La complessità semantica del vino. Emanuele Lavizzari Quanti sono i valori semantici del termine vino? Ogni periodo storico lo ha concettualizzato a modo suo, dal Medioevo al XXI secolo, passando dal Rinascimento e dai classici. Il vino ha un proprio linguaggio, inteso in senso lato come sistema di espressione e comunicazione, che ha dato vita a rappresentazioni contraddittorie in campi multidisciplinari e che ammette approcci da angolazioni complementari (degustazione/ispirazione) o talvolta opposte (moderazione/ubriachezza). Il suo valore aggiunto implicito gli conferisce quella carica culturale condivisa. Il termine e il suo simbolismo possono essere ricondotti a tre comportamenti umani che sono caratterizzati da un preciso uso linguistico: il bevitore, il degustatore (che comprende anche la figura a noi cara del sommelier) e l’artista. Se la prima trasforma il vino in qualcosa di banale, la terminologia diventa metafora quando il bevitore si fa assaggiatore e raggiunge la sua sublimazione nelle sensazioni che l’artista (occasionalmente degustatore) proietta nell’originalità della sua creazione. Il vino parla e il suo effetto inebriante ci fa parlare, divenendo una bevanda eminentemente colta. Molteplici sono i valori socioculturali, infatti, che gli sono specifici e numerose le rappresentazioni simboliche in ambiti multidisciplinari come l’arte o la letteratura, dove questo termine è stato oggetto di varie concettualizzazioni nel corso della storia. La semantica del termine vino e le sue diverse connotazioni, derivate dalla pressione dell’ambiente religioso, politico, storico e socioculturale, giustificano in qualche modo il suo ruolo di testimone delle più differenti civiltà. Nessuna bevanda ha raccolto così tanto interesse e rispetto. Il vino risveglia la creatività e l’arguzia, ma anche gli istinti più selvaggi e il lato oscuro che si nasconde dentro il nostro essere. È forse questa ambivalenza semantica del termine vino che si fonde con il carattere contraddittorio dell’uomo. Questa sostanza misteriosa diventa, dunque, la nostra compagna più fedele. Il simbolismo che lo circonda è semplicemente una prova della sua importanza non solo nel continente europeo ma anche in tutte le altre civiltà fin dall’antichità. Molti scrittori hanno cantato sin dalla sua origine le lodi di questo nettare divino, questa bevanda dell’immortalità, intramontabile come l’arte, di cui vino è stato indubbiamente una fonte inesauribile di ispirazione. In poche pagine non è possibile sviluppare un discorso che meriterebbe lo spazio di volumi enciclopedici, ma possiamo almeno provare a suggerire qualche spunto di riflessione. Elementi inscindibili di una civiltà, il vino e l’arte rappresentano la parte più profonda dell’animo umano. È significativo notare come le grandi civiltà del passato fossero evolute in entrambi i settori, viticolo e artistico, e ci si può spingere ad affermare che, in fondo, entrambi perseguono lo stesso obiettivo: far assaporare in un certo senso il piacere frutto del lavoro e dell’ingegno umano. Il vino è un simbolo particolarmente rilevante nella storia dell’arte. Basti pensare a quanto emerge dalle civiltà classiche, in cui la divinità greca dell’estasi, del vino e dell’ebrezza, Dioniso (Bacco per i Romani), è un’indiscussa protagonista. Sui crateri (antichi vasi utilizzati per mescolare il vino con l’acqua per renderlo meno denso nei simposi greci) e su altri contenitori viene raffigurato di frequente e la sua iconografia diventa nel tempo una figura sempre più raffinata e complessa. Alcuni esempi si ritrovano nell’Hermes con Dioniso di Prassitele (350-330 a.C.), nei fregi del Tempio di Adriano a Efeso (138 d.C.), antica città sorta nell’attuale distretto turco di Smirne, e nella Coppa di Licurgo, una coppa diatreta (forata) di vetro di epoca romana risalente al IV secolo, su cui sono raffigurati il re mitologico di Tracia, Licurgo, mentre viene schernito dalla divinità e attaccato da un satiro. Presente ovunque nell’Antico e nel