50 sfumature di Rossese Antonello Maietta “Capitale per vari secoli del Marchesato omonimo, Dolceacqua è un borgo disposto tra le due rive del Nervia. […] Grande centro di vinificazione del Rossese. Qui, tutti si occupano del vino. Paesaggio: il più esaltante che si possa immaginare […] L’aspetto delle vigne ha qualche cosa di rude, di volontario, di arrischiato.” Questo raccontava – con una sintesi molto efficace – Mario Soldati in Vino al Vino, in occasione del terzo viaggio avvenuto nell’autunno del 1975. Il vino aveva da poco ottenuto, primo in Liguria, il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata (28 gennaio 1972), ma lo scrittore, restio alle etichette e altrettanto scettico nei confronti delle normative burocratiche, non ne fa menzione. A distanza di cinquant’anni, si evidenzia un’encomiabile presa di coscienza sul potenziale della Denominazione da parte dei produttori, anche grazie a un significativo ricambio generazionale. Percorrendo la strada provinciale che dall’Aurelia sale quasi perpendicolare al profilo della costa, si arriva a Dolceacqua costeggiando per una manciata di chilometri il greto del torrente Nervia, la cui tradizionale portata d’acqua è solo un ricordo del passato. Il corso del Nervia divide il paese in due parti. La più antica, sulla riva sinistra, è denominata a Téra (la terra), un intricato dedalo di costruzioni in pietra sovrastato dall’architettura militare del castello, eretto dai Doria nel XII secolo per difendere i possedimenti al centro di un crocevia commerciale strategico. Degli antichi fasti del maniero, oggi in fase di profonda ristrutturazione, restano le torri, le feritoie, le merlature e la massiccia struttura esterna. Da qui si gode una vista impagabile sullo strapiombo roccioso a picco sulla valle. Al castello si accede attraverso stradine tortuose, archi e passaggi coperti, interrotti qua e là da botteghe di artisti, negozi di prodotti tipici e palazzotti nobiliari: le lancette del tempo sembrano essersi arrestate. Dall’altra parte del fiume c’è il Borgo, quartiere più recente. A collegare le due parti è un ponte tardomedievale a schiena d’asino, con una sola arcata di 33 metri, il cui tratto architettonico di straordinaria armonia non lasciò indifferente neppure Monet nel 1884: “Il luogo è superbo, vi è un ponte che è un gioiello di leggerezza”. Il vino prodotto in questo areale è stato più volte protagonista nei secoli. Era apprezzato da papa Paolo III Farnese, mentre l’ammiraglio Andrea Doria, originario di Dolceacqua, scelse proprio il Rossese come vino da destinare alla flotta, per sostenere l’animo dei suoi uomini e salutare i successi ottenuti. In un saggio del 2004 lo storico e sommelier Alessandro Carassale racconta che il vino di Rossese fu servito a Napoleone, ospite dei marchesi Doria a Dolceacqua nel 1794, e tanto piacque all’imperatore che ne chiese un rifornimento da spedire a Parigi. Si narra addirittura che lo portò come unico vino nell’esilio di Sant’Elena, ma la circostanza non è sufficientemente documentata. A dispetto di tanta gloria, non è del tutto chiara la comparsa del vitigno rossese nel territorio. Nella Pomona italiana, edita tra il 1817 e il 1839, il Gallesio non lo fa oggetto di un’indagine meticolosa, come accade per altri vitigni liguri. È probabile che il vero antenato del Rossese di Dolceacqua sia un vino che nei testi storici compare sotto il nome di Vermiglio. Gallesio descrive il rossese a bacca bianca, mentre quello a bacca nera è citato indirettamente a proposito del vermentino: “Il primo paese ove [il vermentino] si trovi come uva classica è il territorio di Ventimiglia. A dir vero essa non abbonda moltissimo in quel