Lessona. A lesson of style. Fabio Rizzari , “questo vino è una vera lezione di stile”, dice ammirato Steve del rosso che gli sto facendo assaggiare. È un Lessona. Il gioco di parole con il termine inglese lesson è un po’ telefonato, ma l’affermazione del mio amico canadese – palato esperto, ricco di migliaia di bevute illustri – è tutto meno che un gioco di parole gratuito, o un complimento vuoto. Il Lessona può essere, ed è nei fatti spesso, un rosso di stile notevole. I migliori esempi della denominazione, sempre più frequenti sul piano statistico, sono accomunati da un’inebriante complessità aromatica, da una componente tannica puntiforme, da una finezza di tatto che ha pochi uguali nel resto d’Italia. Si produce nel nord del Piemonte, nel comune omonimo in provincia di Biella. Una zona che vanta alcune significative virtù: temperature non rigide quanto la latitudine suggerirebbe, precipitazioni non così abbondanti come nelle aree confinanti, rari episodi estremi quali gelate o grandinate. Per quanto sia una generalizzazione, contestata da molte eccezioni e peculiarità locali, ci sono pochi dubbi sull’evidenza che il clima del cosiddetto Alto Piemonte abbia inoltre goduto di un’accelerazione qualitativa considerevole nell’ultimo decennio. Gattinara, Ghemme, Bramaterra, Boca, Fara, Lessona, Sizzano – e Carema più a ovest – offrono in media vini più maturi nel frutto e nella componente tannica. Nei testi classici il Lessona è pareggiato in delicatezza da pochissimi altri rossi dell’areale, a cominciare l’altrettanto raro Sizzano. Pregi testimoniati fin dalla metà dell’Ottocento da un personaggio illustre, nientemeno che Cavour. Il quale scrive a un vignaiolo locale: . “This wine is a true lesson of style” “Confesso ingenuamente che l’ottimo vostro vino di Sizzano mi ha quasi convinto della possibilità di fabbricare in Piemonte vini di lusso. Cotesto vino possiede in alto grado ciò che fa il pregio dei vini di Francia e manca generalmente ai nostrani, il bouquet. Il bouquet del Sizzano non somiglia a quello di Bordeaux, ma bensì al bouquet del Borgogna, il quale per certe qualità prelibate come il Clos Vougeot e il Romanet (sic) gode la primizia su tutti i vini di Francia. Or dunque rimane provato che le colline del Novarese possono gareggiare coi colli della Borgogna; e che a trionfare nella lotta sono necessari proprietari che diligentino la fabbricazione del vino e ricchi ed eleganti ghiottoni che ne stabiliscano la riputazione” Il novarese non è il biellese, e quindi a voler essere rigorosi un Sizzano non è un Lessona. Ma per una quindicina di chilometri di distanza in linea d’aria non starei troppo a sottilizzare, anche se in effetti a Lessona la piovosità risulta inferiore e taluni dati microclimatici differiscono in modo più marcato. Ciò che più affratella le diverse denominazioni dell’Alto Piemonte è comunque il suolo: pressoché tutto l’arco formato da questa macroarea insiste su terreni sabbiosi di remota origine marina e di elevata forza dell’acidità. Il vino di Lessona è prodotto da pochissimi vignaioli e – fedele alla sua genetica – il suo impatto sul mercato è quasi impercettibile. Le sue radici storiche, all’opposto, sono forti e profonde. Che il vino sia rilevante per la sua terra è plasticamente testimoniato dallo stesso stemma comunale, nel quale al quarto inferiore destro, formato da cinque grappoli d’uva, corrisponde simmetricamente il quarto superiore sinistro, che mostra cinque ferite sanguinanti. È probabile che le ferite rimandino il sangue di Cristo, ma non è già nell’eucaristia che il sangue sta per il vino? Quindi la simbologia regge. Se si tralascia qualche secolo di vicende vitivinicole precedenti e si evita per una volta il classico rimando all’eredità antico-romana, il legato storico del vino Lessona è tutt’uno con l’attività della famiglia Sella, che ne traghetta le sorti dalla seconda metà del XVII secolo a oggi. Punto culminante della – per altri aspetti scarna ed elusiva – storia passata del Lessona, il pluricitato brindisi alla presa di Roma, e alla conseguente unificazione dell’intero territorio italico, offerto dal Ministro delle Finanze Quintino Sella nell’ottobre del 1870. Un brindisi in cui, sostituendo il classico Champagne con il Lessona, si inaugura una sana tradizione nazionalistica nei pranzi e nelle cene ufficiali dei nostri governi. Pur essendo all’epoca parte di un vasto dispositivo di vigneti - fino all’Ottocento la provincia di Biella era tra le più vitate del Piemonte -, la terra del