Nuovo Testamento, il simbolismo della vite e del vino si arricchisce sempre più nel corso dei secoli. La vite diventa uno dei fondamenti del cattolicesimo a immagine di Cristo che afferma: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto” (Giovanni 15, 1-2). Poi, nella parabola dei vignaioli, il Signore è presentato come il padrone della vigna che manda suo figlio (Gesù) a controllare i vignaioli (gli uomini) (Marco 12, 1-12). La Chiesa d’Occidente, creando un legame simbolico tra Dio e il vino, consegna in un certo senso agli artisti del Medioevo e del Rinascimento uno dei temi che sarà tra i più ricorrenti nei capolavori di quei secoli. Il vino nuovo simboleggia “la venuta del Regno”, quando Cristo ritornerà: “Vi dico che da ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio” (Matteo 26, 29). L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci è la più celebre rappresentazione che descrive l’episodio in cui Gesù pronuncia queste parole, affresco realizzato tra il 1494 e il 1498 per il refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie a Milano. La trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana di Galilea (Giovanni 2, 1-11) può essere interpretata come il segno che il Regno è iniziato sulla terra con questo vino nuovo donato a profusione, alla maniera di un’Epifania. Le rappresentazioni pittoriche di questo miracolo sono state numerose e tra le principali si ricorda il grande dipinto di Paolo Veronese Nozze di Cana (1563) conservato al Museo del Louvre a Parigi. Né la tradizione greco-latina né i Vangeli crearono ostacoli alla produzione e al consumo di vino. Cristo ne fece un simbolo di vita e di comunione, aprendo la strada a molti scrittori e artisti. È evidente che il simbolismo differisce, però, a seconda della religione. L’Islam proibisce ai suoi seguaci di consumare bevande alcoliche, ma ci sono poeti arabi che lodano il vino nella consapevolezza di essere nel peccato. Ibn al-Fârid (1181-1235) fa del vino il simbolo di una realtà spirituale, quella dell’unione dell’anima con Dio. La sua Ode al Vino è una meditazione sulla bevanda frutto della vite e sulla felicità umana: l’ebbrezza diventa simbolo della conoscenza. I poeti persiani esaltano il vino, bevanda umana e profana. Omar Khayyâm (1048-1131) scrive così: “Dicono: hai bevuto il peccato! Nient’affatto, ho bevuto ciò che sarebbe peccato abbandonare!” sono alcuni dei suoi versi più significati a riguardo. Il vino è spesso legato a opere celebrative e a un simbolismo carico di accezioni edificanti. Il già citato Dioniso era originariamente una divinità della vegetazione, legato alla linfa che scorre nelle piante, e successivamente viene identificato come il dio dell’estasi, del vino, dell’ebbrezza e della liberazione dei sensi. Questa serie di elementi lo accostano, però, anche all’ubriachezza, all’eccesso incontrollato sotto l’effetto dell’alcool, a volte alla follia. Così come nella mitologia, anche nel corso della storia si delineano scenari che rendono il vino protagonista in negativo. Nel corso dell’Ottocento la rivoluzione industriale e la comparsa del proletariato contribuiscono all’affermazione della dimensione tragica dell’ubriachezza. Il vino, simbolo di gioia di vivere, amore e convivialità, diventa, al contrario, fonte di infelicità, sinonimo di solitudine, malinconia e tristezza, come mirabilmente sintetizzato, per citare un esempio rilevante, nell’opera (1889) di Henri de Toulouse-Lautrec. La bevitrice Queste connotazioni ostili attribuite alla bevanda frutto della vite sembrano ricondurci ai nostri giorni, dove in Europa c’è chi vuole inserire sulle etichette dei prodotti alcolici, quindi anche sul vino, avvertenze sul rischio di malattie mortali dovute al consumo. A noi verrebbe da dire che la pratica smodata di qualsiasi attività e l’assunzione eccessiva di qualsiasi cosa è nociva alla salute, tranne la cultura. E se il vino è cultura, allora possiamo affermare che la degustazione è un’esperienza formativa. Meditate gente, meditate.