Bordeaux 2022. L’annata delle prime volte e dei secondi vini. Gabriele Gorelli MW Primavera, tempo di En Primeur. Dopo la fragile e lineare 2021, presentata a Verona lo scorso maggio, siamo andati a Bordeaux per degustare la 2022. L’anno più caldo di sempre per la viticoltura europea che ha fatto tanto parlare di sé durante la stagione. L’impatto della gelata (ormai tradizionale) di inizio aprile è stato limitato per la maggior parte delle appellazioni. Aprile e maggio sono decorsi in maniera classica. È da giugno che si riscontrano le prime ondate di calore e una riduzione drastica della frequenza e dell’intensità delle precipitazioni. Gli Château hanno risposto con grande puntualità a queste condizioni di stress così pronunciato che potevano far presagire il peggio. Le chiome sono state gestite in maniera da proteggere i grappoli da scottature. Si è cercato inoltre di limitare le ci- mature per contenere il consumo di acqua. Si è adattata in maniera tempestiva la viticoltura alle diverse zone e varietà. In un’annata così siccitosa, sono le zone di solito meno prestigiose – quelle con i suoli più profondi – che hanno performato meglio. La capacità di mantenere l’umidità del sottosuolo da parte dei suoli argillosi è stata cruciale per la maturazione del Merlot. Le diffuse piogge di fine luglio e agosto sono state provvidenziali per recuperare un equilibrio in vigneto che sembrava compromesso. Gli Château si sono confrontati con condizioni più comuni in zone climatiche molto più calde. Le piante, molto meno cariche e fertili dopo una 2021 difficile, hanno limitato la produzione al minimo e mostrato una resilienza che in pochi credevano possibile. Un’annata che possiamo definire delle “prime volte”: prima volta in cui si ha una combinazione di alte temperature in stagione che si protraggono e coincidono con una siccità inusitata; prima volta che si vendemmia così anticipato (a Cheval Blanc si è cominciato con il Merlot a fine agosto); prima volta (o quasi) che si vedono grappoli e acini così piccoli e si hanno delle rese bassissime in vigneto (fino a 18 ettolitri per ettaro); prima volta che si riscontra una così elevata quantità di tannini a fine fermentazione; prima volta (o quasi) in cui c’è interpretazione orientata alla freschezza e alla croccantezza, in contrasto con la ricerca della maturità e della densità che contraddistingueva le annate “solari” di Bordeaux. C’è quindi un’evidente e oltremodo positiva divergenza tra quello che le caratteristiche della stagione suggeriscono e il risultato in vino. La chiave è stata l’alta pressione che ha permesso oltre un mese di vendemmia. L’assenza di “fretta” ha fornito agli Château qualcosa di fondamentale: il tempo. Il tempo di fare selezioni, di gestire al meglio le maturazioni di ogni varietà e di vinificare separatamente le uve di ogni parcella. La chiave è stata tutta nel momento della raccolta. Settembre e ottobre hanno mostrato una significativa escursione termica giorno-notte e una grande stabilità dell’alta pressione che ha mantenuto le condizioni ideali per la vendemmia per oltre un mese. È stata proprio questa assenza di “fretta” o necessità di raccogliere che ha fornito agli Château qualcosa di fondamentale: il tempo. Il tempo di fare diverse selezioni, diversi “tri” in vigneto. Tempo di gestire in maniera ottimale le maturazioni di ogni varietà. Tempo di vinificare in maniera separata e – spesso delicata – le uve di ogni parcella. Il risultato è un’annata che non solo è straordinaria (in tutti i sensi) ma è soprattutto SORPRENDENTE. Un frutto pieno, maturo ma raramente “over” è il marker della 2022 e consente anche di mantenere a bada l’oggettiva abbondanza di tannini. Vini aperti e solari ma contraddistinti da una grande freschezza e compattezza. Un livello qualitativo enorme. A Saint-Estèphe sempre più il climate change permette si produrre vini brillanti e cristallini. Gran di conferme: Cos d’Estournel e Château Phélan Ségur, capaci di stupire anche per la forte identità dei rispettivi secondi vini (Pagodes de Cos, Frank Phélan), che in quest’annata beneficiano di un approccio più contemporaneo e di positiva differenziazione. Il primo per una delimitazione specifica dei vigneti che lo compongono, più giovani, più produttivi e in suoli più freschi. Il secondo perché, per la prima volta, è stato gestito per esprimere un’identità forte e delineata e di conseguenza composto cercando un’espressione sensoriale distintiva, indipendentemente dai vigneti e dalle varietà disponibili o tradizionalmente utilizzate. Pauillac rimane una roccaforte dei migliori vini del Medoc. Nella 2022 si mostrano ancora più intriganti e profondi. Pontet-Canet pecca un po’ per lunghezza ma non per definizione e pulizia. Château Pédesclaux si affida al super-consulente Eric Boissenot per un carattere fresco ed energetico che ricorda Margaux per finezza e florealità: grande sorpresa. Anche in questo caso, il secondo vino (Fleur de Pédesclaux) è particolarmente invitante e beverino, oltre a essere particolarmente democratico in termini di prezzo, nel contesto Bordolese. Margaux è notoriamente l’area più elegante e aromatica di tutto il Médoc. Qui si sono raggiunti livelli di calore preoccupanti, ma i suoli ad alto contenuto di argilla hanno limitato lo stress, fornendo vini con un equilibrio impressionante. Château Margaux e Château Palmer stupiscono per lo stacco stilistico netto tra i primi vini - più austeri e densi - e i secondi, focalizzati su freschezza