Genova per noi. Antonello Maietta Il testo della canzone – scritta nel 1975 da Paolo Conte (astigiano, ma genovese ad honorem) e portata al successo da Bruno Lauzi, genovese autentico sebbene nato in Eritrea – sintetizza efficacemente il senso di smarrimento e meraviglia che si prova nel visitare una città densa di contraddizioni, percepibili anche a tavola. Nel corso dei secoli, in tutta la Penisola le cucine regionali hanno tratto gli ingredienti principali dal proprio territorio, realizzando un connubio indissolubile tra la città e la campagna. Genova è anomala sotto questo punto di vista, perché ha dovuto fare i conti con una terra avara di prodotti, a causa della particolare morfologia del suo circondario, e con un mare prodigo di risorse, ma irto di minacce e pericoli. Cosicché la ricca aristocrazia ha conosciuto gli sfarzi legati alla progressiva evoluzione dei trasporti e alla supremazia della Repubblica di Genova sui mari: qui arrivavano materie prime pregiate e ingredienti esotici e sconosciuti, che dopo poche generazioni diventavano patrimonio della cultura gastronomica locale. Eccetto l’olio extra vergine di oliva e le erbe aromatiche, dalle ripide fasce a picco sul mare, quasi tutti gli ingredienti che imbandiscono le tavole da secoli hanno radici lontane e il profumo di altri mondi: pensiamo al pesto e alle innumerevoli salse da mortaio, dalle origini tutt’altro che locali. Le abitudini alimentari del popolo, basate sul sacrificio e sulla resistenza quotidiana, trovano talvolta un proprio riscatto attraverso l’invenzione di preparazioni sublimi da materie prime povere, come i due cibi di strada per eccellenza, la focaccia e la farinata. In Italia la focaccia identifica genericamente preparazioni dolci o salate di forma tondeggiante e schiacciata, ma l’accezione dialettale fügassa conduce inequivocabilmente a quella genovese, alta poco più di un centimetro e puntellata dalle tipiche fossette. Visitando la città di buon mattino, dalla stazione di Brignole è sufficiente attraversare la strada e imboccare via San Vincenzo per trovare sulla destra il panificio Mario, il forno più antico della città, attivo dal 1938. Il logo arancione della “vera focaccia genovese” sotto l’insegna aiuta a individuare i locali aderenti all’Associazione in caso di un improvviso languorino. La focaccia non si ordina a peso, perché l’unità di misura è la striscia; tre strisce compongono una slerfa, che a sua volta è l’ottava parte di una lama, la classica teglia rettangolare, di recente insidiata da varianti rotonde e triangolari. I puristi l’assaggiano alla rovescia, perché le papille gustative vengano subito a contatto con il sale e l’olio che punteggiano la superficie, e amano intingerla nel caffellatte. Fino alla metà del Cinquecento la si portava addirittura in chiesa, in occasione di matrimoni o funerali, mettendo d’accordo tutti ceti sociali, finché il vescovo Matteo Gambaro ne proibì il consumo durante le funzioni. Per una colazione più canonica, svoltando dopo pochi metri a sinistra in via Galata, si trovano in sequenza Panarello (dal 1885) e Tagliafico (dal 1890), due delle più rinomate pasticcerie cittadine sul fronte dei lievitati. Per non sembrare foresti, al posto di brioche o cornetto ordinate un chiffero (o chiffaro): la forma è sempre a mezzaluna, ma l’impasto è leggermente più soffice, non sfogliato, e ricalca i kipferl viennesi o i kiffel ungheresi. Giunti qui alla fine del XVII secolo da Venezia, arriveranno a Parigi solo ai primi dell’Ottocento assumendo il nome di croissant, con una ricetta a base di pasta sfoglia. Da via Galata, attraverso due ingressi laterali si può accedere al Mercato Orientale, inaugurato nel 1899 per dare una sede stabile al mercato dei prodotti agricoli che confluivano ogni mattina in piazza De Ferrari dalla val Bisagno e assicurare un maggior decoro al centro cittadino. Ancor oggi i rivenditori di frutta, e soprattutto di verdura, sono chiamati bisagnini o besagnini. All’interno si trovavano prelibatezze di ogni genere, con uno spiccato tocco esotico e orientaleggiante. L’ipotesi di un’origine levantina del nome del Mercato è però errata: in realtà evocava la posizione a est rispetto