50 sfumature di Rossese
Antonello Maietta

“Capitale per vari secoli del Marchesato omonimo, Dolceacqua è un borgo disposto tra le due rive del Nervia. […] Grande centro di vinificazione del Rossese. Qui, tutti si occupano del vino. Paesaggio: il più esaltante che si possa immaginare […] L’aspetto delle vigne ha qualche cosa di rude, di volontario, di arrischiato.”

Questo raccontava – con una sintesi molto efficace – Mario Soldati in Vino al Vino, in occasione del terzo viaggio avvenuto nell’autunno del 1975. Il vino aveva da poco ottenuto, primo in Liguria, il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata (28 gennaio 1972), ma lo scrittore, restio alle etichette e altrettanto scettico nei confronti delle normative burocratiche, non ne fa menzione.

A distanza di cinquant’anni, si evidenzia un’encomiabile presa di coscienza sul potenziale della Denominazione da parte dei produttori, anche grazie a un significativo ricambio generazionale. Percorrendo la strada provinciale che dall’Aurelia sale quasi perpendicolare al profilo della costa, si arriva a Dolceacqua costeggiando per una manciata di chilometri il greto del torrente Nervia, la cui tradizionale portata d’acqua è solo un ricordo del passato. Il corso del Nervia divide il paese in due parti. La più antica, sulla riva sinistra, è denominata a Téra (la terra), un intricato dedalo di costruzioni in pietra sovrastato dall’architettura militare del castello, eretto dai Doria nel XII secolo per difendere i possedimenti al centro di un crocevia commerciale strategico. Degli antichi fasti del maniero, oggi in fase di profonda ristrutturazione, restano le torri, le feritoie, le merlature e la massiccia struttura esterna. Da qui si gode una vista impagabile sullo strapiombo roccioso a picco sulla valle. Al castello si accede attraverso stradine tortuose, archi e passaggi coperti, interrotti qua e là da botteghe di artisti, negozi di prodotti tipici e palazzotti nobiliari: le lancette del tempo sembrano essersi arrestate. Dall’altra parte del fiume c’è il Borgo, quartiere più recente. A collegare le due parti è un ponte tardomedievale a schiena d’asino, con una sola arcata di 33 metri, il cui tratto architettonico di straordinaria armonia non lasciò indifferente neppure Monet nel 1884: “Il luogo è superbo, vi è un ponte che è un gioiello di leggerezza”.