Bicch . ieri e oggi Riccardo Antonelli “Ad ogni birra, il suo bicchiere tradizionale!”, un paradigma di facile intuizione che abilmente ci introduce in un argomento vastissimo. La storia delle birre è talmente ampia e articolata che con grande naturalezza nei secoli sono nate coppe, calici, boccali, bicchieri, piuttosto che corni o tazze, tutti con lo scopo di consumare la nostra amata cerevisia. Un copioso pullulare di “cocci e vetri” di differenti stili e tipologie, spesso bizzarri, si è poi via via orientato verso design sempre più ragionati, in funzione delle diverse categorie brassicole che li vedeva attori non-protagonisti. In questa breve raccolta non avremo certamente modo di citare e ripercorrere tutte le tipologie di birra e i relativi calici storici, ma osserveremo assieme quelle che sono le forme generiche di alcuni dei principali, spiegandone le caratteristiche e i motivi che hanno condotto a immaginare determinati lineamenti. Di base dobbiamo immaginare che un calice nasce con l’obiettivo di esaltare le caratteristiche principali di una determinata birra a prescindere da quale essa sia, poiché tra le finalità di alcuni stili potremmo tranquillamente talvolta scovarvi “il largo consumo” (si pensi ai classici boccali). La lucentezza e la trasparenza di un bicchiere lo rendono adatto per osservare le tonalità e le sfumature della nostra birra, così come ci dà visione della diversa trama e stratificazione della compattezza della schiuma. Non ultimo, via via che procediamo al consumo, ci consente di osservare i caratteristici (ove presenti) merletti di Bruxelles, le piacevoli orlature disegnate dalla schiuma sui bordi del bicchiere che ci danno una lettura indiretta dell’adesività della stessa e quindi della sua buona tenuta. Ovviamente, per poter esaltare al meglio una birra, il bicchiere dev’essere opportunamente trattato poco prima del servizio mediante lavaggi e risciacqui ripetuti. Certamente la forma del bicchiere è decisiva, così come del resto una corretta tecnica di servizio da modulare di volta in volta. Sì, perché calici dalle forme più diverse sono nati adottando contestualmente una spillatura specifica studiata ad hoc; obiettivo unico: impreziosire e valorizzare al meglio l’elaborato lavoro svolto dal Mastro Birraio. Laddove una birra si presentava con aromi delicati e con una modesta struttura, il bicchiere veniva pensato per non vanificare questa tenue ed elegante caratteristica. Con queste “generiche” birre, facemmo la conoscenza di calici stretti e alti, tendenti alla forma del cilindro molto stretto, la quale consentiva la creazione di una colonna di schiuma molto stabile e una verticalità degli aromi netta, che confluivano in un’unica e ristretta zona di olfazione (flûte da pilsner, Stange…). Di base dobbiamo immaginare che un calice nasce con l’obiettivo di esaltare le caratteristiche principali di una determinata birra a prescindere da quale essa sia. Sappiamo già che, dove presente, la schiuma è fondamentale per preservare le caratteristiche organolettiche delle birre, e la sua stabilità e durabilità nel calice in birre delicate è ovviamente un obiettivo fondamentale da perseguire. Lo stesso criterio di “canalizzazione degli aromi” lo ritrovammo quindi in tutti quei bicchieri di forma tronco-conica (con la parte stretta verso l’alto). Il moderno calice ISO per il vino, ad esempio, è uno di questi. Oggi qui ritroviamo il criterio appena descritto, ma al tempo stesso permettiamo un’apertura maggiore alla base permettendo al degustatore di analizzare trasversalmente ogni tipologia di birra (TeKu™; tulipano…) o di apprezzare comunque molto bene tutte le birre che sono incredibilmente ricche di complessità olfattiva (Belgian ale, Barley wine…). Al contrario un tronco di cono rovesciato, come iniziammo a vedere nella classica pinta americana o inglese, con la zona di massima apertura collocata in alto, provocava una grande “dispersione” degli aromi e, benché questa caratteristica non fosse desiderabile in quasi nessuna tipologia di birra, esistevano già all’epoca esempi di stili che “potevano” permetterselo, per così dire. La forza e l’impatto degli aromi dei luppoli presenti in una English IPA, per esempio, era talmente importante da consentire comunque di apprezzare a pieno le caratteristiche delle birre in questione. Come accennato pocanzi però, ogni bicchiere nasceva – e nasce – per esaltare le particolarità principali di una birra. Se questa relazione fosse vera, l’affermazione fatta poco fa rischierebbe di vacillare di fronte al design adottato in calici come la Pinta americana (conosciuta anche col nome di Boston o Shaker). Ebbene, in queste situazioni, il requisito principale che si voleva esaltare probabilmente non era affatto la perfetta celebrazione delle caratteristiche organolettiche delle