paese, perché vi regnano le uve nere, e fra queste il Rossese di Dolciacqua, uva particolare da cui si cava un vino da pasteggiare asciutto che ha dell’analogia col vino di Nizza”. La somiglianza con il vino di Nizza, o più in generale con i vini della fascia costiera a ridosso delle Alpi Marittime e della Provenza, è un tassello interessante nella ricostruzione del percorso che l’uva rossese ha compiuto per acclimatarsi nell’Imperiese. La teoria più accreditata si basa sulla stretta analogia genetica con il tibouren, un vitigno provenzale dalla lieve impronta cromatica, elaborato perlopiù in versione rosata. Nel Registro Nazionale delle Varietà di vite idonee alla produzione di vino il rossese è iscritto come singolo vitigno, senza sinonimi, anche se comunemente in Liguria si identificano due tipologie: quella utilizzata per il Dolceacqua è chiamata rossese di Ventimiglia, per distinguerla dal rossese di Campochiesa, maggiormente diffuso lungo la costa, soprattutto nell’Albenganese, da cui si ricava un vino dalla beva più immediata. La forma di allevamento prevalente, soprattutto nei vigneti più datati, che talvolta ospitano piante centenarie, è l’alberello della tradizione mediterranea: nella stagione calda la chioma della pianta ombreggia il piede e la radice, proteggendoli dall’azione diretta dei raggi solari. La foglia è piuttosto grande, provvista di cinque o più lobi, mentre il grappolo è di media grandezza, di forma troncoconica, alato e mediamente compatto. L’acino è rotondo, regolare, dal colore violaceo scuro, leggermente pruinoso. Nei vigneti, disposti a terrazza, tutte le operazioni indispensabili per il mantenimento dell’impianto e per la raccolta delle uve sono necessariamente manuali. Questo ha portato nei secoli a un progressivo abbandono delle zone più impervie, dove era maggiormente richiesto l’intervento dell’uomo. Se all’inizio del Novecento la superficie vitata raggiungeva i 3000 ettari e la produzione toccava i 36.000 ettolitri, oggi la superficie rivendicata per la Doc non supera i 60 ettari, con una produzione media di circa 350.000 bottiglie. La zona di produzione tratteggiata dal disciplinare investe i comuni di Apricale, Baiardo, Camporosso al Mare, Castelvittorio, Dolceacqua, Isolabona, Perinaldo, Pigna, Rocchetta Nervina, San Biagio della Cima e Soldano; inoltre, le frazioni di Vallecrosia Alta nel comune di Vallecrosia, quelle di Mortola Superiore, San Bartolomeo-Carletti, Ville, Calandri, San Lorenzo, San Bernardo, Sant’Antonio, Sealza, Villatella, Calvo-San Pancrazio, Torri, Verrandi e Calandria di Trucco nel comune di Ventimiglia e la porzione di Vallebona sulla riva destra del torrente Borghetto. Per schematizzare, si può fare riferimento quasi per intero al sistema idrografico del Nervia e del Verbone, con una piccola appendice orientale nella valle del torrente Roja, a ridosso del confine con la Francia. Si parte quasi a livello del mare fino a toccare i 500/600 metri di altitudine, in un panorama di particolare suggestione, incorniciato dai primi rilievi alpini, dove si alternano piccoli corsi d’acqua, boschi, oliveti e vigneti, questi ultimi non sempre visibili dal fondovalle. È una delle pochissime zone italiane che ospita, in una perimetrazione assai limitata, condizioni climatiche molto variegate, che spaziano dal calore mediterraneo ai tratti continentali, fino alle rigide temperature prealpine, con tutte le rispettive fasi intermedie. La superficie vitata più ampia si trova nel comune di Dolceacqua, che insieme a quello di Soldano supera abbondantemente il 50 per cento della produzione. Aggiungendo i comuni di Camporosso e di San Biagio della Cima si raggiunge addirittura l’85 per