Mixology Ale. Riccardo Antonelli Siamo nel 1862 quando il “Professor” Jerry Thomas, un ambizioso e capace bartender americano, pubblica il primo libro di ricette di cocktail, sancendo, di fatto, il riconoscimento ufficiale di una nuova professione e definendo anche alcuni criteri della mixology che ancora oggi vengono ampiamente rispettati e tramandati. L’obiettivo tra le righe di “The Bartender’s Guide” a ben guardare era anche quello di dare giusta considerazione e luce a un settore destinato alla gloria proprio in virtù dei sottili equilibri gustativi e palatali che vi si celano. Schemi ricorrenti che ritroviamo quando assaggiamo un piatto, o degustiamo un vino o una birra, ma che stentiamo a riconoscere grazie alle complesse dinamiche su cui si poggiano. Soprattutto in passato, anche se con grandiosi esempi attuali, ci si è quindi poggiati e cullati tra le confortanti braccia delle strade già percorse con successo da altri. Apripista d’avanguardia che hanno segnato uno stile, una tipologia, una ricetta. Maestri a cui giustamente dobbiamo molto e grazie ai quali abbiamo un punto di partenza da cui segnare e scrivere il nostro percorso. Ogni settore ha avuto o è tutt’ora poggiato così sui dogmi passati, vini inclusi con le sue innumerevoli mode passeggere. È bello parlare di mode, anche se questo è un termine spesso utilizzato in senso dispregiativo, perché ci permette di guardare alla maestria di questi settori siano essi brassicoli, enologici, cucinieri o mixology The Bartender’s Guide in chiave d’Alta Moda. Di fatto, anche nell’elegantissima arte e storia dell’Alta Moda si assiste ciclicamente al ritorno di schemi. Linee guida grazie alle quali si è in grado di realizzare e confezionare in modo più incisivo e stupefacente una nuova collezione. Celebrare ma al tempo stesso reinventare, reinterpretare. “Omaggiare-rinnovando” è probabilmente una della più curiose e divertenti arti che si possa effettivamente venerare. Immagino, infatti, di vedere un ben contento e compiaciuto Jerry Thomas osservare dall’alto le abilità dei Bartender attuali e scommetto che, potendo, si tufferebbe all’istante nel vortice della sperimentazione suddetta. Studiare un cocktail, ripercorrerne storia, ingredienti, equilibri, contrasti, schemi e logiche per poi cercare di tradurre il tutto sotto forma di birra. Venendo a noi, un percorso meraviglioso, mai andato concretamente di “moda”, ma effettivamente spesso riproposto (anche io mi sono trovato in passato a celebrare tutto ciò in una mia ricetta di birra) è la splendida stretta di mano che si osserva alle volte tra il mondo della mixology e quello brassicolo. Questa intesa è squisitamente duplice e ambivalente: Mastri Birrai che omaggiano un cocktail o Bartender che impiegano le caratteristiche di una birra per esaltare i propri miscelati. Non me ne vorranno gli amanti di… ma non stiamo parlando ovviamente di “incidenti di percorso” come le Radler (birra e limonata) o ancora la “bicicletta” (birra e gazzosa), anche se possono suscitare in noi memorie nostalgiche di notti giovani. Sostituire ai cocktail che prevedono prosecco o champagne della birra è certamente una strada percorribile, e uno dei più celebri in tal senso è la riformulazione – con le giuste proporzioni – del BeerSpritz (con l’utilizzo di una birra secca e di buona amarezza al posto del prosecco) o del Bier Royal (con l’impiego di una Gose o una Berliner Weisse al posto dello Champagne). Mettendo, però, finalmente la birra ad assumere il ruolo di protagonista, la sfida diventa più golosa e si va finalmente alla ricerca dello stupore gustativo fatto di contrasti o armonie, il tutto giocando sempre per il perseguimento della pulizia di bocca finale. Birre tradizionalmente di stampo belga (molto frizzanti, generalmente di buon residuo zuccherino e soprattutto generose con le luppolature mitteleuropee) hanno un carattere “grassy” (erbaceo) e si possono pertanto sposare bene in concordanza con il medesimo spirito ritrovato in diversi gin. Il carattere dolce, caramellato e forte del Rum, invece, può essere valido alleato delle rusticità “cioccolatose” delle Ale Anglosassoni, poggiate sui malti torrefatti (tutta l’ampia famiglia delle Stout e delle Porter, così come alcune Old Ale o Scotch Ale). Trovo tutto ciò molto affascinante, e nei miei momenti di svago spesso indugio in tal senso alla ricerca delle creazioni di abili Barman e Barlady, ma da Mastro Birraio trovo ancora più intrigante la celebrazione brassicola del mondo dei cocktail. Studiare un cocktail, ripercorrerne storia, ingredienti, equilibri, contrasti, schemi e logiche per poi cercare di tradurre il tutto sotto forma di birra. Non vuole essere questa una raccolta storica dei primi sperimentatori. Sarebbe complicato ritrovare con assoluta certezza i precursori e al tempo stesso probabilmente vanificherebbe i miei