre cinquanta titoli dedicati. Chiedo scusa se scrivo di me, ma d’altra parte nessuno può disconoscere il mio ruolo in questo risveglio del mondo oleario, proprio attraverso un processo culturale di ampio respiro. Non è così consueto pubblicare libri di antropologia dal titolo Il volto umano dell’olio (ne è autrice Daniela Marcheschi, per Olio Officina), o È l ’olio, bellezza. Viaggio letterario nelle culture dell’olivo , autore Giorgio Barbaria, sempre per Olio Officina. Mi fermo qui, per non eccedere in autocitazioni. Ciò che importa, è che la strada che ho intrapreso sia andata oltre ai contenuti puramente tecnici. Aspetto molto importante, questo, perché ritengo che per creare una autentica “letteratura oleofila” ci si debba rivolgere non solo agli addetti ai lavori, ma a un pubblico di semplici appassionati e curiosi. Per creare una vera e profonda “cultura di prodotto”, e portare di conseguenza anche la gente comune a interessarsi di olio, è bene puntare a un pubblico generalista, così da creare una rete di appassionati oleofili. È proprio per questo che credo fortemente nei valori dell’AIS, l’Associazione Italiana Sommelier, la quale dal 1965 a oggi ha avuto un ruolo chiave nel trasmettere una cultura popolare del vino. E poi, detto con tutta franchezza, quanto a letteratura, il mondo dell’olio non è certo secondo a quello del vino. Sicuramente si è incagliato nel tempo, questo sì, perdendo posizioni strategiche, ma ha avuto un periodo epico e aggiungerei perfino glorioso, a opera della famiglia Novaro, la stessa che ha creato il celebre marchio Olio Sasso. Con la rivista letteraria “La Riviera Ligure” (1895-1919), i Novaro introdussero una nuova chiave interpretativa, riuscendo a portare l’olio da olive al di fuori dei confini dello strettamente tecnico. Sulle pagine della storica rivista si leggeva di paesaggi, di olivi, di olive e di olio, ricorrendo a figure autorevoli del mondo letterario e artistico, senza nemmeno trascurare il mondo della medicina (precorrendo i tempi, i Novaro inventarono, tra l’altro, il celeberrimo “Olio Sasso medicinale”, un vero must dell’epoca). Fu una rivoluzione copernicana la loro rivista e si aprì uno scenario inedito per il mondo dell’olio. Peccato solo che tale progetto abbia avuto una durata limitata nel tempo e che non ci sia stato alcun fermento culturale che coinvolgesse e investisse l’intero settore, troppo estraneo, evidentemente, a simili sollecitazioni culturali. Eppure, questa pur breve parentesi è stata quanto mai determinante, riuscendo ad andare oltre gli aspetti propriamente letterari e artistici. Non si trascuri il fatto che i Novaro crearono sostanzialmente anche una visione nuova, più moderna, di pubblicità, precorrendo - anche in questo caso - di gran lunga i tempi, con risultati eclatanti rispetto a molti altri prodotti alimentari, vino incluso. Come sempre, la differenza la fanno le persone. Quando, però, non si crea un substrato fertile, tali spinte innovative sono destinate a spengersi. Come è accaduto. Infatti, il mondo dell’olio, dopo la stagione d’oro tra fine Ottocento e inizio Novecento, non ha più registrato simili spinte propulsive. Nemmeno oggi. Così, per tornare alla mia annunciata visione ottimistica e propositiva, di cui ho ben chiarito all’inizio, debbo semmai puntualizzare che si tratti più di tenace volontarismo che non di verace ottimismo. La situazione non è ahinoi tra le migliori, ma siamo sulla strada giusta, quella dell’acquisizione di una consapevolezza. Il limite, per ora, è solo culturale - e forse anche (ma non vorrei offendere gli attori del comparto) di natura antropologica. Perché, effettivamente, stupisce che un alimento così prezioso e unico qual è l’olio extra vergine di oliva lo si conosca ancora poco. Non è un caso che lo si consumi da sempre ma senza mai conoscerlo a sufficienza. Proprio per questo ritengo che l’idea di concentrarsi anche su libri e riviste a carattere oliocentrico sia la strada maestra da intraprendere. Il fatto che non ci sia ancora una conoscenza reale e compiuta di tale materia prima lo si vede dai criteri di acquisto del consumatore, le cui scelte sono motivate solo e in via esclusiva dal prezzo più basso, quello in apparenza più conveniente. Si acquista l’olio in offerta, o in sottocosto. Una umiliazione inconcepibile l’averne svilito il valore declassandolo a prodotto commodity. Anche le ininfluenti quote commerciali raggiunte dagli oli con attestazione di origine Dop e