cento; resta dunque ben poco al di fuori di questa porzione di territorio. La val Nervia, che da Camporosso sale in direzione di Pigna, è una valle piuttosto aperta – perlomeno fino a Dolceacqua – e molto ventilata. La val Verbone è invece più stretta, soprattutto dopo Soldano, e chiude a nord con il crinale di Perinaldo: questa morfologia permette di mitigare i flussi di aria fredda e, complice la vicinanza del mare, di beneficiare di un clima più mite. Sarebbe tuttavia limitativo classificare le differenti interpretazioni del Rossese di Dolceacqua basandosi solo sulle esposizioni, perché anche la composizione dei terreni riveste un ruolo determinante. Dal punto di vista geologico si alternano suoli di natura e origine diverse, come il flysch di Ventimiglia, chiamato localmente sgruttu, con marne e arenarie scistose di origine marina, che dà origine a vini di particolare eleganza. Di maggiore struttura sono in genere i vini provenienti da zone caratterizzate dalle argille di Ortovero, dette anche marne blu, mentre i conglomerati di Monte Villa, ricchi di ciottoli alternati a strati sabbiosi, donano ampiezza di profumi e immediatezza di beva. Nel 2011 è stata la terza Denominazione, dopo Barolo e Barbaresco, a inserire nel Disciplinare le Menzioni Geografiche Aggiuntive, qui definite Nomeranze. Un accurato studio storico, cartografico e catastale condotto da Alessandro Giacobbe e Filippo Rondelli ha permesso di individuare oltre milletrecento toponimi di vigneti, da cui sono nate le attuali trentatré Nomeranze, distribuite in sette comuni: Camporosso (Brunetti, Giuncheo, Migliarina, Monte Curto, Pian del Vescovo, Terrabianca), Dolceacqua (Arcagna, Armetta, Aurin, Casiglian, Morghe, Pevereli, Pozzuolo, Rosa, Ruchin, Tramontina), Perinaldo (Alpicella, Brae, Curli, Negi, Savoia), San Biagio della Cima (Berna, Luvaira, Novilla, Posaù), Soldano (Beragna, Bramusa, Ferenghé, Fulavin, Galeae, Pini), Vallecrosia (Santa Croce), Ventimiglia (Sette Camini, o Sette Cammini). Terroir e microclimi definiscono una gamma produttiva piuttosto eterogenea, che spazia da vini morbidi e avvolgenti a tipologie più rigide e austere. Le tecniche di vinificazione aggiungono ulteriori variabili, sebbene l’utilizzo dell’acciaio sia prevalente; le modeste quantità destinate alla maturazione in cantina, del resto, giustificano l’assenza di voluminosi contenitori di legno, a favore di barrique e tonneau. I vini devono avere un titolo alcolometrico minimo del 12% in volume, che sale al 13% per la tipologia Superiore, da commercializzare in questo caso dal 1° novembre dell’anno successivo a quello della vendemmia. L’impiego del vitigno in purezza è pressoché generalizzato tra i produttori, sebbene il disciplinare consenta l’aggiunta fino al 5 per cento di altre varietà. Il Rossese di Dolceacqua è un vino originale e generoso. Al primo approccio presenta una tonalità di colore piuttosto tenue, che dal rubino vira al granato dopo pochi anni. I profumi, intensi e complessi, sono orientati in prevalenza su sentori di viola mammola, ibisco e peonia, con tratti fruttati di lampone, ribes e ciliegia, spesso in confettura, uniti talvolta a nuance di cannella e pepe nero. All’assaggio esprime una gradevole freschezza determinata dagli acidi fissi, una dotazione di tannino mai eccessiva e una componente alcolica piuttosto energica, in grado di offrire buone prerogative di evoluzione nel tempo. A tavola mostra grande versatilità, decretata dalla struttura, dal tipo di vinificazione e dall’età: accompagna pietanze delicate, come le verdure ripiene o la cima alla genovese, e pure piatti ricchi e succulenti, come lo stoccafisso accomodato, il coniglio in umido e l’agnello