Parola d’ordine: sostenibilità.
Economia.

Roberto Cipresso

Cari amici, se siete ancora qui, vi ringrazio intanto per l’entusiasmo e la pazienza, felice di riprendere insieme e senza indugi il discorso proprio dal punto in cui lo abbiamo lasciato. Nella caparbia, convinta e un po’ fanatica fiducia nel presente e nel futuro che mi caratterizza, sono ad accendere lumi di speranza, e a dare altre prove di come lo sviluppo sostenibile – appunto in quanto sviluppo – sia da intendersi nel senso di una felice progressione, piuttosto che come un doloroso passo indietro; il concetto intanto, nelle sue tappe e definizioni successive, vede affiancare al piano sociale e a quello ambientale – che abbiamo almeno in parte approfondito la scorsa volta – anche il tema economico: “Porre fine a ogni forma di povertà nel mondo” recita il primo ambizioso “obiettivo” tra i 17 “goals” in cui si articola l’Agenda 2030. O ancora: “Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti”, come invece, sulla stessa linea, suggerisce “l’obiettivo” numero 8. È questo forse l’aspetto che, parlando di sviluppo sostenibile, tendiamo a tralasciare più spesso, come se fosse inappropriato associarlo agli altri due, rispetto ai quali è forse considerato meno nobile. Viceversa, personalmente credo sia evidente come proprio le realtà più povere – perché spesso esposte a “banditi” e sfruttatori liberi di depredare senza controlli o leggi adeguate, o perché sprovviste delle soluzioni più evolute per la gestione dei fattori di produzione e lo smaltimento dei residui – vedano frequentemente le peggiori forme di depauperamento delle risorse naturali, le manifestazioni più marcate di inquinamento, le più disastrose conseguenze delle catastrofi ambientali. Per non parlare poi di quanto la povertà sia nella realtà davvero poco conciliabile con espressioni di giustizia sociale e benessere collettivo. Non resta allora che tornare al nostro “circuito virtuoso”, per provare a capire come un atteggiamento più sano e rispettoso nei confronti dell’ambiente possa anche, consapevolmente o meno, condurre a risparmi nei costi e incrementi nei guadagni. Prendiamo proprio esempi che ci siano familiari, e che ancora una volta ci parlino di vigna e di vigneto: è chiaro che ogni intervento in termini di passaggio di macchinari alimentati a combustibili fossili e di somministrazione di prodotti di sintesi sul vigneto o in fase di trasformazione del prodotto non solo contribuisca ad aumentare l’impatto ambientale in diverse delle sue possibili accezioni, ma comporti anche un incremento – in alcuni casi molto significativo – dei costi di produzione. In altre parole, più l’agroecosistema vigneto è in grado di autoregolarsi dal punto di vista della nutrizione, della difesa, del contrasto a elementi estranei che possano danneggiarlo, più esso sarà anche economicamente sostenibile. Ben vengano dunque tutte le combinazioni tra strategie diverse nella gestione del suolo che permettano di preservarne il più possibile fertilità, struttura, disponibilità idrica; o gli importanti progressi in ambito genetico, che presto magari consentiranno di non curarci più di difendere il vigneto dalle sue più temibili malattie, ovvero di ovviare a uno dei costi più esosi e onerosi della sua gestione – come abbiamo già ampiamente illustrato nel “capitolo” dedicato alla sostenibilità ambientale –.