Questione di etichetta. Vincenzo Russo Come scelgono i consumatori un vino? Quanto importante è l’etichetta di un vino su uno scaffale o su una tavola di un buon ristorante? Sono queste alcune delle domande più frequenti che ci vengono poste al Centro di Ricerca di Neuromarketing della IULM. La risposta è spesso assai difficile poiché l’atto di acquisto dipende da diverse variabili, come le aspettative intorno a un prodotto. Tuttavia, sappiamo che, per la maggior parte dei consumatori inesperti, le semplificazioni giocano un ruolo determinante e che il sistema visivo, continuamente bombardato da migliaia di stimoli, non riesce a “vedere” tutto ciò che sta di fronte ai nostri occhi. La nostra percezione è infatti “selettiva” ovvero si sofferma solo su elementi che ci aspettiamo di trovare (attenzione top down), o solo su elementi che di per sé riescono a “uscire” dagli scaffali (attenzione bottom up) e a rimanere in memoria grazie a specifici accorgimenti visivi, come la grafica dell’etichetta, la sua forma, la dimensione, la texture o i colori. L’uso sapiente di queste variabili è determinante per chi vende un buon vino, soprattutto sapendo che i consumatori (soprattutto quelli non esperti, ovvero circa l’80% del mercato) non sceglie usando la razionalità. Le scienze cognitive e le neuroscienze ci hanno insegnato che le decisioni non sono solo frutto di calcoli e previsioni logiche, ma l’esito di un complesso processo in cui un ruolo determinante è attribuibile alle emozioni e a processi automatici e inconscio. Così la decisione di acquisto di una marca di vino in enoteca, al supermercato, al ristorante, o sul web, è guidata spesso da “scorciatoie”, ovvero da meccanismi di facilitazione della decisione, da esperienze pregresse o da aspettative fortemente connotate da emotività. Sono soluzioni che permettono di risparmiare energia, soprattutto se non si è particolarmente competenti o si ha poco tempo per decidere. Ricordiamoci che le aspettative, e le emozioni a esse connesse, non solo guidano i comportamenti di acquisto dei consumatori, ma contribuiscono a costruire, in maniera molto più profonda di quanto si possa immaginare, la percezione delle stimolazioni, comprese quelle sensoriali. Sappiamo per esempio che una birra al limone presentata con un’etichetta tendente al verde e giallo viene percepita più limonosa della stessa birra presentata con un’etichetta dai colori più rossi e marroni. Ora si comprende perché la Seven Up ha modificato il colore della propria lattina aumentando del 15% il colore giallo e inserendo una fetta di limone nell’immagine della lattina e i consumatori hanno percepito un significativo miglioramento della qualità del prodotto. In questi processi di semplificazione e di influenza delle aspettative, determinate dal costo, dalla provenienza del vino e/o dal packaging assumono un ruolo importante. Il visual marketing, ovvero l’utilizzo strategico da parte del marketing di segni e simboli visivi finalizzati a comunicare il messaggio desiderato, oltre a promuovere la brand identity, ha, difatti, anche un ruolo fondamentale nel rendere più efficaci le vendite e nel fare percepire “migliore” un prodotto che è già di per sé “buono”. Alcune ricerche dimostrano in maniera molto evidente quanto importante siano l’etichetta e la retro-etichetta e il loro design. In una recente studio svolto da Nielsen, nell’individuare gli elementi che fanno percepire un prodotto come “ ”, si scopre, per esempio, che tra i primi tre posti non vi è il costo, aspetto che troviamo solo al nono posto di una lunga lista di fattori, ma la qualità degli ingredienti, l’eventuale funzione o migliore “performance” del prodotto e soprattutto il design del suo packaging. premium E quindi l’etichetta. Questa in uno scaffale ha un ruolo determinante. Lo rileviamo anche con le nostre attrezzature neuroscientifiche. Con un è, infatti, possibile individuare quanti millisecondi un’etichetta su uno scaffale riesce ad attirare l’attenzione e a misurare anche quanto tempo viene osservata e quante persone sono state attratte da quello stimolo. Non si tratta di un dato banale. Si pensi che secondo gli studi di Ipsos, altra grande azienda ricerche di mercato, se si aumenta del 10% la visibilità del prodotto su uno scaffale, la probabilità che venga acquistato cresce del 35%. Se poi lo stimolo, oltre a essere visibile, è anche gradevole, il risultato è di grande effetto. eye tracking Partendo dalla consapevolezza che “ ”, possiamo individuare alcuni elementi costanti nel processo di attrattività di una etichetta. Incrociando i dati con i nostri elettroencefalografi si può anche misurare l’effetto emozionale o mnemonico che produce. La possibilità di utilizzare gli strumenti sul campo e l’uso della tecnologia mobile dell’eye tracking permette di svolgere utili studi di efficacia progettuale sia dei luoghi di vendita che del packaging ovvero l’analisi del prodotto (quanto viene visto), il percorso di esplorazione di uno scaffale (cosa viene visto per primo), la visibilità di un pop promozionale o ancora il comportamento di interfaccia con l’espositore (quanto tempo il consumatore interagisce con lo scaffale, quanto