L’aura d’Yquem. Massimo Zanichelli Il vino è il risultato di una serie di strumenti, come quelli di un’orchestra, anche in campagna: ogni vigneto ha la sua voce. Pierre Lurton Cerchiamo equilibrio e persistenza. E la leggerezza in annate potenti. Lorenzo Pasquini È una domenica mattina di fine agosto dal cielo ondivago e dal meteo atlantico – scrosci di pioggia alternati a schiarite di sole dopo alcuni giorni di torrida canicule – quando arrivo a Château d’Yquem. Al centro di una campagna che si perde a vista d’occhio nel silenzio circostante, il castello si erge dal suo dolce rialzo dominando la valle senza alterigia, senza baldanza, ma con l’aristocratico portamento di una signoria nutrita da secoli di storia e consapevolezza. Il mondo che gira intorno a Château d’Yquem è tutto fuorché ostentato o sussiegoso. Anzi. Dall’amabilità del presidente Pierre Lurton al savoir-faire del direttore Lorenzo Pasquini, dall’understatement dello chef Olivier Brulard al garbo di tutta l’équipe fino alla liberalità dello stesso Château, che ogni giorno apre le porte della propria bellezza al pubblico affinché ognuno possa portare con sé un souvenir del mito, tutto a Yquem – il luogo dove si produce uno dei vini più famosi del mondo – è classe allo stato solido. Non solo perché dal 1855 Château d’Yquem è l’unico Sauternes Premier Cru Classé Supérieur, ma perché nella sua natura di fuoriclasse non tradisce mai la propria, incomparabile misura: non è un vino potente o spettacolare, ma un vino, appunto, di classe cristallina, un diamante di luce, un sole irradiante. Se il Sauternes è l’elogio dell’eleganza, Château d’Yquem è il suo frutto più puro, il suo spirito più alato. Nasce dalle uve botritizzate di sémillon (75%) e sauvignon (25%), raccolte in diversi passaggi (le trie, necessarie perché la botrite si forma in modo discontinuo all’interno del vigneto) da un centinaio di esperti vendemmiatori (età media 60 anni), che proseguono la tradizione di famiglia (sono ben 13 le generazioni che si sono succedute dal 1593), su un bacino di 100 ettari vitati. Le potature prevedono 10 grappoli per pianta, tenuti sulla stessa linea per favorire la circolazione dell’aria, fondamentale per far deperire il fungo della muffa nobile dopo che l’umidità lo ha generato, e le rese sono microscopiche, quantificabili in un bicchiere per pianta. La complessità pedologica dei terreni (quelli ciottolosi sull’alta riva delle grave, quelli argillosi e argillo-calcarei delle parti più in pendenza e quelli colluviali, sabbie e pietre, della zona più bassa) è un’altra delle variabili fondamentali d’Yquem. Il vino fa fermentazione spontanea e un’élevage di 18-20 mesi in barrique nuove, che non lasciano la minima traccia di sé. mi dice Lorenzo Pasquini, romano, classe 1989, studi di agronomia a Pisa e di enologia a Bordeaux, arrivato alla direzione dello Château nell’ottobre del 2020 dopo varie esperienze tra Francia, Italia e Argentina. . “Si tende a pensare che Yquem diventi Yquem dopo una decina d’anni, mentre noi siamo convinti che sia tale dal momento in cui nasce fino alla fine della sua vita. La fase giovane è la meno conosciuta e quella che ha fatto più progressi negli ultimi dieci anni” “Ci piace far scoprire il giovane Yquem: botrite nascosta e componente amara assente. Assomiglia, paradossalmente, più a un vino bianco, è etereo anziché muffato. I rossi raggiungono il loro apogeo dopo qualche anno, mentre i vini botritizzati non hanno un apogeo, ma stati di apogeo lungo il corso della loro vita. Il nostro compito è mantenere inalterata la grandezza di questo vino, aggiungendo quel pixel in più per renderlo più bello e nitido” Il 2020, vendemmiato tra il 16 settembre e il 29 ottobre con 5 trie interrotte da forti piogge, ha colore dorato