Igp sono la chiara evidenza di un vuoto culturale che andrebbe colmato il prima possibile attraverso un serio processo culturale che non è stato ancora avviato in modo decisivo e strategico. Rispetto ai decenni passati si pubblicano - è vero - più libri dedicati all’olio, ma questi non vanno oltre la prima edizione. Quindi, molte volte non approdano neppure nelle librerie fisiche, circolando solo in quelle telematiche. Lo scarso successo in termini di copie di libri vendute lo si paga sullo scaffale. Faccio un esempio concreto: mentre nel primo decennio del Duemila la catena delle librerie Feltrinelli ospitava uno scaffale specifico denominato “Olio”, inserito nella macrosezione libri di cucina, negli anni Venti non compare più. I libri che trattano di olio sono collocati alla rinfusa, ciò vuol dire che vi è una scarsa rotazione e pochi lettori interessati. La responsabilità di questo segnale di debolezza è solo da attribuire alla carente propensione alla lettura degli stessi addetti ai lavori, poco interessati ad acquistare libri. Tanto per intenderci: quanti coltivano gli olivi, producono e commercializzano l’olio sono i primi a non acquistare i libri che li riguardano. Non credono nella cultura. Nelle loro aziende non si trovano (a parte rare eccezioni) libri tematici. Ciò determina, quale diretta conseguenza, lo scarso interesse da parte dell’editoria, e soprattutto una riduzione significativa negli investimenti, ridotti al minimo: non si va, in sostanza, oltre la pubblicazione di manuali e guide. Quindi, non vi è una vera “letteratura oleofila”, trasversale, che comprenda più soggetti. Si procede solo in ordine sparso e frammentario. Per fortuna, a rasserenarci, vi sono autori sorprendenti, che per varie ragioni hanno pensato bene di ambientare i propri libri in un contesto legato all’olivo o all’olio. Vi è addirittura una narratrice, Milagros Branca, che ha pubblicato ben due romanzi a partire dalle vicende di un bambino abbandonato nell’incavo di un olivo: Storia di Uliviero, nel 2020 e poi, nel 2022, il seguito della saga, Sotto lo sguardo della luna, entrambi per Baldini+Castoldi. Di libri in cui l’olivo viene celebrato ve ne sono tanti, basti citare il ligure Francesco Biamonti, che con il romanzo Vento largo (edizioni Einaudi) su 104 pagine di testo ben 39 riportano ripetuti riferimenti all’olivo, con una narrazione intessuta da uno struggente lirismo. Commovente Il romanzo della Nazione di Maurizio Maggiani per Feltrinelli. Ecco un passo. E poi c’è il romanzo Le radici dell’albero d’ulivo (Mondadori), di Courtney Miller Santo, dove ovviamente l’olio è al centro dell’attenzione. Ecco uno stralcio, per rendervi conto. È una citazione, questa, che ci rimbalza subito verso un grande autore italo-americano, John Fante, che in Full of Life ci consegna un dialogo superbo ed effervescente. . Ho cresciuto quell’ulivo come un figlio, l’ho potato con la mano di un cardiochirurgo, l’ho curato da tutte le malattie del mondo. Dio sa quanto si ammalano le piante quando sono costrette alla deportazione. Già dopo sette, otto anni ha cominciato a ricambiarmi con le olive. “Stai bene, nonna?” chiese Callie da dietro la zanzariera. Anna assicura sua nipote che stava bene e chiese un bicchiere di acqua calda con una goccia di olio di oliva e uno spicchio di limone. Poi si mise su una delle sedie a dondolo a fare la cernita delle olive, gettando le poche cattive ai grassi pettirossi che stavano dissotterrando vermi nel cortile. “È questo il tuo segreto?” chiese Callie, porgendole il bicchiere e accomodandosi su un’altra sedia dondolo. A causa della gamba, non riusciva a stare in piedi a lungo. “Dovremmo dire ad Amrit che non c’è bisogno di fare gli esami del sangue, perché il segreto della longevità è acido citrico, olio di oliva e H2O”. Com’era lo zio Mingo, papà? Raccontami tutta la storia, dall’inizio. Una volta gli dissi: “Zio Mingo, cosa ti rende così forte?” Lo zio Mingo mi sollevò con una mano, mi tenne in alto, e disse: “Olio d’oliva” Sembra quasi di ritrovare - qui, in questa perentoria affermazione - tutta la potenza propulsiva che gli spinaci operano in Braccio di Ferro. Non vi pare? E, sempre a proposito di Popeye, come non ricordare il personaggio Olivia, in lingua originale Olive Oyl, un classico del cartone animato creato da Elzie Crisler Segar. Altra curiosità: il fratello di Olivia è l’investigatore Castor Oyl, in italiano Dante Bertolio. Come non pensare a due storici marchi oleari