Olio. Meno passato e più EVO. Luigi Caricato La tradizione, cosa è mai la tradizione? Quando si ha a che fare con l’olivo e l’olio, c’è sempre questa parola magica che viene invocata a ogni occasione utile, soprattutto quando si è a corto di argomenti e manca una visione del futuro. La parola tradizione tranquillizza, e per certi versi anestetizza pure le menti. Chi ha paura del futuro, e dei rischi che portano con sé le novità, pronuncia sempre questo vocabolo, perché sa di trovare il giusto conforto. Si dice “tradizione” mettendoci la necessaria enfasi, in modo da rendere l’effetto più esaustivo e seducente, anche perché la tradizione pare sia risolutrice di ogni problema, efficace ogni qual volta vi sia da superare ogni incertezza sul da farsi. Non vi è convegno dedicato all’olivicoltura e all’elaiotecnica in cui non si invochi la tradizione. Gli stessi agricoltori si trincerano dietro espressioni del tipo “si è sempre fatto così, non cambio idea”. A tal riguardo, ricordate il detto “Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia, e non sa quel che trova”? Lo abbiamo sentito tante volte, ma non è un proverbio, è addirittura il titolo di una commedia in tre atti di Giuseppe Giacosa, del 1870. Il concetto è chiaro, e fotografa alla perfezione il senso della parola tradizione, perlomeno ci fa intendere tutta la paura nell’andare oltre la tradizione, nel superare quanto già dato per acquisito. Paura di dare corpo e luogo a una nuova tradizione. In sostanza, non è la tradizione in sé che è discutibile, quanto invece l’idea di replicare un modello senza riattualizzarlo, senza rimodularlo e adattarlo, assumendosi, nel caso, il rischio di scardinare la tradizione, quando e se necessario, pur di andare oltre e migliorare, perfezionando o inventando qualcosa di nuovo, creando altri modelli, altre visioni. La tradizione porta sempre con sé qualcosa di prezioso, ma non ci si può fossilizzare, altrimenti la si svuota e impoverisce: nelle varie repliche si perde il senso originario stesso della tradizione. Ciascuno ha il compito di creare una nuova tradizione, così come le generazioni future hanno il dovere di andare oltre quel che abbiamo pensato e realizzato. La tradizione è come un tapis roulant, è sempre in movimento. Nel momento in cui ci si ferma, tutto quel che di buono c’è nella tradizione si “staticizza” diventando elemento museale, bello da vedere ma inutile e non più funzionale. La tradizione porta sempre con sé qualcosa di prezioso, ma non ci si può fossilizzare, altrimenti la si svuota e impoverisce: nelle varie repliche si perde il senso originario stesso della tradizione. Ora, queste mie riflessioni generali sono necessarie, tanto più se proiettate in un contesto come quello olivicolo e oleario, per natura restio alle novità. Alcuni esempi? Sin dall’antichità era ben chiaro che la vita dell’olio fosse breve, perché la materia grassa si ossida in fretta ed è destinata a deteriorarsi. Eppure, per secoli le olive sono state trattate senza alcun riguardo, facendole perfino disidratare, con l’illusione di poter estrarre più olio. L’aspetto paradossale, è che sono state sempre disponibili, nell’arco di tanti secoli, le raccomandazioni contenute in numerosi trattati scientifici, dove si comunicavano le tecniche per ridurre ed evitare, per quanto possibile, gli stress ossidativi. La stessa Unione europea ha dovuto insistere con i diversi Paesi produttori, finanziando per decenni una serie di utilissimi programmi finalizzati proprio al miglioramento qualitativo degli oli, ribadendo ciò che è risaputo ma che non veniva osservato. Quel che di fatto è strano, in tutto ciò, è che ci sia stata una forte resistenza al cambiamento di prospettiva. “Si è sempre fatto così, perché cambiare”? Non è un caso che già solo alcuni anni fa in diversi territori si raccogliessero le olive perfino in aprile-maggio, quando erano ormai mature oltre il limite, ricavando un olio definito “biancardo”, per via del colore lattiginoso, ritenuto tuttavia di gran pregio, nonostante fosse oggettivamente scadente e rancido. Eppure, questo frutto della tradizione, oggi ormai non più prodotto, ha accompagnato molte