Social dinner. Valerio Massimo Visintin Dovremmo ammettere, prima o poi, che qualcosa non ha funzionato nella costruzione del villaggio globale. Abbiamo perduto il senso delle distanze nelle trame ininterrotte delle nostre connessioni con il mondo intero. Chiusi nell’eremo virtuale dei telefonetti, interagiamo con realtà di spazi indefiniti, trascurando chi ci sta di fronte. Per uscire da questo isolamento e rientrare nel consesso civile, non resta che darsi appuntamento ai tavoli di un bar, di un’enoteca o di un ristorante. Perché il modello unico della socializzazione contemporanea è limitato a due azioni: bere e mangiare. Pazienza. Nascono così, i , altrimenti detti . Cene tra sconosciuti, che bramano di conoscere qualcuno. social dinner social eating Siccome appartengo alla generazione della carta e degli amici in carne e ossa, mi sono dovuto documentare su questo fenomeno in lenta, ma costante espansione. In genere, si tratta di eventi pubblicizzati sottovoce. Fanno riferimento a piattaforme di prenotazione online. E trovano un più consistente seguito nelle grandi città. A cominciare da Milano, epicentro delle solitudini urbane. Da quel che ho dedotto, le formule sono sostanzialmente tre. Le etichette che le individuano, invece, sono state elaborate da un trust di scienziati riuniti a congresso nel Nebraska. 1. Home Cenetting Un individuo appassionato di cucina prepara manicaretti in casa propria. 2. Didattic Cenetting Un individuo appassionato di cucina organizza corsi culinari in casa propria. 3. Restaurant Cenetting Un/una giornalista del food mette in piedi un calendario di cene in diversi ristoranti, ai quali assicura visibilità sui social e articoli sulla testata di provenienza. La formula numero tre è in palese conflitto di interessi. E meriterebbe un approfondimento da parte degli organi disciplinari dell’Ordine dei giornalisti. Per ora, a cavalcarla è una sola testata (Gastronomika, inserto de Linkiesta). Speriamo si ravvedano, ricordando che la deontologia non è lo zerbino di casa. Gli altri due format, invece, sono legittimi, al netto delle polemiche sulla teorica concorrenza ai ristoranti veri e propri, i quale sono tenuti al rispetto di regole più stringenti sul piano burocratico, igienico e fiscale. Sarebbe divertente recensire in incognito questo genere di attività, come faccio con i pubblici esercizi. Ma correrei il rischio di farmi riconoscere. Per capirne di più, allora, mi faccio spiegare dettagli e retroscena da Anna Buffa. Tra le centomila attività delle quali si occupa attorno ai temi gastronomici, Anna è una pioniera del Didattic Cenetting. Mi dice che la forbice anagrafica dei partecipanti è grosso modo collocata tra i 28 e i 38 anni. Uomini e donne in egual misura. “Anche se, dopo il Codiv, l’età si sta elevando sino ai sessanta e oltre”. Il target sociale? “Molto vario. Ma tendente all’alto. Ai miei incontri si iscrivono professionisti, imprenditori e anche personaggi di rilievo pubblico”. E come funzionano queste cene? “Io introduco il tema gastronomico della serata. Imposto le ricette. Ma lascio che siano i partecipanti a preparare i piatti, lasciando libertà di interpretazione. Loro vogliono essere protagonisti di quella dimensione. Io li assecondo. Anche se naturalmente controllo che non facciano disastri”. Sono sbocciati degli amori? “Certo. Sono nate coppie, ma anche grandi amicizie. Il cibo e la cucina sono un veicolo per far parlare le persone. Per trascorrere una serata conviviale”. In fondo, le circostanze mutano, senza che cambi la sostanza delle nostre necessità. Per socializzare le ragazze e i ragazzi della mia epoca si iscrivevano al cineforum. E, conclusa la proiezione, seguiva il dibattito.