italiani? Olio Dante e Bertolli. Ecco, a essere sinceri, ci vorrebbe un libro, ben sostanzioso, ricco di tante pagine, solo per citare tutte le pubblicazioni, non tecniche, in cui l’olivo e l’olio si affaccia a vario titolo sulla scena. Tra i tanti libri in cui mi sono imbattuto segnalo il romanzo di Manuel Vilas, In tutto c’è stata bellezza (Guanda), dove i riferimenti all’olio oltre a essere continui, ci consegnano in particolare un brano toccante, strepitoso, una vera dichiarazione di intenti. “Mia madre ha vissuto sempre circondata dall’olio d’oliva. Mia madre mi ha trasmesso un culto segreto, mai verbalizzato, per l’olio d’oliva. Credo che l’olio d’oliva sia un tunnel nello spaziotemporale, un’incrinatura nel tempo, che mi porta direttamente accanto al mio primo antenato, che mi guarda e sa chi sono. Sa che ho bisogno d’amore. Amore di qualcuno della mia stirpe”. C’è poi l’autrice siculo-inglese, Simonetta Agnello Hornby, che addirittura riporta il prezioso succo di olive nel titolo di uno tra i suoi libri di maggior successo: Un filo d’olio, per Sellerio (disponibile anche come audiolibro). E, per restare in Sicilia, mi viene in mente anche Giuseppina Torregrossa, con il romanzo L’assaggiatrice (Rubbettino), o il mitico Andrea Camilleri, il quale con La gita a Tindari (Sellerio) colpisce dritto al cuore, per l’accurato riferimento all’olivo saraceno le cui radici sono quelle di un albero secolare e in tutto ricordano un essere umano, con le radici dell’albero, e nostre, che rappresentano simbolicamente la libertà. Le citazioni, come già riferito, sono infinite, ma a suscitare stupore sono soprattutto quelle di autori slegati dalla cultura mediterranea, come nel caso del premio Nobel per la Letteratura 2018, la polacca Olga Tokarczuk. Nei suoi romanzi l’olivo e l’olio compaiono di frequente. Per esempio: in Casa di giorno, casa di notte (edito da Bompiani). Agnieszka non dimenticherà mai Auschwitz. C’era un negozio, piccolo, un alimentari, costruito con mattoni forati. Quando la mattina erano scesi dal pullman dopo una notte di viaggio, il negozio aveva appena aperto. Era venuto fuori che avevano una scorta di olio, mentre nei negozi non se ne trovava neanche una goccia. Al massimo senape e aceto. E là vendevano olio a volontà, non una o due bottiglie, ma a volontà. Perciò si erano messi tutti in fila e avevano comprato olio a volontà. Agnieszka ne aveva prese una decina di bottiglie. Gliele avevano vendute. Non dicevano niente, non chiedevano le carte di razionamento, non contavano. Poi quell’olio era durato un paio d’anni, perché quanto olio può ma servire per friggere? Serve solo per le frittelle di patate, per i funghi, per il pesce, per altro non si usa. Può anche darsi che l’olio di Auschwitz le fosse durato tre anni. Non disse altro. E c’è spazio anche per le olive. Un giovane fanciullo versa il vino, e i piatti sono pieni di uva e di olive, sebbene Ergo Sum non fosse sicuro di come erano fatte. A giudicare dal termine dovevano essere lisce, elastiche, e il loro succo grasso doveva colare sulle labbra quando i denti ne rompevano la buccia. Ora vi spiego perché queste citazioni (e molte altre, non riportate) le reputo molto importanti per la tanto evocata “letteratura oleofila”. Semplicemente perché l’olio da olive è stato da sempre ritenuto un marcatore culturale. Lo si cita perché è speculare alla nostra immagine, anche interiore e intimamente spirituale. Non è un caso che venga celebrato e osannato dalla mitologia e dalle tre grandi religioni del Libro: ebraismo, cristianesimo e islam. Se si dovesse fare una retrospettiva letteraria e artistica si potrebbero riempire interi volumi, organizzando anche una mostra. Ecco, io ritengo che per colmare la vistosa lacuna di conoscenza del prodotto che chiunque può constatare, credo si debba partire proprio da una dimensione culturale che vada oltre il mero dato tecnicoscientifico. Andare oltre significa contagiare il tessuto sociale di continui rimandi all’olivo, alle olive e all’olio. Io l’ho fatto in passato, e continuo a farlo. Chiudo con un’altra magnifica citazione, tratta da Il salto dell’acciuga di Nico Orengo, per le edizioni Einaudi: “La memoria è come una goccia d’olio buttata nell’acqua. Può scomparire per un istante ma poi se ne torna su, sta lì, galleggia come uno sguardo su ciò che è stato”. Fare “letteratura oleofila” significa creare memoria, accumulare saperi, essere parte viva delle persone, della natura, del mondo.