cristallino e purezza di frutto tropicale – mango, ananas, litchi – all’olfatto, con sentori di muffa esotica, camomilla, spezie orientali. Il palato è denso, avvolgente, composto, con dolcezza moderata e invitante di pesca bianca e albicocca, un fondo di caramella al miele, un allungo alcolico- dolce-sapido di leggiadra persistenza. . “È stata un’annata delicata con una finestra ristretta per la muffa nobile, arrivata solo nella seconda metà di un ottobre molto piovoso. La chiave di questo 2020 è la delicatezza” Il 2017, vendemmiato tra il 26 settembre e il 13 ottobre, indossa una veste dorata, brillante e luminosa. Naso che è pienezza e purezza di botrite: una muffa sublimata, rilasciata con lentezza, offerta con grazia. È una carezza esotica (papaia, mango), è zafferano in fieri, è cumino. Il sorso è denso, ricco, quasi viscoso. La parte aromatica indotta dalla botrite si apre a raggiera: piena, aromatica, invitante, uno scintillio persistente di luce, un frutto da addentare. Concentrazione e modulazione. Annata molto calda (la quarta più calda dal 1897!), ma con uno sviluppo ideale della muffa nobile: le note tecniche parlano di . “un botrytis total, une concentration explosive” “Le grandi annate come questa sono la fusione tra la vendemmia dell’uva e la vendemmia della botrite. . Ci possono essere grandi vendemmie da uva e poco da botrite (in questo caso il vino non viene prodotto o quasi) e l’esatto contrario, che dona invece vini estremamente interessanti. Il caldo non è stato estremo come in Italia ma l’uva ha beneficiato della maturità della stagione. C’è un lato quasi ‘brutale’ nel 2017 per la sua potenza e persistenza” Di colore dorato intenso dai riflessi brillanti, il 2015, vendemmiato tra il 3 settembre e il 21 ottobre, ha un olfatto compassato e compatto che restituisce l’immagine di un lingotto d’oro: lucente, uniforme, diffuso. Al gusto è maturo, tonico, profondo, con un frutto interminabile, mai compiaciuto, che si dipana in decine di rivoli e suggestioni. Le analogie sono quelle ricorrenti (l’ananas, la camomilla, un accenno di zafferano), ma a incantare è il suono, l’aspetto sinfonico: è un assieme delle parti, un concertato. . “È l’annata modello degli ultimi dieci anni. Temperature calde a inizio estate e piuttosto fresche nella seconda metà della stagione, poche piogge, con quattro diverse generazioni di botrite, cominciate a settembre e finite a ottobre: qui Yquem riesce a essere potente e leggero, esprimendo la diversità del suo ecosistema: due ere geologiche, quattro terreni, diverse altitudini” Dorato pieno, intenso, luminoso alla vista, il 2009, vendemmiato tra l’1 e il 19 ottobre, offre, a contatto con l’aria, sentori plurimi, dalla pesca bianca alla nocciola, dallo zafferano al miele alla caramella d’orzo. Il sorso ha densità, potenza, contrasto, vigore alcolico integrato. Una dimensione gourmand. . “Annata fuori dal comune. Caldo superiore alla media, uva molto concentrata. Appena è arrivata una pioggia si è concentrata la botrite. Ha il livello zuccherino più alto dopo il 1945. Ma il 2022, ancora in barrique, ci va vicino” Il 2007 – vendemmiato tra il 10 settembre e il 7 novembre, con 27 giorni di raccolta nell’arco di due mesi – sfoggia un colore dorato intenso e carico, un olfatto intriso di muffa nobile in filamenti, quasi uno zafferano in pistilli, che poi divampa in un prisma cangiante di albicocche, litchi e spezie, in un crescendo visionario di sentori, sapori, sfumature. Il palato è puro succo, felpato, invitante: la levità della densità, il soffio aromatico di una botrite regale, l’allure della frutta matura disidratata (albicocca), il fascino esotico delle spezie (curry), il côté della frutta tropicale. L’Atlantico e il Mediterraneo. La pienezza e lo