La vita. Una storia
in continuo fermento.

Francesca Zaccarelli

Lieviti indigeni, batteri lattici, muffe prodigiose. Consorzi microbici capaci di guarire, enzimi che catalizzano, microrganismi dai poteri aromatici sbalorditivi e metaboliti dai sapori unici.

Il ruolo dei microrganismi nella produzione agroalimentare è forse una delle materie più intriganti e di tendenza. Dai processi industriali fino alle cucine stellate, dal caseificio tradizionale al forno sperimentale, dalla cantina blasonata al birrificio artigianale, dal salumificio al laboratorio vegano di miso e kombucha: in ognuno di questi luoghi, lieviti e batteri sono largamente utilizzati come macchine capaci di trasformare la materia cruda in qualcosa di buono e straordinariamente sano, considerando il processo degradativo che queste microscopiche entità comportano.

Parlando di vino e di qualsiasi bevanda fermentata, la questione diventa ancora più rilevante, perché senza fermentazione non esisterebbero alcol, aromi e sostanze che tanto ci invogliano a consumare tali prodotti. L’ossessione per i lieviti vinari è tale che sappiamo tutto del saccharomyces cerevisiae: ne abbiamo studiato la sequenza genetica con la stessa cura riservata al genoma umano e sono stati identificati migliaia di ceppi, insieme ad altri lieviti non saccharomyces interagenti e ognuno con un metabolismo differente che conferirà caratteristiche diverse al substrato fermentato.

La microbiologia resta forse il campo di ricerca più ampio e promettente per il futuro, ora che sappiamo che la nostra vita stessa non sarebbe possibile senza il microbioma, quel prezioso pool di microrganismi che abita il nostro corpo, e ci nutre, ci protegge, ci cura.