intenti. Voglio raccontarvi di quando personalmente sono stato “battezzato” da questa idea, di quando, tre o quattro anni fa con stupore mi sono ritrovato tra le mani una birra con questo ragionamento alle spalle e dei fuochi d’artificio che ha fatto partire nel mio cervello di fantasioso sperimentatore. La birra celebrava uno dei cocktail più famosi al mondo: il Negroni. Geniale realizzazione di due menti altrettanto geniali: Dany Prignon (Brasserie Fantôme - Belgio) e Schigi D’Amelio (Extraomnes - Lombardia). Partendo da una base Saison di buon tenore alcolico avevano ricostruito a ritroso i caratteri dominanti della degustazione di un Negroni. Malti chiari per base gustativa “neutra” e secca, barbabietola per la colorazione, luppolatura americana su base Cascade per incidere a livello olfattivo il tenore agrumato (in generale di arancia), e una sapiente e ben calibrata speziatura (fatta di bacche di ginepro, artemisia, assenzio e molto altro) volta a ripercorrere la complessa palette olfattiva dei liquori e distillati che compongono il famosissimo cocktail fiorentino tanto amato dal Conte Negroni. Il percorso per giungere a quella celebrazione mi ha folgorato, proprio perché poggiata su di un’idea alla base molto semplice. Non solo vi ho rivisto la possibilità di giocare in futuro con la stessa idea andando a caccia del giusto cocktail da omaggiare, ma la sola possibilità che due mondi così apparentemente lontani potessero finalmente trovare una duplice intesa, anziché restare ancorati ad un’univoca interpretazione mi stampò un sincero sorriso in volto. Perché non riproporre un White Russian in versione birra per le fredde serate invernali al bancone del pub? Le note di caffè sarebbero facilmente ripercorse attraverso l’utilizzo di malti torrefatti, la panna montata del cocktail verrebbe simulata nel gusto dolciastro e cremoso grazie all’uso di lattosio. O ancora, perché non pensare rivisitare l’estivissima Piña Colada facendola magari cullare tra le spensierate braccia di una Berliner Weisse aromatizzata al succo d’ananas e latte di cocco? Le possibilità sono davvero tantissime e tutte estremamente divertenti. Facile immaginare che si possa far ricadere (a senso) queste birre tra le seasonal beer come ho appena riproposto qui, ovvero produrre un singolo lotto all’anno in corrispondenza della stagione ideale di consumo, ma nessuno vieta di giocare con cocktail ampiamente consumati tutto l’anno come nel caso della grande idea di Schigi e Dany. Grandi Mastri Birrai del passato, come Josef Groll (pioniere delle Pilsner) o Guru della storia della Mixology come il Professor Jerry Thomas hanno dovuto gettare le fondamenta nei propri settori, immaginando da zero l’impalcatura su cui si sarebbe poggiata una grande fetta della propria categoria. Un lavoro mastodontico che noi abbiamo il dovere di rispettare e celebrare alle volte fedelmente in virtù della loro grande Maestria. Altre volte, è il caso di cambiare volto, indossare la maschera della “faccia tosta” e, sempre con giudizio in testa, rivisitare il passato trovando alternative chiavi di lettura, pensieri affini che sicuramente farebbero sorridere anche i grandi della storia. : Brasserie Fantôme (Belgio) – Extraomnes Birrifici (Marnate VA) : Negroni Birra : Saison Stile : 9,4% vol. Grado Alcolico : Birra di buona limpidezza dal colore ambrato, con riflessi rubino piuttosto vividi sormontata da una schiuma bianca abbondante e di ottima finezza. Al naso libera fresche note agrumate, su di un fondo speziato legnoso e piccante, a tratti erbaceo. Balsamiche note di macchia mediterranea si fanno spazio in piena apertura con i classici toni di ginepro, mirto ed elicriso. L’assaggio è pieno nella morbidezza e nel livello alcolico, a contrastare in realtà un corpo esile e squisitamente secco nel finale. Chiusura amaricante in toni vegetali di erbe aromatiche selvatiche. Scheda di degustazione : Avocado toast con salmone affumicato, zest d’arancia e cipolla fritta. Abbinamento Cocktail Beer Fritz : Dosare 5 cl di Helles, 2 cl di Cointreau, 3 cl di Spumante brut e una fettina di limone o zest. Preparazione nel Mixing-glass, non shaker. Mescolare con bar-spoon avendo cura di non danneggiare le bollicine, servire in tumbler basso con garnish di limone. Preparazione : Impronta olfattiva segnata dalla freschezza degli agrumi sia del Cointreau che della garnish, su di un fondo leggermente erbaceo e di spezie bianche tipico delle luppolature mitteleuropee della helles. All’assaggio il sorso è fresco e alleggerito dalla sottile carbonazione. Agile la persistenza, favorisce un rapido ritorno al bicchiere. Il finale di bocca è leggermente poggiato sull’amarezza della birra rafforzata dall’acidità dello spumante, in chiusura di arancia. Sottile, elegante. Degustazione : Tartellette croccanti con coppa di testa e maggiorana. Abbinamento