in fricassea. Tradizionalmente si abbina alla capra con i fagioli, ricetta tipica del territorio. Rossese di Dolceacqua 2021 TENUTA ASCARI Nella località Colmo del comune di Dolceacqua i fratelli Ascari hanno iniziato nel 2010 un provvidenziale recupero di terreni incolti e abbandonati da decenni, impiantando poi un ettaro di vigna esclusivamente con uva rossese. Oggi la superficie vitata è raddoppiata, con un potenziale di crescita di altri quattro ettari, che saranno messi a dimora via via che l’azienda consoliderà la sua presenza sul mercato. L’attività agricola e tutte le fasi di vinificazione sono condotte personalmente da Alex Ascari, per una produzione che si aggira intorno alle 6000 bottiglie. Questa che presentiamo è, per il momento, l’unica tipologia di Rossese di Dolceacqua realizzata, che si accompagna a una piccola quantità di un vino rosato ottenuto dalla stessa varietà. In cantina si segue una vinificazione tradizionale in rosso, in acciaio, con una settimana di sosta sulle bucce. Rubino luminoso. Naso fragrante di ribes rosso, violetta ed erba medica, con finale sobriamente speziato. Al gusto mette in evidenza soprattutto i toni morbidi, con tannini eleganti e levigati. Buridda di seppie alla ligure. Rossese di Dolceacqua Superiore Luvaira 2020 TENUTA ANFOSSO L’avvio dell’attività da parte di Marisa Perrotti e del marito Alessandro Anfosso risale al 2002, quando sono subentrati nella conduzione dei vigneti di famiglia a Luciano Anfosso, papà di Alessandro. La superficie vitata di circa sei ettari comprende vigneti storici come il Poggio Pini a Soldano, il cui primo reimpianto di rossese è datato al 1888, ad opera del bisnonno Giacomo Anfosso. È del 2004 l’acquisizione di un terreno nella nomeranza di Luvaira, con piante del 1905 disposte su terrazzamenti che raggiungono pendenze anche del 60%, da cui si ricavano soltanto 1250 bottiglie delle 25.000 totali. La vinificazione avviene in acciaio, con solo la metà delle uve diraspate, e una macerazione condotta per un paio di settimane. Rubino trasparente con lievi riflessi granato. Il bouquet di ribes nero, confettura di prugna, viola mammola, tamarindo e cannella anticipa un profilo gustativo di gran carattere, corroborato da tannini vivi e ben espressi. Faraona alla creta. Rossese di Dolceacqua Superiore 2020 FABIANA CALDI Per un consiglio su cacciaviti o martelli potete domandare a Fabiana, che per vent’anni è stata proprietaria di un negozio di ferramenta. Oggi per lei anche il vino non ha più segreti, perché il richiamo della terra è stato così forte da indurla a proseguire l’attività di famiglia, fondata nei primi anni Sessanta dal nonno e dal papà: Luigi, con i suoi ottantanove anni, è tuttora un valido supporto tecnico e morale. La superficie vitata, terrazzata e allevata ad alberello, si avvicina ai due ettari, con piante che superano i cent’anni. Al vertice di una produzione di circa 7500 bottiglie, seguita insieme al marito Giuseppe, si colloca il Rossese Superiore, proveniente dalle vigne di Arcagna e Morghe. La vinificazione tradizionale in rosso, condotta esclusivamente in acciaio, dona uno smagliante colore rubino, appena screziato da nuance granato. Accarezzano l’olfatto note di rosa canina e confettura di mora, con effluvi di eucalipto. Tannini smussati e ben amalgamati concorrono a equilibrare la notevole dotazione calorica che avvolge il palato. Lepre in salmì Rossese di Dolceacqua Tramontina 2021 DU NEMU Non è casuale che l’azienda di Camporosso di Luca Dallorto evochi nella sua curiosa ragione sociale il soprannome del nonno, chiamato da tutti Nemu, secondo una storica consuetudine che permetteva di individuare efficacemente i singoli