Genova per noi.
Antonello Maietta

Il testo della canzone – scritta nel 1975 da Paolo Conte (astigiano, ma genovese ad honorem) e portata al successo da Bruno Lauzi, genovese autentico sebbene nato in Eritrea – sintetizza efficacemente il senso di smarrimento e meraviglia che si prova nel visitare una città densa di contraddizioni, percepibili anche a tavola.

Nel corso dei secoli, in tutta la Penisola le cucine regionali hanno tratto gli ingredienti principali dal proprio territorio, realizzando un connubio indissolubile tra la città e la campagna. Genova è anomala sotto questo punto di vista, perché ha dovuto fare i conti con una terra avara di prodotti, a causa della particolare morfologia del suo circondario, e con un mare prodigo di risorse, ma irto di minacce e pericoli. Cosicché la ricca aristocrazia ha conosciuto gli sfarzi legati alla progressiva evoluzione dei trasporti e alla supremazia della Repubblica di Genova sui mari: qui arrivavano materie prime pregiate e ingredienti esotici e sconosciuti, che dopo poche generazioni diventavano patrimonio della cultura gastronomica locale. Eccetto l’olio extra vergine di oliva e le erbe aromatiche, dalle ripide fasce a picco sul mare, quasi tutti gli ingredienti che imbandiscono le tavole da secoli hanno radici lontane e il profumo di altri mondi: pensiamo al pesto e alle innumerevoli salse da mortaio, dalle origini tutt’altro che locali.