il nostrano viene da lontanto
Wladimiro Gobbo

La storia del tabacco e della sua diffusione è controversa e al contempo affascinate. Dalla scoperta del suo utilizzo nel Centroamerica da parte dei colonizzatori europei, è stato un inarrestabile propagarsi. Al suo successo ha contribuito la capacità della pianta di adattarsi e la versatilità dell’uso adeguata ai tempi. Espansione che ha vissuto fasi alterne a seconda delle politiche permissive o meno, legate alle necessità economiche o alla coscienza sociale dei governanti.


La narrazione del decano dei sigari italiani, il Nostrano del Brenta, viaggia parallela alla storia del tabacco in Europa, con origini così remote da distinguerlo dagli altri sigari italiani con i quali condivide il formato bitroncoconico, una delle peculiarità del made in Italy. Scopriamolo, quindi, ripercorrendone l’arrivo, la coltivazione, la lavorazione, la clandestinità e la rinascita partendo dalla fine del 1500 a oggi.

Innanzitutto, ambientiamo questo racconto a lieto fine. Siamo in Veneto, in provincia di Vicenza, nella valle del Canal di Brenta, solcata dall’omonimo fiume che vede da una parte l’altopiano dei Sette Comuni, Asiago, e dall’altra il gruppo che fa capo al Massiccio del Grappa. È una vallata favorita dalla ventilazione e da zone coltivabili ben esposte al sole.


In Europa il primo utilizzo rinomato si ebbe in Francia nel 1560 da parte della regina madre Caterina de’ Medici per curare l’emicrania dopo che Jean Nicot de Villemain, ambasciatore francese presso la corte del Portogallo, glielo fece conoscere. Ed è proprio da Nicot che prese il nome il principio attivo del tabacco mentre, in onore della sovrana, la pianta inizialmente venne chiamata herba reginae. Herba sanctae crucis fu altresì nominata quando la ricevette il pontefice, unitamente alle istruzioni per l’uso, dal cardinale di Lisbona. Facile immaginare quanto fu importante l’impatto nella società del tabacco. Parallelamente nella nostra bella vallata i semi del tabacco arrivarono alla fine del XVI secolo, leggenda vuole all’interno del bastone di un frate benedettino che, con i suoi fratelli, ne iniziò la coltivazione nel monastero di Campese.


Apriamo a questo punto una parentesi sulla cultivar che qui giunse e che si diffuse adattandosi. Era una varietà riconducibile alla Havanensis, identificato come Avanone nelle legislazioni locali. Il nome ci porta inevitabilmente nell’arcipelago Caraibico universalmente riconosciuto come capitale del sigaro. Da annotare che le differenti varietà necessitano di lavorazioni diverse per ottenere tabacco e sigari di qualità. Se la cultivar Kentucky, quella usata per il classico e diffuso sigaro italiano, si esalta con un’essicazione a fuoco, in gergo chiamata cura, mediante l’utilizzo di braci di legni pregiati, il nostro Avanone oggi Nostrano del Brenta richiede una cura ad aria. Differenza sostanziale che influisce in modo importante sull’aroma.