e vitalità. È proprio da Palmer che il CEO Thomas Duroux - in contrasto con gli altri direttori tecnici - afferma che la 2022 è un’annata da cui non aver paura a estrarre molto, vista la grande qualità dei polifenoli. Rimarchevoli anche Château Brane-Cantenac, Château Cantenac Brown e Château Lascombes. Quest’ultimo è da tenere particolarmente d’occhio, in quanto nuova “casa” di Axel Heinz dopo 18 anni in Ornellaia. A Pessac-Léognan la qualità rilevata in degustazione collettiva non è stata così regolare come nelle altre zone. I grandi classici continuano a stupire. Tutta la linea di La Mission Haut-Brion e Château Haut-Brion è capace di concentrazioni estreme ma anche di grandissima finezza e agilità. Interessante la scelta di Château Les Carmes Haut-Brion di includere una porzione di raspi in fermentazione per dare grip e tessitura. C’è l’eventualità che questa pratica si diffonda molto soprattutto in annate solari, data la capacità del rachide di aggiungere una dose di erbaceo piacevole, compensando una pirazina limitata dal caldo. Gli altri vini di Pessac ricordano più i Bordeaux d’antan, più riservati e austeri con una punta di “verde” sempre presente. Proprio come i loro predecessori, c’è da aspettarsi che la soddisfazione nel degustarli arrivi solo dopo almeno un lustro. La riva destra, Saint-Émilion e Pomerol, è solitamente l’area che soffre più le annate calde, spesso esprimendosi con vini particolarmente densi e dal carattere “spiritato”. 2009, 2015, 2018 le annate che – nonostante l’alto riconoscimento internazionale – qui si sono mostrate appesantite e spesso esageratamente mature. La sorpresa è stata vedere come la varietà solitamente più sensibile ai vari stress (luce, siccità, calore) – il Merlot – abbia risposto in maniera egregia, quando guidata sapientemente. Al contrario di quanto è successo nel 2021 (in una raccolta continuamente minacciata da rovesci) quest’annata ha lasciato grande capacità di interpretazione. La lunga vendemmia ha annullato i compromessi tra meteo e maturità fenolica/tecnica, rendendo possibile la gestione puntuale di ogni varietà. A Saint-Émilion i mostri sacri si distinguono per purezza, nitidezza e nerbo. A Château Figeac, madame Blandine de Brier Manoncourt spiega come la grande profondità del banco d’argilla sotto i propri vigneti abbia permesso una maturazione lunga e senza stress, anche grazie alla scelta di utilizzare portinnesti più “rustici”. A Cheval Blanc, non si è ritenuto adeguato produrre il secondo vino “Petit Cheval”, tanto alta è stata la qualità rilevata dagli assaggi post fermentazione. Angelus, dopo l’uscita dalla classificazione che dieci anni fa gli era valsa la menzione “A”, si mostra con uno stile più slanciato e nitido di sempre. Château La Gaffelière si conferma un best-buy, come anche l’omologo Clos La Gaffelière, che guadagna grande identità e definizione. A Pomerol si avverte un ritorno alla delicatezza, dopo anni di rincorsa alla densità e alla potenza. Château La Pointe, Château La Croix de Gay e Château Clinet ne sono degni ambasciatori. Un cambio epocale, di approccio più che di stagione, che lascia ben presagire quelli che potranno essere i Pomerol del futuro: vini più contemporanei e bevibili che manterranno un carattere più scuro e carnoso nel contesto della riva destra. Bordeaux significa principalmente vini rossi, ma non solo. Sui bianchi – principalmente i Pessac a base sauvignon e sémillon – si assiste a un cambio di stile molto potente e significativo. Ci si sposta da esempi quasi viscosi ed estremamente opulenti a etichette che mostrano più tensione, purezza e profondità. È bello che questo cambiamento sia stato reso possibile da una vendemmia anticipata, capace di “rivitalizzare” i Pessac. Il Movimento è in linea con quello di un mercato mondiale che oggi privilegia la bevibilità, seppur non transigendo rispetto a vini troppo esili o lineari. La densità e il volume sono un tema chiave per essere percepiti come archetipi di massima qualità. Ambasciatori di questa filosofia sono Domaine de Chevalier, sempre di altissimo livello, ma soprattutto Château Latour-Martillac: capace di combinare aromaticità, potenza e grandissima finezza a un prezzo sorprendente. Importante non dimenticare uno stile che è sempre più una nicchia, quello dei botritizzati di Sauternes e Barsac. Un’area che vive un momento di autoanalisi e di volontà di rilancio, spesso testimoniata dall’uscita di nuovi vini secchi per farsi notare da una platea più ampia di consumatori. La 2022, così solare e secca, è stata alquanto ingenerosa di botrite fino alla seconda metà di settembre. Questo ha messo a dura prova gli Château che si trovavano con uve perfettamente sane e mature ma senza il marchio distintivo della denominazione. Come spesso succede, chi ha saputo aspettare la fine del mese ha beneficiato di uno sviluppo veloce della Botrytis Cinerea dovuto a piogge diffuse. È solo dopo metà ottobre che si sono potute comprendere le potenzialità di quest’annata nel contesto vini dolci: grandissime maturazioni, bassa acidità e livelli di zucchero straordinari. In conclusione, Bordeaux 2022 si conferma la propria grandeur, eleganza e capacità di posizionamento. Qui c’è la consapevolezza di essere il riferimento della maggior parte delle zone viticole del mondo. Di conseguenza ci si comporta da top-player. Mi piace ricordare la frase del professor Nicolas Vivas: “A Bordeaux ogni mattina si alza il sipario e comincia lo spettacolo”. Buona visione!