L’anima bianca
di Clos Rougeard.

Ivano Antonini

Non è facile raggiungere il piccolo villaggio di Chacé. Un paese popolato da poco più di mille anime, situato nel cuore della Loira vinicola a una cinquantina di chilometri da Angers. Siamo in una landa sconosciuta al 99% della popolazione mondiale, ma tanto basta per quell’1%, rappresentato dai puristi del vino, per collegarla all’AOC Saumur-Champigny, che tradotto in termini emozionali significa grandi vini da cabernet franc. Sì, proprio quel vitigno che i loro colleghi bordolesi non vinificano mai in purezza. Qui invece si va oltre, roba che a Cheval Blanc gli fanno un baffo. E la parola baffo non l’abbiamo scomodata a caso, come vedremo poi col seguito del racconto. Ma il motivo che fa brillare il nome di Chacé nel panorama viticolo è legato a una parola che fa venire la pelle d’oca solo a pronunciarla: stiamo parlando dell’azienda Clos Rougeard, ça va sans dire. Un nome che va oltre il concetto di azienda vitivinicola. L’appassionato di vino ci vede qualcosa di mistico, spesso irraggiungibile, come capitava spesso quando si corteggiava la più carina della classe delle medie. Ma anche in questo caso è facile ricevere il due di picche, nel momento in cui si prova soltanto a chiedere qualche bottiglia in assegnazione. Sono diversi i motivi che hanno issato il mito Clos Rougeard nell’olimpo dell’enologia mondiale. Un mix di fattori tra l’oggettivismo e il misterioso, il tutto contornato da un alone quasi religioso.

Perché spingersi fin quassù ha la stessa valenza quanto a fede enologica al pari di un cammino per Santiago di Compostela per il più credente dei cristiani. Ricordatevi tuttavia di mettere sempre in valigia dei maglioni o delle giacche a vento anche se volete programmare il viaggio in pieno luglio, poiché il clima è tra i più capricciosi che un viticoltore conosca. Ma senza questi sbalzi d’umore di Giove Pluvio oggi non saremmo qui a parlare del “mito”. Ovviamente, oltre al clima, è importante il terroir nel vero senso del termine.

Il suolo è particolarmente ricco di elementi che sono una bomba di mineralità esplosiva. “C’est la magie du tuffeau, monsieur” – vi diranno – ovvero quel tipo di terreno che ha la capacità di assorbire umidità e pioggia nei mesi più freddi, salvo poi rilasciarla gradatamente in quelli più caldi. Così come in estate mitiga le uve durante la notte, di quel calore che è stato assorbito durante il giorno. E poi c’è il calcare, l’argilla, il silicio e il tufo.