Lessona rimaneva su numeri molto confidenziali. Sicché questa terra e questo rosso si possono considerare un patrimonio raro e prezioso da sempre. Quando viene varata, nel 1976, la Doc conta meno di dieci ettari complessivi e un pugno di produttori. Attualmente l’estensione vitata è arrivata alla bellezza - si fa per dire - di 35 ettari, lavorati da una dozzina di case vinicole. L’amministratore ed enologo responsabile delle Tenute Sella è oggi Riccardo Giovannini. Nonostante la giovane età (è del 1992), ha già una salda esperienza aziendale, e ha avuto il raro privilegio di accedere ad alcuni flaconi venerabili dell’estesa memoria storica del luogo: . “Ho provato bottiglie di Lessona anche degli anni Cinquanta, sono ancora perfettamente vitali ed espressive. Sono vini che sfidano i cliché consolidati sui parametri fondamentali della longevità: per esempio, alcune annate riportano solo 9 gradi e mezzo di alcol” La vinificazione è di stampo classico, calibratamente riveduta e aggiornata in alcuni snodi. I grappoli vengono inizialmente diraspati ma il più possibile lasciati interi: “In passato si vendemmiava a temperature esterne decisamente basse, anche pochi gradi sopra lo zero. Oggi, con il cambiamento climatico, si rischia di portare in cantina uve molto calde, quindi, teniamo il raccolto in cella frigorifera per qualche giorno a circa cinque gradi”. Seguono le normali fasi della fermentazione e della macerazione (in acciaio), quindi il vino sosta per un anno in tonneaux, per poi passare in botti di legno più grandi. Il risultato è un rosso luminoso nel colore, che non ha – come da tradizione – una grande saturazione, ma si presenta brillante, chiaro, dai riflessi rosso vivo in giovane età. Come da annotazioni del vecchio Cavour, il bouquet è da subito espressivo, floreale, sottile. Il Lessona 2017 si presenta proprio così, snello e agile, garbato nei tannini, armonioso. La componente alcolica è ben integrata, e non fa avvertire scodate brucianti nel finale. Le Tenute Sella propongono due selezioni di Lessona: San Sebastiano allo Zoppo, da vigne di età venerabile (oltre settant’anni), e l’Omaggio a Quintino Sella, sorta di riserva prodotta solo nelle annate ritenute più adatte. Sono rossi che hanno in media più “spinta” e più profondità rispetto al Lessona di annata, com’è ovvio, ma quest’ultimo conserva in media una grazia sua particolare che merita la massima attenzione da parte del bevitore illuminato. A cinquecento metri di distanza dalle vigne di Sella si trova una delle parcelle de La Prevostura, azienda di fondazione ben più recente (2001). I Lessona prodotti qui hanno tuttavia bruciato le tappe e mostrato con autorevolezza, dopo poche vendemmie, di essere tra i rossi migliori della denominazione, tra i migliori dell’intera regione, e tra i migliori d’Italia tout court. Caratterizzati da una grande raffinatezza aromatica, ricamati nei tannini, dal punto di vista stilistico guardano senza complessi alle più compiute espressioni borgognone. La tenuta era già attiva in campo vinicolo dagli inizi del secolo scorso con il marchio Quario, nome della famiglia proprietaria all’epoca. Grazie all’intuizione imprenditoriale di Marco Bellini il nucleo ha ritrovato i suoi colori nei primi anni Duemila. Oggi, dopo l’ingresso nella società delle famiglie De Marchi e Ferraris, La Prevostura gestisce poco più di otto ettari e propone sei diverse etichette. Il Lessona rimane la pietra angolare della gamma: il 2017, maturato in diversi legni (botti grandi, barriques, tonneaux) per quasi due anni, ha colore molto chiaro, dai riflessi appena granato, profumi tenuemente vegetali, in cui l’apporto del rovere è appena percettibile, e un sapore molto affusolato, aereo, di particolare trasparenza e nitidezza. Il finale mostra una leggera inflessione alcolica, senza che questo dettaglio scivoli verso una chiusura pesante o peggio bruciante: è solo un accenno di tepore, una pennellata. Coerente ai Lessona degli anni Cinquanta o del secolo scorso, l’aspetta un arco di vita in bottiglia verosimilmente lungo, da misurare anche in decenni. Il Lessona è dunque un perfetto esempio di come il fiume carsico della tradizione sappia riemergere alla vista (e al palato, in questo caso) nel modo più luminoso e convincente possibile. I migliori esempi della denominazione, sempre più frequenti sul piano statistico, sono accomunati da un’inebriante complessità aromatica, da una componente tannica puntiforme, da una finezza di tatto che ha pochi uguali nel resto d’Italia.