personaggi all’interno delle famiglie numerose e delle comunità. La tradizione vitivinicola familiare, in realtà, è ancor più datata, perché furono i bisnonni Gio Batta (detto Pà Bacì) e Stanislao (chiamato Pì) a impiantare le prime vigne intorno alla metà dell’Ottocento. Il testimone arriva nelle mani di Luca tramite il papà Giancarlo. L’attuale superficie vitata, pari a quattro ettari e mezzo, annovera anche le preziose nomeranze di Arcagna e soprattutto di Tramontina, che con i suoi 500 metri di quota è tra le più alte della Denominazione. Le uve sono vinificate in acciaio con macerazione di una settimana e danno vita a 1300 bottiglie, su un totale di 18.000. Rubino tenue alla vista, profuma di ibisco e confettura di fragola, con accenni di erba medica. Tannini levigati stuzzicano un palato dalla struttura perfettamente calibrata. Pollo alla cacciatora. Rossese di Dolceacqua Superiore Pini 2020 E PRIE Il giovane titolare Lorenzo Anfosso è un figlio d’arte nell’accezione più nobile del termine, perché per condurre in modo così impeccabile le vigne di Soldano occorre essere degli artisti, oltre che pazienti artigiani del vino. I suoi genitori sono Marisa Perrotti e Alessandro Anfosso, proprietari di Tenuta Anfosso, all’interno della quale si svolgono le pratiche di cantina. Le scelte produttive di Lorenzo, che ha avviato la sua azienda nel 2017, consapevole delle problematiche che avrebbe incontrato, rispondono alla sua personale e distinta filosofia, che incrocia quella di famiglia nella caparbia volontà di mantenere in vita un areale di spiccato valore ambientale. Da poco più di un ettaro, diviso tra le nomeranze di Fulavin e Pini, ricava 5000/6000 bottiglie a seconda dell’annata. Il Superiore Pini, da piante di circa trent’anni, è vinificato in acciaio, con metà delle uve diraspate. Rubino chiaro con lievi cenni granato. Naso intenso di ciliegia, fiori di lavanda e maggiorana. Il sorso è avvolgente, dai tannini setosi e ben amalgamati. Costine di agnello alla brace. Rossese di Dolceacqua Luvaira 2019 MARCO FORESTI La cantina è stata fondata a Camporosso nel 1979 da Felice Foresti, che da eccellente selezionatore batteva palmo a palmo le cantine del circondario alla ricerca delle migliori partite di vino da commercializzare. L’azienda, passata in mano al figlio Marco, si è trasferita di recente in una nuova struttura, dotata di attrezzature moderne e funzionali, in grado di assicurare una qualità sempre in crescita: rispettabile il numero di bottiglie, potendo contare su una superficie vitata di circa sette ettari. Il vigneto destinato alla produzione del Luvaira, nel comune di San Biagio della Cima, è stato impiantato nel 1913 ed è situato nella parte più bassa della nomeranza, al limitare del bosco. L’esordio di questo Rossese risale al 1993, e da allora è rimasta immutata la veste grafica dell’etichetta, che insieme al toponimo riporta il numero delle particelle catastali. Fermentazione spontanea in acciaio con uve diraspate, ma non pigiate. Manto rubino, inciso da venature granato. L’olfatto è pervaso da sentori di ribes nero, amarena candita e liquirizia. Sorso caldo e vellutato, ricamato da tannini rifiniti. Tagliata al rosmarino. Rossese di Dolceacqua Luvaira 2019 GAJAUDO Fin dalla fondazione nel 1986, ad opera di Adriano Gajaudo, al nome di famiglia è associata la dicitura Cantina del Rossese, per sottolineare il legame storico con il vitigno principe del comprensorio. Nel 1999, grazie agli stimoli esercitati dall’ingresso in azienda dei figli Giulio e Fulvio e a cospicui investimenti in vigna e in cantina, il deciso salto di qualità ha reso necessario il trasferimento della cantina da Dolceacqua alla più ampia e