Tradizione e innovazione, oltre il luogo comune. Stevie Kim Parliamo di tradizione, concetto talmente radicato nella cultura vinicola del Belpaese da essere onnipresente nelle descrizioni che le cantine italiane fanno di sé. La tradizione è ancora vista – in maniera più o meno esplicita – come contrapposta all’innovazione. Paradossalmente, ne è una dimostrazione il fatto che diverse aziende scelgano oggi di dichiarare il proprio impegno nell’unire tradizione e innovazione, due termini che non verrebbero comunicati uno accanto all’altro in questo modo se non si pensasse di creare una sorta di effetto sorpresa. E se invece l’innovazione fosse non soltanto rapportabile, ma addirittura essenziale per la tradizione? Hugh Johnson, autorità e pietra miliare della tradizione in fatto di letteratura sul vino, non a caso è nel gotha degli autori enologici più venduti al mondo. Classe 1939, scrive di vino e dintorni dal 1960. I suoi libri, attualmente tradotti in oltre dieci lingue, hanno formato e ispirato generazioni di studiosi ed enofili a livello mondiale. Vorrei prendere spunto dal suo contributo al mondo del vino e dalla sua intervista per Italian Wine Podcast – episodio n. 1253 – per riflettere su due particolari percorsi d’innovazione e tradizione nel vino: quello di Hugh Johnson, che per diffondere la tradizione ne innova la comunicazione, e quello della tradizione stessa, che per sopravvivere in un mondo del vino in trasformazione deve innovare i propri strumenti e i relativi contesti di applicazione. Per ottenere ad esempio un vino con caratteristiche tradizionali laddove tutto il contesto – dalle esigenze tecniche e di mercato al clima – è cambiato, l’innovazione risulta essenziale. Quando Hugh ha cominciato a scriverne, il mondo del vino era molto diverso rispetto a quello che noi conosciamo. Era innanzitutto decisamente più piccolo: zone vinicole come California, Sud America o Australia hanno fatto davvero il proprio ingresso nel grande quadro solo negli ultimi cinquant’anni; la prima edizione del World Atlas of Wine di Hugh, pubblicata nel 1971, non includeva una mappa della Nuova Zelanda. Quello del vino era un ambito esclusivo che i più nemmeno conoscevano, se non superficialmente. Il prezioso patrimonio della tradizione era insomma confinato a una ristretta nicchia di pubblico. Uno dei primi obiettivi di Hugh Johnson è stato dunque “volgarizzare” il vino e le sue tradizioni, ossia far guadagnare loro un maggior grado di penetrazione nel tessuto sociale. Per farlo, si è resa necessaria una decisa innovazione nei metodi di comunicazione: allontanandosi dall’asciuttezza dell’allora consueta monografia accademica, la scrittura di Hugh mescola approfonditi insegnamenti con storie d’avventura, arte, cultura e una buona dose di vicende autobiografiche. Il suo stile aiuta i lettori ad apprezzare le tradizioni vinicole perché da un lato le descrive con un linguaggio semplice e accessibile, dall’altro pone al cuore del discorso il fatto che il vino è molto più di un prodotto da bere. Liberata dal confinamento, la tradizione deve poi sopravvivere al tempo. A un certo punto della propria carriera, Hugh decide di rinunciare alla scrittura di libri inediti per concentrarsi sul dare nuova vita a quelli vecchi. I contenuti significativi meritano di essere riportati a chi se li è persi la prima volta. Se il loro valore non cambia, lo fanno però il pubblico e, di conseguenza, gli standard di comunicazione: affinché storia e tradizione non vadano svalutate o addirittura perse, qualcuno deve rivedere, innovare e riproporre le pubblicazioni che le tramandano. Credo che un processo simile interessi le tradizioni del vino stesse; tradizioni che, per definizione, nascono nel passato. In un mondo del vino profondamente differente da com’era allora e in costante trasformazione, com’è possibile farne ancora vivere le tradizioni senza innovarne gli strumenti? Tentare di rispondere qui in modo esauriente porterebbe a immeritate banalizzazioni. Possiamo però riconoscere che, per ottenere ad esempio un vino con caratteristiche tradizionali laddove tutto il contesto - dalle esigenze tecniche e di mercato al clima - è cambiato, l’innovazione sia essenziale. Proprio come gli oggetti della comunicazione, ogni obiettivo enologico necessita di metodi e mezzi al passo con i tempi e coerenti con la situazione per essere perseguito efficacemente. A proposito di cambio climatico, Hugh Johnson porta un esempio semplice ma eloquente: . “Le regioni vinicole si sono sempre mosse lungo un margine dove ottenere uva al giusto livello di maturazione era una possibilità, mai una certezza. Questi margini ora si stanno spostando, e i viticoltori più illuminati stanno prendendo provvedimenti […]. Un esempio affascinante è quello di Miguel Torres, in Catalogna. È il più attento a questi problemi e sta migrando la sua grande produzione dal caldo della sua regione tradizionale, non lontana da Barcellona, a zone più fresche. In particolare, sta andando a nord verso i Pirenei, dove l’altitudine è maggiore, e lì sta piantando e sperimentando. Altri produttori stanno seguendo il suo esempio” Il compositore Gustav Mahler disse che la tradizione è custodire il fuoco, non adorarne le ceneri: l’innovazione procura la legna da ardere e l’ossigeno necessari per farla respirare e illuminare chi le si avvicina. Stevie’s book corner • Hugh Johnson, From Noah to Now – The Story of Wine, Académie du Vin Library, 2020 Il titolo di questo libro promette story e non history, un racconto del vino più che la sua cronistoria. In questo sta uno dei grandi punti di forza di Hugh Johnson come divulgatore di cultura enologica: come dice lui stesso nell’episodio n. 1253 di Italian Wine Podcast, “Sento spesso dire ‘questo libro elimina finalmente il misticismo del vino’, come se fosse qualcosa che ne intralcia la comunicazione... In realtà, è proprio quello che piace alla gente! Io sono non per eliminare il misticismo, ma per spiegarlo con chiarezza”. • Hugh Johnson, Jancis Robinson, The World Atlas of Wine, Mitchell Beazley - Octopus Publishing Group, 2013 Tra le guide più autorevoli alla geografia del vino mai prodotte, questo atlante racchiude cartine geografiche dettagliate e informazioni approfondite su vigneti, vitigni e relative aree geografiche di coltivazione di tutto il mondo. La prima edizione dell’atlante uscì nel 1971; abbiamo qui preso come riferimento la settima edizione, ma è disponibile in commercio l’ottava, edita nel 2019. Abbiamo dunque di fronte otto edizioni in quarantotto anni, una ogni sei, che descrivono non solo il mondo del vino, ma anche il suo ritmo di evoluzione.