Qualunque cosa sia, la sovranità alimentare certificata dal Governo nato lo scorso ottobre dovrà fare i conti con l’espansione della cucina
extranazionale sul nostro territorio. Poiché a spingerla e a sostenerne lo slancio non è più un fenomeno migratorio, come accadeva sino a qualche lustro
fa, ma una strategia commerciale che incontra i gusti e le abitudini degli italiani.
Secondo i dati raccolti della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) sono stranieri circa 11 ristoratori su 100. Ma se ci guardiamo attorno nei
centri urbani più popolosi, la percentuale di insegne riferite a culture gastronomiche d’importazione ci appare largamente superiore. Siamo invasi da
susherie, pokerie, kebabberie, bracerie argentine, hamburgerie, ristoranti cinesi e d’ogni altra provenienza.
Logico supporre, dunque, che a capo di questi esercizi vi siano imprenditori italiani. Anche se un lavoratore su quattro (sempre secondo i censimenti
della Fipe) è straniero. Insomma, la nostra ristorazione è una babele di dati contradditori. Con una sola incontrovertibile evidenza: agli italiani
piacciono i gusti esotici, le novità, le tendenze. Il mercato si adegua. E in qualche caso riesce persino a orientare la risposta del pubblico.
Specialmente quello di più giovane età, che è contemporaneamente il più aperto alle nuove esperienze e il più vulnerabile alle seduzioni commerciali,
insinuate attraverso suggestivi storytelling. Non è un caso che i piatti esteri maggiormente premiati dal successo (quelli citati qualche riga sopra)
siano anche quelli che – per fruibilità, immagine e prezzi – vanno incontro con passo deciso alle esigenze della clientela under 30.
Sono naturali dinamiche mercantili, intendiamoci. Non meritano né plausi né fischi. Anche se intravedo due potenziali effetti collaterali. Da una parte,
potrebbe calcificarsi progressivamente un rifiuto della cucina nostrana da parte delle nuove generazioni. D’altro canto, se si assottigliasse
significativamente l’offerta territoriale, correremmo il rischio di scontentare i turisti, che ci vengono a trovare anche per divorare le nostre
specialità gastronomiche.
Vedremo quel che accadrà. Nel frattempo, posso darvi delle anticipazioni, dato che vivo a Milano, città che rappresenta un punto di osservazione
premonitorio dei fenomeni sociali (e non so se compiacermene o piangerne). Ecco perché sono in grado di prevedere alcune dei format gastronomici che si
affacceranno sul mercato nazionale nei prossimi mesi. Naturalmente, i titolari di questi locali sono italianissimi. Viaggiatori che hanno recuperato
ricette e usanze nel corso delle loro escursioni.