Parola d’ordine: sostenibilità. Società. Roberto Cipresso Eccoci qua. Siamo arrivati insieme – e vi ringrazio per avermi accompagnato fino a qui – al capitolo conclusivo della nostra “avventura sostenibile”, che ci ha visti toccare molte delle implicazioni di questo concetto nei suoi specifici legami con i nostri cari vigneti e con i vini che amiamo e ci rappresentano, dalle buone pratiche di gestione di suolo e difesa fino agli incrementi di valore aggiunto delle produzioni o alle dinamiche della salvaguardia del paesaggio. Abbiamo considerato insieme la possibilità di progettare e auspicare una virtuosa convivenza tra i fattori che possono comporre le nostre azioni quotidiane, sotto la direzione attenta, vigile, curiosa, lungimirante dell’ingegno umano e tra i confini di una cornice di delicato equilibrio e preziosa armonia. In questo contesto credo, però, che alle tre vie che danno corpo e struttura al concetto di sviluppo sostenibile – il tema ambientale, le considerazioni legate all’economia e infine gli aspetti connessi all’attenzione al paesaggio e la sua salvaguardia – sia opportuno aggiungere un tema ulteriore, sempre inestricabilmente associato agli altri: la ripercussione di questa crescita in termini sociali, sia come rispetto inalienabile dei diritti di ogni individuo, sia come maggiori soddisfazione e benessere di tutti i membri delle nostre comunità di cittadini e di persone. Analizziamo intanto il primo degli aspetti in elenco: è dovere morale di ogni imprenditore, reso particolarmente semplice da attuare in caso di un incremento dei guadagni, ma sempre comunque imprescindibile, assicurare ai propri dipendenti condizioni di lavoro sicure e adeguatamente remunerate; se ciò può sembrare scontato nelle nostre aziende – seppure in alcuni casi tragicamente invece ancora non lo sia – siamo comunque tutti chiamati a lottare per ovviare alle condizioni disastrose che da questo punto di vista perdurano quasi ovunque nel resto del mondo. Il tema deve essere anche al centro dei dibattiti - molto attuali in agricoltura - in merito alle modalità di organizzazione del lavoro, specie per ciò che riguarda il ricorso alle società di servizi e alla tendenza alla “terziarizzazione” di attività che in passato venivano svolte da personale dipendente delle singole aziende; se da un lato, infatti, soluzioni di questo tipo permettono di rispondere in modo più tempestivo ed efficiente alle istanze proprie dei lavori agricoli - alcune operazioni, come la raccolta o il confezionamento, richiedono la presenza contemporanea in azienda di molti lavoratori per periodi di tempo che però hanno breve durata - d’altra parte è necessario che il legislatore effettui i controlli necessari a garantire che i lavoratori coinvolti possano godere dei medesimi diritti dei dipendenti delle aziende agricole; sarebbe inoltre opportuno che gli stessi fossero formati in maniera adeguata, sia ai fini delle proprie soddisfazione e crescita personali, sia affinché i diversi interventi siano effettuati con la dovuta precisione e professionalità. Un capitolo a parte merita l’altro attualissimo argomento, pilastro ulteriore del “lato sociale” dello sviluppo sostenibile: l’uguaglianza di genere – “goal” n° 5, Agenda 2030: “Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze” –; relativamente a questo aspetto, credo che ci sia ancora da lavorare molto, e che un’ottica di sviluppo sostenibile possa essere di grande aiuto: le realtà italiane in genere e per fortuna difficilmente discriminano le donne in maniera diretta per ciò che riguarda la possibilità di accedere a un posto di lavoro o a un avanzamento di carriera; resta il fatto che le statistiche in merito parlano molto chiaro e sono sbalorditive in senso negativo: divari di stipendio importanti rispetto ai lavoratori di sesso maschile, ma anche altissime frequenze di dimissioni – o ricorsi a contratti part time – dopo la nascita del primo figlio; credo che questa ingloriosa dinamica possa avere una spiegazione relativamente semplice, e che sia legata non tanto a condizioni discriminatorie sul posto di lavoro, quanto a passi indietro spontanei che le lavoratrici sono costrette a compiere per il peso legato all’accudimento dei familiari, ancora quasi interamente sulle loro spalle. La lotta da portare avanti è dunque di natura culturale ma non solo: sarebbe ad esempio molto utile che lo stato ma anche gli imprenditori, considerassero la possibilità di investire maggiormente in termini di strutture – asili nido gratuiti; centri estivi per ragazzi sicuri, salubri e qualificati; assistenza adeguata per gli anziani – in grado di alleviare il carico di famiglie spesso