al centro cittadino. Una profonda ristrutturazione terminata nel 2019 ne ha in parte modificato la fruibilità e le sembianze, secondo gli standard dei nuovi mercati metropolitani che animano le grandi città italiane, aggiungendo spazi di ritrovo e per il consumo sul posto. Fortunatamente è rimasta pressoché integra l’impronta dei banchi perimetrali al pianterreno, che conservano il fascino del passato. Qui potete acquistare gli ingredienti per realizzare un eccellente pesto alla genovese, seguendo i suggerimenti del Consorzio di Tutela del Basilico Genovese Dop: basilico genovese Dop, aglio di Vessalico, pinoli italiani, parmigiano reggiano, fiore sardo, olio extra vergine di oliva Riviera Ligure Dop e sale grosso. La tradizione prevede anche il mortaio di marmo bianco e il pestello in legno di ulivo. “Basilico genovese” non definisce una cultivar specifica, ma la tipologia di coltivazione, raccolta, commercializzazione e l’areale di produzione, che coincide con il versante a mare dell’intera regione, anche se qualcuno sostiene che il grand cru del basilico sia il quartiere di Genova Prà. Se non avete confidenza con la cucina, uscendo dal mercato dall’ingresso principale di via XX Settembre, la via commerciale della città, attraversate la strada: da Rossi 1947, in via Cesarea, potete acquistare il pesto prodotto dal patron Roberto Panizza, che con la sua associazione culturale Palatifini organizza con cadenza biennale il Campionato del Mondo di pesto al mortaio. In dieci minuti di strada leggermente in salita si raggiunge piazza De Ferrari, il cuore pulsante delle istituzioni, con il palazzo della Regione Liguria, già sede della storica Società Italia di Navigazione, che all’apice dell’espansione contava 12.000 dipendenti. Sul lato opposto della piazza si erge il Teatro Carlo Felice, inaugurato nel 1828. Poco lontano, presso il Consolato britannico nacque nel 1893 il Genoa Cricket and Football Club, il più antico e longevo club calcistico italiano. Da qui, diversi itinerari portano verso il mare attraverso il centro storico più grande d’Europa. Si può seguire un percorso preciso, oppure girovagare tra gli stretti caruggi e crêuze, dove “il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”, per dirla con Fabrizio De André, formidabile outsider della canzone d’autore di scuola genovese, insieme a Luigi Tenco, Umberto Bindi, i fratelli Reverberi, Gino Paoli, Ivano Fossati, Bruno Lauzi e un insospettabile Paolo Villaggio. Scendendo da vico della Casana, dal nome delle antiche case di pegno, ci si imbatte nella Tripperia La Casana, dove dal 1890 si cuoce la trippa secondo il ricettario tradizionale. Prima dell’alba qui transitavano a passo svelto i camalli diretti al porto per una tazza di brodo di trippa, antesignano degli attuali integratori dietetici, che infondeva calore ed energia. All’incrocio con via Luccoli è d’obbligo una sosta alla Cremeria Buonafede dal 1913 per assaggiare la pànera, la panna nera, il gelato tipico di Genova, o meglio una via di mezzo tra un gelato soffice e cremoso e un semifreddo, in voga dalla metà dell’Ottocento. Proseguendo su via Macelli di Soziglia, la Bottega dello Stoccafisso dal 1936 propone materie prime accuratamente selezionate, dove primeggiano stoccafisso e baccalà. Quest’ultimo si può scegliere direttamente dalle vasche di marmo davanti all’ingresso. Lo stoccafisso è storia antica per Genova: i suoi mercanti già alla fine del Cinquecento furono tra i primi acquirenti del merluzzo salato, il baccalà, che i portoghesi pescavano nei fondali di Terranova, appena scoperta. Alla fine dell’Ottocento ripiegarono sul più pregiato merluzzo del Mare del Nord, facendo incetta questa volta del pesce essiccato, lo stoccafisso appunto, in un percorso gastronomico che arriva fino ai giorni nostri. Tra le altre varietà di pesce conservato si trovano le acciughe salate: pesce povero per eccellenza, per secoli hanno rappresentato una straordinaria ricchezza, u pan du mä, il pane del mare. Nei mesi più caldi le acciughe appena pescate sono selezionate e salate artigianalmente, per essere consumate durante l’anno, oggi nelle nostre case ma in passato sulle navi da trasporto. Le Acciughe