funzionale sede di Isolabona, dotata di un accogliente spazio per i visitatori. All’interno di una produzione assestata intorno alle 100.000 bottiglie spiccano piccole perle enologiche con tirature limitate, come questo Rossese proveniente dal vigneto di Luvaira di oltre ottant’anni, in sole 1500 bottiglie. Fermentazione in acciaio e passaggio per 10 mesi in botte da 15 ettolitri. Rubino con nitidi riflessi granato. Il corredo olfattivo propone sensazioni di ciliegia in confettura, chiodi di garofano e cenni di sottobosco. Piacevole il connubio al gusto fra tannini vivi e una corroborante nota calorica. Capretto al forno. Rossese di Dolceacqua Galeae 2021 KÀ MANCINÉ L’attività fu avviata nel 1998 da Maurizio Anfosso e dalla moglie Roberta Repaci, con l’obiettivo di recuperare il fragile paesaggio agricolo, con piante risalenti addirittura alla fine dell’Ottocento, lasciato in dote dal capostipite della famiglia dei Mancinei. Per questo motivo si fa riferimento al soprannome Manciné, attribuito nella contrada al prestigioso antenato, mancino, così da individuarlo facilmente tra i compaesani con lo stesso nome. I quattro ettari di vigneto si concentrano soprattutto nelle nomeranze di Galeae e Beragna. Dalla cantina escono ogni anno circa 20.000 bottiglie, comprese tre piccole produzioni – intorno alle 500/600 bottiglie ciascuna – per sperimentare a tutto campo le potenzialità del rossese: il rosato Sciakk, una versione in anfora chiamata Bugiardino e l’Angé, vinificato in barrique. Galeae sosta solo in acciaio. Rubino chiaro e luminoso, al naso esordisce con sentori di fragola e lampone, accompagnati da leggiadri echi di lavanda. Il sorso è avvolgente e setoso, adagiato su tannini perfettamente calibrati. Stoccafisso accomodato. Rossese di Dolceacqua Posaù 2019 MACCARIO DRINGENBERG La cantina si trova a San Biagio della Cima, ma la distribuzione della superficie vitata – circa sette ettari – è la più articolata del comprensorio. La recente acquisizione nella nomeranza di Sette Cammini si aggiunge alle collaudate vigne Luvaira, Posaù, Brae e Curli (quest’ultima appartenuta a Emilio Croesi, compianto sindaco di Perinaldo, e definita da Luigi Veronelli la Romanée Saint Vivant italiana). Giovanna Maccario, quinta generazione della famiglia di vignaioli, coadiuvata dal marito Goetz Dringenberg ha preso le redini aziendali nel 1992 subentrando al papà Mario: uno dei primi a credere nella riscossa del Rossese di Dolceacqua, già nel 1972 aveva iscritto i suoi terreni all’albo dei vigneti della nascente Doc. Dalla nomeranza di Posaù, dove si trovano piante di oltre ottant’anni, si ricavano mediamente 7000 bottiglie delle 25.000 totali, vinificate esclusivamente in acciaio. Rubino con riflessi che virano al granato, profuma di violetta essiccata, noce moscata e macchia mediterranea. Il sorso è caldo, perfettamente equilibrato da una gradevole freschezza e da tannini proporzionati. Capra con i fagioli. Rossese di Dolceacqua Superiore Barbadirame 2020 MAIXEI Si tratta di una realtà cooperativa erede della storia e dell’operosità di un affiatato gruppo di vignaioli, riuniti nel 1985 nell’unica cantina sociale del comprensorio. Oggi fa parte del gruppo cooperativo florovivaistico Florcoop ed è conosciuta con l’appellativo Maixei – termine dialettale che designa i muretti a secco che sostengono i terrazzamenti –, dal nome della linea produttiva di alta gamma lanciata nel 2007. Con una produzione di circa 40.000 bottiglie, frutto del conferimento di una ventina di soci, vinifica mediamente ogni anno un quinto della produzione totale del Rossese di Dolceacqua, declinato in diverse tipologie. Il vertice qualitativo è rappresentato dal