In quell’arcipelago del vino italiano chiamato Oltrepò Pavese (13.500 ettari lungo 42 comuni: una regione prima che una denominazione) si nasconde
un’isola di terra di 22 ettari lungo la dorsale dello sperone di Stradella. È l’enclave del Buttafuoco Storico che si fregia nella Doc Buttafuoco
dell’Oltrepò Pavese o Buttafuoco (circa 2.000 ettari), circoscrivendone però l’area: epicentro produttivo tra Canneto Pavese, Castana e Montescano, e
parziale coinvolgimento dei comuni di Broni, Stradella, Cigognola e Pietra de’ Giorgi (questi ultimi due non hanno però al momento vigne iscritte allo
Storico) nella parte compresa tra i due torrenti – Scuropasso a ovest, Versa a est – che delimitano il territorio.
Ah, l’Oltrepò Pavese! Territorio collinare imponente e magnifico, scandito da borghi storici e castelli; mosaico stratificato di rilievi, pedologie,
microclimi, vitigni, tipologie; luogo straordinariamente vocato quanto perennemente assediato da controversie e contraddizioni, coni d’ombra
nell’immaginario collettivo e sopraccigli alzati in quello della critica ufficiale. Qualcosa, insomma, d’irriducibile e viscerale. Come il Buttafuoco
Storico, un rosso che rifiuta compromessi e accondiscendenze: fermo, potente, longevo in terra di rossi frizzanti, leggeri, spesso di pronta beva. Vino
possente e gagliardo, orgoglioso del suo profilo vagamente démodé.
L’origine del nome pare si debba all’etimo dialettale “al buta me al feüg”, “brucia come il fuoco”, in relazione al suo carattere ardente e
impetuoso. Quella storica affonda invece nella leggenda di un veliero della seconda metà dell’Ottocento che una compagnia della Marina Imperiale di
stanza in Oltrepò e in guerra contro l’esercito del Regno di Sardegna avrebbe dovuto traghettare sul fiume Po per combattere il nemico. Ma i marinai
austro-ungarici, insoddisfatti della situazione, si disinteressarono delle operazioni militari, nascondendosi nelle cantine locali e facendo più stragi
di botti di vino che di truppe nemiche. Riscaldati e resi più mansueti dall’alcol, furono propensi a stringere accordi di pace con i franco-piemontesi
anziché promuovere operazioni di guerra.
L’immagine di questo veliero campeggia oggi a sbalzo come un vessillo sul vetro delle bottiglie del Buttafuoco Storico. Il logo è chiuso in un ovale,
che rievoca il ciüf, la botte tipica locale, da cui dipartono due nastri rossi che rappresentano lo Scuropasso e il Versa. È il segno, produttivo e
distintivo, dei vini del Club del Buttafuoco Storico, nato il 5 marzo del 1996 (la sede è nella Piazzetta del Buttafuoco Storico a Canneto Pavese in
frazione Vigalone, dove è prevista per la primavera del 2023 l’inaugurazione di una nuova, modernissima struttura) come libera associazione di un gruppo
di produttori locali che si sono dotati di un severo regolamento interno. Il Buttafuoco Storico proviene esclusivamente dalla raccolta (c’è una
commissione che decide la data della vendemmia) e dalla vinificazione congiunta di almeno tre delle quattro uve locali che compongono l’ossatura
ampelografica del vino (croatina e barbera dal 25% al 65%; uva rara, ughetta di Canneto o vespolina fino a un massimo del 45%); da vigne storiche
gestite con pratiche colturali sostenibili (inerbimento, concimazioni organiche, basse produzioni); dalla permanenza del vino in botti di rovere per
almeno un anno, dal successivo affinamento in bottiglia per almeno sei mesi e dalla commercializzazione non prima che siano trascorsi tre anni dalla
vendemmia. L’encépagement conferisce equilibrio e complessità: la croatina si fa garante d’intensità cromatica, fruttata e tannica; la barbera dona
acidità e freschezza; l’ughetta e l’uva rara cedono note speziate, eleganza, austerità. Privilegiando nella raccolta la croatina, che è il vitigno più
tardivo, la barbera e l’uva rara risultano in stato di surmaturazione e l’ughetta quasi di appassimento. Le vigne del Buttafuoco Storico sono 20 (di cui
si presenta qui una selezione delle principali), suddivise in 18 soci (tutti vignaioli, vinificatori e imbottigliatori in proprio) e distribuite in tre
fasce territoriali che, dal punto di vista pedologico, specificano i tratti dominanti delle marne che caratterizzano questo piccolo, imponente,
spettacolare distretto del vino d’Oltrepò: Ghiaie, Arenarie e Argille.