sotto sale del Mar Ligure si fregiano dal 2008 del marchio Igp. Tra curiosità, aneddoti, indirizzi di botteghe storiche e specialità raccomandate, un dettagliato e prezioso vademecum enogastronomico tra le vie di Genova, che quest’anno ospiterà la Convention Nazionale AIS dal 24 al 26 novembre. Cosa vedere Fu Francesco Petrarca, nel 1358, ad assegnare a Genova l’appellativo di “Superba”. Eppure, il periodo di massimo splendore e di ricchezza della città, il “Secolo d’oro dei genovesi”, si sarebbe concretizzato tra il Cinquecento e il Seicento con la realizzazione di nuove strade su cui affacciavano palazzi di straordinaria bellezza. Questa ricchezza ha permesso a Genova nel 2004 la nomina a Capitale Europea della Cultura, seguita nel 2006 dall’inserimento delle e dei nell’elenco dei siti Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Strade Nuove Palazzi dei Rolli I “Rolli degli alloggiamenti” sono documenti datati tra il 1576 e il 1664 e oggi conservati presso l’Archivio di Stato, in cui venivano elencati i palazzi adatti a ospitare i viaggiatori di rango elevato. L’assegnazione era stabilita attraverso un sorteggio pubblico, che vincolava i proprietari a dare alloggio agli ospiti. Il sistema è attualmente composto da 42 palazzi rinascimentali, situati prevalentemente fra via Garibaldi, via Cairoli e via Balbi, le cui facciate sono arricchite da affreschi e bassorilievi. Cosa assaggiare La ricetta del , risalente al XVI secolo, racchiude molti ingredienti, come uva sultanina, arancia e cedro canditi, pinoli e semi di finocchio, di lontana provenienza orientale o tipicamente mediterranei ed evidenzia la vocazione mercantile della Repubblica di Genova. Nella preparazione dell’impasto è necessario lavorare a lungo la farina, il burro e lo zucchero, ma soprattutto il lievito naturale, custodito gelosamente in dispensa. Si infornano piccoli pani del diametro di circa 25/30 centimetri, segnati al centro dalla classica incisione a triangolo. Pandolce genovese Diversamente da quanto avviene altrove, questo emblema della tradizione natalizia a Genova si consuma tutto l’anno e si trova comunemente nelle pasticcerie e nei forni. È un eccellente souvenir, dal momento che è agevole da trasportare. Tra questi vicoli si sviluppò, nel XVI e XVII secolo, un fiorente commercio di spezie, che portò ricchezza sotto la Lanterna. Gli artigiani genovesi divennero maestri riconosciuti nell’arte di confettare e candire. Il primo procedimento serviva a mitigare la pungenza delle spezie e della frutta secca attraverso un rivestimento di zucchero, l’altro a prolungare la conservazione di prodotti deperibili come la frutta e i fiori freschi. Molte di queste storie si sono perse, ma a tenerle in vita ci pensa l’insegna Pietro Romanengo fu Stefano, fondata nel 1780 e trasferitasi nel 1814 in piazza Soziglia. Da qui, passando per piazza Banchi, potete raggiungere agevolmente il Porto Antico. Per un itinerario differente, da piazza De Ferrari entrate nel cortile di Palazzo Ducale, per uscirne dallo scalone di piazza Matteotti e proseguire diritto verso salita Pollaiuoli, da percorrere in realtà in discesa transitando davanti al Caffè degli Specchi. In piazza San Donato nella Cantina Storico-Culturale Janua, in uno spazio risalente al XV secolo Andrea Bruzzone fa riposare il suo Metodo Classico ottenuto da uve bianchetta genovese. Grazie a pochissimi vignaioli come lui Genova dal 1999 vanta un piccolo vezzo enologico, perché all’interno della Doc Val Polcèvera, estesa su sette comuni della città metropolitana, è presente la sottozona Coronata, riservata esclusivamente al vino bianco prodotto in un areale più ristretto del solo comune capoluogo. Da piazza San Donato proseguendo per via San Bernardo si raggiunge la drogheria Torielli, un vero monumento alle spezie, risalente al 1930 e gestita ancora dalla stessa famiglia. Sugli scaffali troneggiano aromi provenienti da tutti i continenti, conservati in vasi di vetro con le etichette scritte a mano in bella grafia. Poco oltre, in via San Giorgio, merita una capatina l’Antica Sciamadda, golosa sintesi della cucina tradizionale. Con il termine sciamadda, fiammata, si intendevano i locali dove il