Barbadirame. Era questo il soprannome di Mario Raimondo, artista, pittore e scultore, di cui parlò anche Pablo Picasso, in genere poco incline a citare i suoi giovani discepoli. Fermenta in acciaio con macerazione prolungata sulle bucce e riposa in barrique per 12 mesi. Rubino intenso. Profuma di rabarbaro, confettura di ciliegia, rosa canina e bacche di ginepro. Palato di straordinaria eleganza, finemente scalfito da tannini setosi. Polenta e cinghiale. Rossese di Dolceacqua Superiore Peverelli 2019 MAURO ZINO Luigi Mauro dirige l’azienda che il nonno Antonio Zino gli donò nel 2016, al compimento dei ventuno anni. La famiglia operava nel settore olivicolo fin dalla metà dell’Ottocento, e nel 1953 iniziò anche la produzione di vino. La superficie vitata investe due ettari, di cui tre quarti dedicati al rossese, nelle nomeranze di Arcagna, Morghe e Peverelli, mentre la parte restante è riservata a vermentino e pigato. I vigneti di Arcagna risalgono al 1927; Morghe, impiantata nel 1994 e appartenuta al compianto Gio Batta Cane, detto Mandino, fu ceduta nel 2017 a Luigi, fresco di laurea in Enologia; infine Peverelli, a 450 metri di altezza, con vigne molto vecchie, alcune delle quali messa a dimora alla fine dell’Ottocento. Da quest’ultima si ottengono circa 500 bottiglie delle 10.000 totali. Fermenta in acciaio e matura per 6 mesi in un singolo tonneau modificato, con doghe più spesse dell’usuale. Rubino intenso. Profuma di viola mammola e confettura di mirtillo, con finale di erica. Palato avvolgente, rifinito da una trama tannica sapientemente cesellata. Pernice tartufata. Rossese di Dolceacqua Testalonga 2019 ANTONIO ED ERICA PERRINO Antonio “Nino” Perrino, con oltre sessanta vendemmie alle spalle, è considerato rispettosamente il decano dei vignaioli di Dolceacqua, sia per la lunga esperienza acquisita, sia per la coerenza nel perseguire un modello vitivinicolo di rigorosa impronta artigianale, che da qualche anno ha contagiato anche la nipote Erica. Le vigne, che coprono una superficie complessiva di quasi due ettari, sono disposte su sette parcelle in Arcagna, mentre una piccola porzione, probabilmente prossima al reimpianto, è situata a Casiglian. La produzione di circa 6000 bottiglie è divisa pressoché equamente tra un Vermentino in purezza e un Rossese di Dolceacqua di stampo tradizionale, ottenuto da uve pigiate con i piedi, macerate con i raspi e vinificate attraverso fermentazioni spontanee senza controllo della temperatura, in botti esauste da 500 litri. Una veste rubino intenso anticipa sentori di ribes nero, pot-pourri di rose e cardamomo. Sorso vellutato, percorso da una vena di freschezza e adagiato su un tannino per nulla invadente. Arista di maiale al ginepro. Rossese di Dolceacqua 2021 POGGI DELL’ELMO Sebbene la famiglia abbia sempre posseduto vigne, fin dai reimpianti di fine Ottocento determinati dall’invasione della fillossera, la vera svolta nella produzione vitivinicola si data al 2000. A partire dagli anni Sessanta il vino era venduto esclusivamente in damigiana. In seguito, lungo i terrazzamenti le serre iniziarono a prendere il sopravvento, grazie alla redditizia coltivazione delle rose; solo la crisi della floricoltura farà invertire la tendenza. Oggi l’azienda di Gianni Guglielmi è considerata un punto di riferimento nell’areale di Soldano: la superficie vitata si estende per quasi tre ettari, arroccati sul pregiato versante del Poggio Pini. La maggior parte della produzione è costituita da circa 10.000 bottiglie di un Dolceacqua di solida struttura, dotato tuttavia di una beva agile e spigliata. Altre 5000 bottiglie sono suddivise tra le selezioni di Rossese Barba Pepin, Elmo Primo e Pini Dante, con