birre, quanto piuttosto facilitare la presa del consumatore, stuzzicandone l’istintiva grande e ripetuta bevuta. La caratteristica più importante di questi bicchieri, infatti, era la maneggevolezza, sia per il consumatore finale, sia per il publican (non dimentichiamoci che ci troviamo di fronte a un tipo di bicchiere particolarmente resistente e che, soprattutto nella frenetica vita lavorativa del pub consentiva una grandissima semplificazione del lavoro, ovvero la possibilità di impilare i bicchieri l’uno sull’altro per la conservazione in teca o per il ritiro dei vuoti dai tavoli). Maneggevolezza e praticità volta al largo consumo ne fecero in breve alcuni tra i bicchieri più diffusi in assoluto, caratteristiche a ben guardare, in effetti, non banali. Il “largo consumo” è chiaramente tra le motivazioni più importanti di quello che probabilmente è il bicchiere più celebre e iconico di tutti, se pensiamo all’universo birra: il Boccale Tedesco. Nati per essere resistenti nei brindisi più vigorosi e per celebrare ale e lager a grandi sorsate, ne nacquero di ogni materiale, dal vetro alla ceramica, dal legno al metallo, andando lentamente a delineare una bellissima tradizione bavarese: quella del boccale personale e personalizzato, da lasciare all’interno della birreria preferita. Grandi le lavorazioni artigianali che spopolarono per decorare e abbellire l’esterno dei propri boccali di famiglia che poi avrebbero ereditato i figli, creando un brassicolo fil rouge padre-figlio semplicemente emozionante. Ricordiamo, inoltre, che questi furono i primi tipici bicchieri da Oktoberfest (tutt’oggi impiegati) e che pertanto servivano a celebrare storicamente quella che era stata l’ultima birra prodotta prima dell’estate (le Märzen), blendata con quelle appena prodotte grazie al ritorno di temperature più consone alla fermentazione. Grandi volumi, grandi prese, grande resistenza per grandi feste. Per quanto questa sia una veloce diapositiva sulle bellissime tradizioni legate al mondo dei calici da birra, non possiamo concluderla senza citare una delle più appariscenti: il Graal, la Coppa con stelo. Nata per sottolineare l’intima connessione tra i monasteri belgi e le birre da loro prodotte, riprendeva il celebre disegno della “divin coppa”. Il calice a Graal assumeva tuttavia anche una sua logica degustativa in virtù dell’importanza strutturale delle birre che vi erano servite. Pensate per dare sostentamento ai monaci, le birre dei monasteri erano infatti ricche in corpo, alcol, intensità e persistenza. Potenti, erano certamente adatte a essere servite in ampi calici in grado di far liberare una grande varietà di aromi, ma la degustazione in coppe visivamente così sacrali, ne riconduceva mestamente il consumo al giusto significato, senza eccessi o deviazioni indesiderate. Tanti i motivi, molteplici i design. Le coppe, i calici, i boccali hanno segnato trasversalmente la storia delle birre andando a sottolineare l’iconografia di una bevanda popolare dal successo mondiale. Un viaggio in continua evoluzione, che non vediamo l’ora di degustare. : Toccalmatto Birrificio : Quintessenza Birra : Golden Quadrupel Stile : 12% vol. Grado Alcolico : Tulipano basso (Ballon) Bicchiere utilizzato : Fidenza (PR) Zona di produzione : Birra dal manto dorato vagamente velato, si presenta senza schiuma. Al naso libera potente un bouquet variegato di noce moscata, liquirizia, incenso e melassa su un fondo di dolce e profondamente speziato. All’assaggio il sorso è pieno, secco e avvolgente, giocato su una chiusura amaricante dal ricordo tostato del caffè. Scheda di degustazione : Achel Birrificio : Bruin Bier Birra : Dubbel Stile : 8% vol. Grado Alcolico : Coppa a stelo (Graal) o Tulipano Alto Bicchiere utilizzato : Achel (Belgio) Zona di produzione : Tonaca di frate per questa birra ex trappista, si fa apprezzare subito per la bellissima e copiosa schiuma marrone che ci accompagna per tutta la degustazione. Toni caramello, datteri essiccati, fichi secchi e mou al naso giocano dandosi via via il cambio con note speziate piccanti e dolci. Pieno il sorso, non dimentica la freschezza e di vivace bollicina, chiude in percezioni amaricanti simil fondente 60%. Scheda di degustazione : Galway Bay Brewery Birrificio : Ostara Irish Dry Stout Birra : Dry Stout Stile : 5% vol. Grado Alcolico : Pinta imperiale Irlandese Bicchiere utilizzato : Galway (Irlanda) Zona di produzione : Abito nero impenetrabile per questa stout irlandese che sfoggia una cremosissima schiuma “a cappuccino”. Naso intrigante sugli aromi cioccolato, carruba a tratti vegetale e “autunnale”. All’assaggio il sorso è pieno, secco e invitante grazie al contributo di luppoli, che caratterizzano gustativamente e aromaticamente una birra complessa, dalla chiusura timidamente torbata. Scheda di degustazione