Uno dei segreti meglio custoditi di Milano sono i cortili: sono piccoli eden, spesso ricchi di verde, la vista quasi sempre nascosta dalle alte mura e dai portonacci, perché agli inquilini, gelosi, piace tenere per sé lo spettacolo. In via Morone, nel pieno centro della città, ce n’è però uno accessibile a tutti; il palazzo che lo circonda fu dal 1813, e fino alla sua morte, casa di Alessandro Manzoni. A lui era riservata una stanza appartata, con grandi finestre da cui poter guardare il giardino, perché don Lisander, oltre alla letteratura, aveva una gran passione per il verde. Interesse da nobile gentiluomo – intendiamoci – non certo da consumato imprenditore: a differenza di un Garibaldi, o di un Cavour, più inclini a numeri e registri (il primo aveva avviato una discreta attività a Caprera; il secondo vantava ampi investimenti in quel di Grinzane), Manzoni nutriva il suo dáimon agreste in maniera spassionata, senza alcuna tema di natura economica.
L’amico e collaboratore Luigi Rossari (cui si deve molto del famoso lavoro di risciacquo dei panni in Arno) lo ricorda tutto intento a ordinare barbatelle di vitigni bordolesi alla contessa Costanza Arconati, con l’obiettivo dichiarato di produrre un vino “da far vergogna a quelli di Sciampagna e di Borgogna”.
La scintilla era scattata da bambino, quando la mamma, Giulia Beccaria, aveva ereditato dal marito Carlo Imbonati una grande tenuta a Brusuglio, attuale frazione di Cormano. In quella villa, immerso fra i libri di agronomia, finì per piantare ortensie e robinie, allora praticamente sconosciute in regione, oltre a magnolie, aceri giapponesi, tigli, limoni, catalpe e una infinità di altri generi arborei, inclusi arbusti di cotone e di tabacco, ahimè di scarsa durata. L’amore per l’agronomia era tale da considerarla sua principale occupazione, e – giurano alcuni studiosi – vero campo da cui avrebbe desiderato ottenere fama sempiterna.
Le cose, com’è noto, andarono in maniera leggermente diversa, e, ironia della sorte, fu un altro Manzoni a farsi un nome nell’ambito: quel Luigi, già preside della Scuola enologica di Conegliano, e sindaco del paese, noto per aver creato una serie di incroci che portano il suo cognome.