generazioni. In altri luoghi si produceva il cosiddetto “affiorato”, che è quello che appunto affiorava in superficie, buono forse in passato, in mancanza di soluzioni alternative, ma era buono solo nell’immaginario, perché proprio buono non lo poteva essere, se non per un lasso di tempo alquanto breve e assai ristretto. L’introduzione di nuove tecnologie - almeno fin quando vi è la fortuna di poter apportare innovazioni - non hanno mai guadagnato l’immediato e meritato consenso. L’accettazione comune delle novità giunge sempre tardiva e mai priva di difficoltà e ostilità. Solo i pionieri - pochi, a dire il vero - hanno lo sguardo proiettato in avanti. Lo stesso atteggiamento è valso per la filtrazione dell’olio, per lungo tempo non da tutti accettata. I detrattori sostenevano che si privasse l’olio dei suoi elementi costitutivi della qualità. Invece filtrare l’olio è fondamentale: significa pulirlo, allungargli la vita. Ogni giorno poniamo attenzione alla pulizia del nostro corpo, per stare bene con noi stessi e con gli altri: puliti è bello e sano. Lo stesso vale per l’olio: filtrarlo è utile per eliminare le particelle d’acqua e i residui di buccia di oliva in sospensione, responsabili dell’incombente ossidazione e dell’inevitabile irrancidimento. Filtrare equivale a rendere l’olio più longevo e sensorialmente migliore. Può sembrare incredibile, ma c’è stato un netto rifiuto, con atteggiamenti perfino di aperta ostilità, anche alla sola idea di accogliere nuovi metodi di estrazione. Il metodo cosiddetto “continuo”, per esempio, ha avuto tanti detrattori, alcuni decenni fa. Non si accettava la nuova tecnologia rispetto al tradizionale metodo delle macine in pietra e presse. Erano gli stessi olivicoltori a rifiutare addirittura l’olio estratto, perché diverso. E oggi invece vengono impiegati perfino gli ultrasuoni nel processo di estrazione. Siamo anzi in ritardo, per millenni abbiamo estratto l’olio nello stesso modo, perfezionando e rendendo migliori le tecniche estrattive, ma non c’è ancora stata una vera rivoluzione copernicana nel modo di ricavare l’olio dalle olive. Si attendono nuovi inventori. Insomma, a ben osservare in retrospettiva la tradizione, resta viva sempre la paura verso ciò che non si conosce. La stessa ansia la si prova oggi verso l’innovazione agronomica. Guai a puntare a un’olivicoltura ad alta densità: si viene accolti da male parole. Eppure, il tempo scorre e tutto viene alla fine accettato e condiviso universalmente, ma solo dopo molto, ma molto tempo, e dopo tante inutili battaglie. La tradizione diventa una sorta di vincolo, anche mentale, oltre che ideologico. Chiudo con una storia assurda e grottesca: nel Salento la Xylella ha distrutto oltre 20 milioni di olivi. Ormai secchi, sono corpi morti da eliminare. Ebbene, la Soprintendenza ai beni culturali e ambientali di Lecce per anni ha contrastato la rigenerazione olivicola delle aree colpite, impedendo da un lato di eradicare gli alberi (per non modificare il paesaggio!), dall’altro imponendo - successivamente, e senza avere alcuna competenza agronomica in materia - perfino l’obbligo di reimpiantare soltanto un analogo numero di alberi rispetto a quelli abbattuti, quindi con sesti di impianto vetusti e antieconomici, di 10 metri per 10, così come lo erano in passato, in altri contesti produttivi, ignorando di fatto un nuovo corso per l’olivicoltura salentina già martoriata dal batterio Xylella. L’ostilità verso ciò che non è (secondo il proprio sguardo) la tradizione, comporta l’annientamento stesso di una tradizione olivicola e olearia. C’è un attaccamento così rigido a difesa della tradizione da impedire alla tradizione di evolversi e creare nuova tradizione. Succede, purtroppo, perché non tutti sono consapevoli del fatto che la vera tradizione non è la piatta ripetizione del passato - il quale pure ci insegna qualcosa, a partire dai tanti errori che stoltamente si ripetono - ma la tradizione, quella che davvero conta, e alla quale dobbiamo tendere, è la tradizione di domani. Questa tradizione non ci viene data miracolosamente dall’alto, ma si costruisce giorno dopo giorno attraverso le idee in costante movimento.