una piccola testimonianza di Rosato e di Vermentino. Rubino chiaro, impegna l’olfatto con sentori di lamponi, fragoline di bosco e ibisco. La vinificazione in acciaio mantiene il sorso fresco e perfettamente bilanciato. Rotolo di coniglio farcito. Rossese di Dolceacqua Serro de’ Becchi 2019 RAMOINO Fondata alla fine degli anni Cinquanta dal papà Giuseppe Ramoino, è Domenico a far crescere e progredire questa realtà, grazie a rigorose scelte agronomiche e vinificazioni accurate condotte in una cantina ben attrezzata a Sarola, delizioso paesino dell’entroterra imperiese, a pochi chilometri dal mare. Il 2006 segna l’ingresso in azienda della figlia Fabiana e l’acquisizione di nuovi vigneti. Dai sette ettari vitati sparsi per tutta la Riviera di Ponente si ottengono circa 50.000 bottiglie tra Pigato, Vermentino, Rossese di Dolceacqua e Ormeasco di Pornassio. Le uve destinate al Serro de’ Becchi provengono in gran parte da un vigneto di Dolceacqua impiantato ad alberello nel 1946, con l’apporto di uno più recente situato a Camporosso in località Santa Croce. L’annata 2019 è stata vinificata in acciaio, con 68 giorni di permanenza sulle bucce, e una lunga maturazione sempre in acciaio. Rubino intenso dal bordo lievemente granato. Il profumo si articola tra prugna matura, mora di rovo ed eucalipto. Al palato è morbido e bilanciato da tannini vibranti. Rostelle alla brace. Rossese di Dolceacqua Marne Blu 2019 ROBERTO RONDELLI Siamo a Camporosso, in frazione Brunetti, quasi al confine con la val Nervia. È Roberto a raccontare che una sera, appena diciottenne, guardando le vigne del nonno ormai abbandonate decide di restituire il prestigio a quelle terre, e con l’aiuto del papà Danilo ripristina i vecchi appezzamenti di famiglia. Inizia piantando nel 2000 mezzo ettaro con rossese e vermentino, aumenta pian piano l’estensione vitata e vende le uve fino al 2008. La prima vinificazione è del 2009, in una cantina in affitto a Dolceacqua; ora invece può realizzare le sue 10.000 bottiglie annue vicino a casa. Gli ettari, diventati tre e mezzo, comprendono la nomeranza di Migliarina, da cui nasce il Marne Blu, il Dolceacqua più giovane di questa vigna. Dopo 10 giorni di macerazione, svolge la malolattica in tonneau, dove prosegue la maturazione. Rubino con riflessi granato. Sentori di viola appassita, mora di rovo e leggiadri sbuffi di anice stellato tratteggiano il quadro olfattivo. Assaggio di esuberante e setosa morbidezza, intarsiato da tannini vivi e zelanti. Petto d’anatra con riduzione al Rossese. Rossese di Dolceacqua Bricco Arcagna 2021 TERRE BIANCHE Per trovare le radici aziendali occorre andare a ritroso nel tempo fino al 1870, quando Tommaso Rondelli mise a dimora i primi filari di rossese in una zona dalla terra bianca e argillosa, famosa per i fenomeni erosivi dei calanchi. Gli impianti furono razionalizzati e aggiornati con le moderne pratiche colturali a partire dal 1985, per mano dei fratelli Claudio e Paolo Rondelli e di Franco Laconi, cognato di Paolo, che aggiunsero anche pigato e vermentino. Oggi l’azienda è guidata da Filippo Rondelli e dispone di quasi nove ettari vitati, con una produzione media di 50.000 bottiglie. Cospicua la presenza di Dolceacqua, declinato in differenti tipologie, che trovano il vertice qualitativo nelle 3000 bottiglie di Bricco Arcagna. Fermenta in acciaio e matura in piccole botti di rovere di diversa capacità. Rubino intenso con balza granato. Profumi intensi di rosa canina, ribes nero, confettura di prugna, rabarbaro e nuance di pepe nero. Assaggio austero e rigoroso, equilibrato nell’apporto calorico e impreziosito da una tessitura tannica sapientemente tratteggiata. Piccione alla ghiotta.