slancio. . “Cerchiamo sempre equilibrio e persistenza: il sapore deve permanere anche dopo il sorso, è la persistenza dopo la persistenza. Questa è la tipica annata botritizzata: è stata la muffa, in assenza quasi di sole, a portare la concentrazione. S’inserisce perfettamente nelle annate del ‘7’: ha la stessa precocità e tipicità del 1997 ed è stata raccolta nelle stesse date del 1967” Vendemmiato tra il 19 settembre e il 28 ottobre, il 2005 esprime un colore dorato intenso-luminoso e una sequenza aromatico-olfattiva di frutta esotica, miele, cera d’api, caramella d’orzo, erbe officinali. In bocca c’è densità, profondità, bevibilità in un ensemble di sussurri e sfumature. L’allungo, avvolgente e persistente, ha tratti alcolico-sapidi. Un Yquem etereo. “Gli anni Duemila sono stati pazzeschi per Yquem: 2001, 2003, 2005, 2007, 2009… Un decennio di splendore. . L’annata 2005 è la più soave e gradevole, la meno dimostrativa. Grande uva e grande botrite, ma espressione perfino timida. La cosa bella è la proporzione. Un vino che puoi bere e degustare” Il 2003, dal colore dorato intenso con sfumature arancio, esordisce con un olfatto di calore: la botrite è matura, intensa, di estrema concentrazione, tra arancia candita e crème brûlée, di profondità quasi abissale. Bocca densa, viscosa, avvolgente, assoluta. Compatta, filamentosa, pura. Una carezza morbida e verticale. Con il passare del tempo l’evoluzione e la compattezza – a differenza del 2005, più aeriforme – non si spostano di un centimetro: serviranno forse giorni per smuoverle. . “Annata calda e precoce, con un giugno dalle temperature record. Vendemmia di soli nove giorni, iniziata il 17 e finita il 26 settembre, una cosa mai vista. La 2003 e la 2001 sono violente in modo opposto” L’olfatto del 2001 è un sussulto, una potente sinestesia di luce che erompe dal bicchiere e si traduce in una visione d’assoluto. La magnificenza di una botrite incontaminata, pura e prodigiosa: pistilli di zafferano, Iran, bazar, curry, spezie, cumino, frutta esotica, camomilla, arancia candita. La crème di una botrite che si libra verso l’infinito. In bocca è ricco, viscoso, con zafferano al quadrato, al cubo, in un crescendo esponenziale, vertiginoso. Concentrazione radicale e sopraffina, messa a fuoco epocale. Lunghissimo. Ha il colore del tramonto: dorato-bruno dai riflessi arancio-brillanti. . “Tre generazioni di botrite tra la metà di settembre e la fine di ottobre hanno creato le condizioni per una concentrazione ideale: è un vino dall’equilibrio violento, ovvero densità e freschezza acida. Si contrappone al 2005, più rotondo e setoso” Il 1997, vendemmiato tra il 4 di settembre e l’inizio di novembre con 32 giorni di raccolta, è suo pendant. Ai luminosi bagliori dorato-aranciati segue un impressionante, vivissimo senso di botrite, una muffa radiosa che è espansione esotica (mango, litchi, kumquat), zafferano supremo, buccia d’agrume rosso, spezie orientali, caramella d’orzo. In bocca è puro succo, tonico, soffuso, etereo, di elegiaca dolcezza, di allungo modulato e lento, più lento del 2001, con persistenza dal sapore incessante. . “Un’annata in due tempi, cominciata molto presto a inizio settembre e arrivata fino a novembre. Il mese di settembre è stato molto secco con una botrite lenta, che si formava solo sull’umidità mattutina e sulla nebbia, non sulle piogge, come una cottura a fuoco lento. Due tempi e sette generazioni. Un’ampiezza che si riflette nel vino, meno potente del 2001 e del 2003, ma dove si sente la lunghezza” Il 1989 - paragonato per le sue caratteristiche d’eccezione (calore, clima asciutto, vendemmia precoce e rapida) a millesimi come il 1929, il 1947 e il 1949 - ha tinta dorato intensa, dalle sfumature arancio brillanti. Ed è intinto nell’arancio anche