in seria difficoltà; anche in questo caso, l’impegno si tradurrebbe in un vantaggio per tutte le figure coinvolte: non dimentichiamo che una persona serena e soddisfatta è anche quasi sempre un lavoratore migliore. Lo sviluppo sostenibile viaggia, però, anche in un’altra direzione meno scontata, che è un altro esempio del “circolo virtuoso” che questa espressione mi suggerisce ogni volta che provo a soffermarmi sul suo significato, e che tende a collegare imprescindibilmente ingegno umano, salvaguardia dell’ambiente e benessere collettivo: i nostri vini sono il riflesso fedele del loro territorio, e le nostre realtà imprenditoriali ne sono la linfa vitale, il fulcro, l’anima pulsante, o, per lo meno, potrebbero e dovrebbero esserlo; è di grande vantaggio per tutti quando un imprenditore si identifica con la propria comunità di appartenenza, la aiuta a crescere e a evolversi, ad esempio attraverso una partecipazione attiva alla sua vita e alle sue attività; il contributo in termini di aiuti economici e impegno in prima persona può essere a sostegno di ciò che i cittadini portano già avanti in maniera autonoma, oppure può riguardare proprio iniziative e argomenti inerenti l’agricoltura e la viticoltura: per fare un esempio concreto, che mi vede direttamente coinvolto, mi vengono in mente i vigneti sperimentali degli antichi vitigni autoctoni dorona e bassanese, realizzati a seguito del recupero di queste antiche varietà rispettivamente nell’Isola di Mazzorbo e a Bassano del Grappa, mia città di origine: contributi in termini di ricerca scientifica, ma anche regali e omaggi a due situazioni particolari per peculiarità territoriali e ricchezza di storia e tradizioni. O ancora, gli incontri di formazione e i laboratori realizzati nel corso della mia felicissima collaborazione con il progetto Locanda del Terzo Settore-Centimetro Zero poco lontano da San Benedetto del Tronto, un modello di locanda sociale in cui, come da definizione stessa delle splendide persone coinvolte, “l’attività di ristorazione è il punto d’arrivo di un progetto molto più ampio, che coinvolge la disabilità, l’autoproduzione - da un orto interno e da aziende locali e cooperative sociali - e il recupero creativo - anche l’arredo del ristorante è realizzato grazie alla creatività e all’impegno dei giovani con disabilità fisica e mentale che compongono lo staff ” - come potrete immaginare, il risultato è stupefacente oltre che estremamente gratificante. La collaborazione con Roberta D’Emidio ed Emidio Mandozzi conferma della perfetta sinergia che può sussistere tra una serie di ottime idee che, in alcune fortuite circostanze, si trovino a convivere e a sostenersi a vicenda. Un’ulteriore forma di interazione virtuosa tra le aziende e il contesto che le ospita può, a mio avviso, essere rappresentata dagli importanti fenomeni di condivisione di conoscenze e informazioni rappresentati dai progetti di PCTO – alternanza scuola/lavoro per gli alunni delle scuole superiori – e dalle forme di tirocinio previste per gli studenti universitari: ospitare i ragazzi che abbiano la necessità di sperimentare, spesso per la prima volta nella loro vita, cosa significhi davvero lavorare in un vigneto o in una cantina e trasmettere loro parte del sapere maturato in decenni di ricerca e esperienza costituisce un impagabile momento di confronto, nonché una occasione di riflessione e di arricchimento per entrambe le parti coinvolte. Del resto, ho sempre pensato che la chiave per preservare un territorio non sia lasciarlo incolto e disabitato, ma sia piuttosto la presenza di un insediamento umano, associato all’attività agricola, ordinato, equilibrato e in armonia con se stesso e con la terra che lo ospita; è per questo, del resto, che giornalisti e scrittori più autorevoli di me hanno spesso definito come “presidi” le comunità di antica saggezza in grado di colonizzare anche ambienti dalle condizioni di coltivazione estreme, e di dare loro la propria incisiva impronta; aggiungerei che, affinché equilibrio e armonia siano la “cifra” distintiva di ogni comunità umana e agricola, alla sapienza del passato sarà opportuno associare l’ingegno vivo e libero, in grado di scoprire e attuare soluzioni nuove e sempre più efficaci, affinché lo sviluppo sostenibile, nelle sue diverse accezioni e implicazioni, sia davvero possibile. I vini sono il riflesso fedele del loro territorio, e le realtà imprenditoriali ne sono la linfa vitale, il fulcro, l’anima pulsante, o perlomeno, potrebbero e dovrebbero esserlo; è di grande vantaggio per tutti quando un imprenditore si identifica con la propria comunità di appartenenza, la aiuta a crescere e ad evolversi.