tempo impiega per l’acquisto, quali sono le caratteristiche e informazioni del packaging che osserva prima di decidere l’acquisto. In tanti anni di esperienza di analisi neuroscientifica nei punti vendita abbiamo rilevato alcune costanti. Le etichette più apprezzate sono quelle che rispondono a particolari canoni estetici, ma anche quelle che rispondono a specifiche esigenze del consumatore. Per quanto riguarda la dimensione estetica vi sono elementi generali e universali che risultano attrattivi, ed elementi contestuali da analizzare sia in relazione alla cultura del paese in cui viene venduto il prodotto che ai trend di consumo del momento. Si pensi per esempio all’importanza di utilizzare etichette che richiamino i colori della nazione in Cina, ovvero il rosso e l’oro, o l’esigenza di avere etichette “pulite” e non particolarmente articolate in un momento storico in cui la sobrietà e la semplicità sono elementi caratterizzanti. se è l’etichetta che fa vendere la prima bottiglia è sempre il vino che fa vendere la seconda Se torniamo a considerare gli aspetti più universali, rileviamo, per esempio, che la coerenza cromatica tra etichetta e prodotto è un elemento abbastanza importante. Sarebbe contraddittorio proporre un vino rosso corposo con un’etichetta bianca con una striscia azzurra. Eppure, situazioni come questa esistono, contribuendo a fare percepire di minore qualità il prodotto stesso. L’etichetta deve essere capace di creare engagement e valore in pochi secondi non solo sfruttando coerenze con le aspettative cromatiche del consumatore ma anche giocando con elementi di polisensorialità. Per esempio, sapendo che tatto e vista si influenzano a vicenda, un’etichetta che non colpisce alla vista potrebbe acquistare valore integrando le lavorazioni in rilievo al fine di renderla interessante al tatto, e viceversa. Dalle nostre ricerche neuroscientifiche rileviamo spesso che risultano vincenti il contrasto cromatico (nero/bianco, nero/rosso), il contrasto visivo (opaco/lucido), il contrasto tattile (liscio/ruvido). Così come le etichette più performanti nell’attrarre l’attenzione sono quelle in cui le eventuali nobilitazioni grafiche hanno una finitura lucida, specie se in contrasto con un fondo opaco: quando queste nobilitazioni sono in rilievo (cliché, vernice braille, liquid gold), e capaci di creare una sensazione di cura maggiore del dettaglio, oppure quando la carta tende a essere opaca e non lucida, o si presenta materica, ruvida, con una texture percepibile al tatto. Altro aspetto determinante è il ruolo della retroetichetta. Secondo uno studio del 2010 (McGarry Wolf e Thompson) analizzando le aspettative dei consumatori relative all’efficacia della comunicazione delle retroetichette, si sono individuati gli elementi che rispondono perfettamente alle esigenze dei consumatori, ovvero quella di trovare alcune specifiche informazioni che a volte vengono “sacrificate” per dare spazio ad accattivanti narrazioni romanzate del prodotto e del suo territorio. Spesso troviamo frasi nelle retroetichette che piacciono solo a chi le ha scritte e non dicono assolutamente nulla al consumatore, come per esempio “Ottenuto dalla vinificazione di uve nere, raccolte con passione, nelle terre di famiglia. È un vino eccentrico e inaspettato, un perfetto equilibrio tra gusto e stile che rifugge ogni interpretazione”. Oltre all’incomprensibile significato, mi chiedo chi raccoglie le uve “senza passione” e soprattutto nelle terre del vicino… Narrazioni belle e attrattive, ma inutili e non esaustive per il consumatore. In questa ricerca un gruppo di consumatori è stato invitato a indicare quali dei principali fattori influenzi l’acquisto di un nuovo vino da uno scaffale del negozio. I primi due fattori di influenza sono certamente il prezzo e la tipologia del vitigno. A seguire un ruolo importante è attribuibile al brand e all’effetto del passaparola. L’etichetta frontale anche in questo caso ha influenzato quasi la metà dei consumatori, mentre la retroetichetta ha influenzato un po’ più di un quarto dei rispondenti. L’aspetto più importante della ricerca è ciò che il consumatore medio (ovvero non esperto) si aspetta di trovare nella narrazione della retroetichetta: ovvero una chiara descrizione dei profumi e degli aromi che si andrà a trovare nel vino (anche perché gli inesperti hanno difficoltà a riconoscerli spontaneamente), le principali informazioni riguardo alla cantina e alla sua storia, gli abbinamenti con i cibi. A seguire tutte le altre informazioni più tecniche che in realtà il consumatore medio non capisce fino in fondo. Si tratta di informazioni che risultano a lui accessibili e complementari con le sue capacità di comprensione. Ciò che viene indicato come desiderabile è il riferimento al sito web per trovare più informazioni, la mappa geografica del territorio di produzione, la narrazione di qualche aneddoto legato al prodotto o all’azienda e, infine, per chi le capisce, le tecniche di produzione. Il , oltre a promuovere la , ha anche visual marketing brand identity un ruolo fondamentale nel rendere più efficaci le vendite e nel fare percepire “migliore” un prodotto che è già di per sé “buono”.