Atina DOC,
il vino ritrovato.

Francesca Zaccarelli

Tra Lazio e Abruzzo, protetta da eleganti rilievi calcarei, si colloca la Valle di Comino, teatro silenzioso di incredibili vicende storiche, dai Volsci fino alla Seconda Guerra Mondiale. Osservando attentamente, la quiete apparente lascia spazio a una potenza atavica, che si riflette nel fascino dei paesaggi, dei borghi tra le rocce e nella resilienza delle attività che li animano.

Resilienza è un termine autentico, spesso attribuito a sproposito. Indica la proprietà intrinseca dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi. Se dovessimo conferire questo potere alla Valle di Comino, potremmo riformulare il concetto come la straordinaria capacità di rimanere fedeli alla propria natura, nonostante le difficoltà e i periodi di abbandono. Figlia minore di una regione prospera e illustre, la Valle è stata per secoli lasciata sola a sé stessa, oppure occupata e sfruttata, ma mai veramente valorizzata. Chi proviene da quei luoghi possiede tale consapevolezza, eppure non vi è traccia di sconforto. Al contrario, si percepisce la posata fierezza e il sentimento di appartenenza che investe gli abitanti di un ruolo più nobile, quello di custodi laboriosi di un territorio tanto straordinario quanto poco conosciuto.

Al centro della Valle troviamo a 500 metri s.l.m. il comune di Atina. La località è il cuore di una delle più promettenti denominazioni viticole del Lazio, dedicata al Cabernet e in parte al Merlot. Per capire come queste due varietà francesi siano un’eccellenza tipica di queste terre, è necessario riscoprire parte della lunga storia che ha attraversato la Valle e conoscere da vicino un suo orgoglioso abitante: Pasquale Visocchi.