fuoco vivo della legna alimentava il forno. A metà strada tra una friggitoria e una gastronomia, in gamma non mancano fainà e panissa, entrambe a base di farina di ceci, torte di verdura (bietole, cipolle, carciofi, riso e la tradizionale pasqualina), cundiggiun, polpettoni di carne, ma più spesso di verdura, verdure ripiene, friscioeu e cuculli. Anziché tradurre i nomi è consigliabile assaggiarli. Le sciamadde conobbero la massima diffusione tra Ottocento e Novecento, fornendo cibo gustoso a prezzi popolari; oggi ne restano non più di una decina. In via di Canneto il Lungo si può gustare il Corochinato, l’aperitivo tradizionale di Genova, la cui etichetta recita “Aperitivo di gran lusso l’asinello”, tornato in auge nel 2019 quando il gruppo degli Ex-Otago gli ha dedicato il titolo dell’album contenente la loro canzone di Sanremo. La ricetta del 1886 prevedeva l’utilizzo del vino di Coronata in infusione con alcol, zucchero, china e altre erbe officinali, mentre oggi la base è un vino bianco neutro. Il luogo del cuore per molti genovesi è la bottiglieria Marchesa, conosciuta come “bar degli asinelli” per via del quadrupede che campeggia fi ero in etichetta. Magari in futuro sarà elaborato nuovamente con il vino di Coronata – celebrato anche da Stendhal nel Viaggio in Italia –, ora che ad Andrea Bruzzone e a Gionata Cognata, i soli produttori fi no a pochi anni fa, si è aggiunto nel 2016 il marchese Giacomo Cattaneo Adorno, grazie a un ambizioso progetto di recupero che ha già portato al reimpianto di circa sette ettari in Val Polcèvera, buona parte nell’area di Coronata. Se per uscire dai vicoli scegliete il percorso più breve sul lato destro, merita senz’altro una visita la Cattedrale di San Lorenzo, che si staglia di fronte. Da lì, attraverso via San Lorenzo, si raggiungono gli ampi spazi di piazza Caricamento – qui si caricavano le merci – adiacente a Palazzo San Giorgio, dove nel 1407 fu fondato il Banco di San Giorgio, il primo istituto bancario del mondo, con i portici di Sottoripa e i fondachi che ricordano la vocazione mercantile di Genova. Da questa prospettiva l’immagine della città appare profondamente diversa, grazie all’incredibile opera di ristrutturazione urbanistica coincisa con l’Expo del 1992 dedicato al quinto centenario della scoperta dell’America da parte del concittadino Cristoforo Colombo. Il recupero del Porto Antico, con i Magazzini del Cotone, l’Acquario, il Museo del Mare e molto altro, reca la firma di un altro illustre genovese, l’architetto Renzo Piano, che ha trasformato radicalmente un’area degradata in spazi vitali per la comunità locale e per il turismo. Anche questa è Genova per noi. Convention AIS 2023 Dopo ventidue anni dal Congresso Nazionale svoltosi nel 2001 nel capoluogo ligure, l’assise annuale dell’Associazione Italiana Sommelier ritorna a Genova, con un format rinnovato e aperto al pubblico. Saranno tre giorni ricchi di contenuti, dal 24 al 26 novembre 2023: ai consueti appuntamenti istituzionali, come la riunione del Consiglio Nazionale e l’Assemblea dei Soci, si alterneranno degustazioni, visite alla città, iniziative didattiche e culturali. Il filo conduttore della 55ª edizione si dipanerà sui temi del paesaggio e della sostenibilità ambientale, argomenti che nel territorio regionale trovano da tempo risposte appropriate e innovative. Emblematico, dunque, il tema che sarà dibattuto: “Paesaggio e cambiamenti climatici: conseguenze, prospettive future e sinergie per una efficace promozione turistica”. A questo si affiancherà la presentazione del progetto “Il succo del discorso”, con la presentazione delle opere realizzate dai tre artisti coinvolti, e il piano operativo legato alla formazione enoturistica. Il patrimonio urbanistico di Genova, non a caso defi nita “la Superba”, le sue botteghe storiche e alcuni palazzi rinascimentali inseriti nel “sistema dei Rolli” costituiranno l’ambiente ideale per scoprire le etichette più prestigiose della Liguria e le gemme enologiche selezionate dalla Guida Vitae 2024. L’evento si concluderà con le consuete prove finali del Concorso Miglior Sommelier d’Italia - Premio Trentodoc, per decretare i più talentuosi professionisti dell’anno.