il naso, con le sue note di arancia candita, di buccia di pesca: la botrite - fresca e profumata, elegantissima, di totale trasparenza aromatica - ha qui qualcosa di romantico. Il fervore fruttato torna anche al palato, che sprigiona agrume e agrume e agrume, un lato acido che dona contrasto e incisività, potenza e armonia corrono congiunte, la persistenza, finissima, si apre a raggiera: l’albicocca, la frutta esotica, la camomilla, la cera d’api, il caramello d’orzo… . “Un altro miracolo. In 400 anni non era mai successo di avere tre grandi annate di fila, come è invece accaduto con la 1988, la 1989 e la 1990. L’89 rappresenta la potenza e il contenimento, la forza e il mistero. Caldo in primavera e in estate. Fase climatica fresca nella concentrazione della botrite. La vendemmia è partita il 25 settembre ed è finita il 25 ottobre” Non è un vino potente o spettacolare, ma un vino, appunto, di classe cristallina, un diamante di luce, un sole irradiante. Se il Sauternes è l’elogio dell’eleganza, Château d’Yquem è il suo frutto più puro, il suo spirito più alato. La vendemmia del 1983 è iniziata il 29 settembre e le ideali condizioni climatiche hanno permesso di acquisire la maggior parte del raccolto in un solo passaggio di 16 giorni consecutivi, fatto raro a Château d’Yquem (la vendemmia sarebbe poi terminata il 18 novembre). Colore d’oro e d’arancio con lievi riflessi ambrati. Il naso profuma di botrite agrumata – mandarino, bergamotto, buccia d’arancia amara –, di note esotiche, di lieve ebanisteria, di caramella al miele, di cera e d’orzo. Il sorso è denso, fresco, brillante, arioso, elettrico, incessante. Che purezza, che trasparenza, che ritmo! Ha l’acidità più alta dell’intera verticale (5 g/l) e una frontalità rara, indimenticabile. . “Vendemmia fresca, non tante piogge, temperature inferiori alla norma, freschezza agrumata nel vino, acidità pronunciata” Il 1975 si apre con un colore arancio intenso dagli influssi rossiccio-ambrati. Il naso offre un lato officinale e un lato balsamico, con sentori centrali di caramella d’orzo e cedro candito. La bocca è plasmata sulla densità e sulla ricchezza, ma con un côté alcolico-sapido tendente al secco da pura meditazione. Finale tonico, sottile, lungo, saporito. . “Annata fresca, acida. Temperature sotto la media, vendemmia piccola, di poco volume, molto lunga, dal 29 settembre fino al 17 novembre, con quattro generazioni di botrite” Il 1959, infine. Ha veste ambrata con riflessi tra l’arancio e il mogano-rossastro. Olfatto eclatante di ebanisteria, mirra, arancia candita – anzi agrumi assortiti e tutti canditi –, riflessi balsamici, caramella d’orzo, incenso e frutta secca (albicocca, fico, un accenno di dattero): un incendio organolettico, puro solluchero. Bocca densa, setosa, alcolico-sapida, con un allungo spropositato e clamoroso di zafferano. . “Annata molto potente, sopra la media come calore, sulla falsariga del 2009: maturazione precoce con vendemmia dal 19 settembre al 16 ottobre e botrite distribuita in modo omogeneo” Un viaggio dalle sensazioni stratificate che si compongono in un equilibrio estatico, in uno stile inimitabile, in una visione voluttuosa. . “Lo zucchero in un vino dolce è come il tannino in un vino rosso. È la base della piramide, ma c’è poi tutto il resto: l’acidità, l’amaro, il sapore. Il sale è l’argilla terziaria di origine marina che conferisce lunghezza. E l’amaro è la dimensione che fa la differenza tra un vino dolce e un grande vino dolce, che lo porta a essere delicato, nascondendo la potenza. Lavoriamo sull’amaro: la botrite e la barrique rendono etereo lo zucchero. Non si perde lo zucchero, ma lo si trasforma con la polimerizzazione, facendone diminuire la percezione” L’anima d’Yquem, la sua aura, il suo segreto.