LO SVILUPPO DELLE BOLLICINE
L’insieme delle variegate bollicine che costituiscono uno degli aspetti più attraenti e gioiosi nella degustazione di un vino spumante non è altro
che il frutto di fenomeni fisici e di rapporti tra le diverse molecole; ancor più singolare è che questo fascino si origini dalle impurità presenti
nel calice, estranee al vino stesso.
Se buona parte dell’anidride carbonica trova una strada diretta attraverso la superficie per liberarsi dalla frazione liquida, una quantità
inferiore lo fa attraverso la formazione delle bollicine.
Perché questo avvenga, le invisibili molecole di gas devono unirsi tra loro e creare una via di risalita attraverso le molecole del vino, che
rappresentano una barriera energetica contraria. Significa che, per diventare bollicine, le molecole di CO2 devono acquisire una
determinata dimensione.
Può accadere che nel servizio del vino si creino sulle pareti del calice minuscole sacche di gas di grandezza sufficiente per superare questa
barriera, originando bollicine piuttosto grossolane, che si liberano singolarmente dalle stesse pareti interne. Gli studiosi descrivono questi
fenomeni come centri di nucleazione (punti di sviluppo delle bollicine, identificabili visivamente) eterogenei. Il degustatore non ne deve tener
conto, focalizzando invece l’attenzione sulle bollicine che formano delle file continue e descrivendo il risultato della
nucleazione omogenea, che si origina dall’unione di più molecole di gas, necessaria per raggiungere la dimensione minima
indispensabile a creare la bollicina direttamente nel liquido.
Favoriscono quest’unione le impurità attaccate alla superficie del calice, perlopiù fibre di cellulosa, oblunghe e cave, provenienti dalla carta o
stoffa dei panni usati per l’asciugatura, o dal pulviscolo sospeso nell’aria. All’interno di queste fibre si trovano particelle cave, definite lume,
dalla conformazione particolare: non si bagnano completamente e quindi possono trattenere minime quantità d’aria anche se immerse nel liquido. Le
molecole di diossido di carbonio tendono a trasferirsi in queste particelle cave, facendo aumentare via via la dimensione delle sacche d’aria, fino
a che una bollicina fuoriesce da una o da entrambe le estremità. Una piccola sacca di gas rimane comunque intrappolata, continuando a favorire la
generazione di altre bollicine. Per l’azione di differenti forze di attrazione e coesione le successive bollicine entrano nella scia creata dal
passaggio delle precedenti, seguendone la strada e avanzando verso l’alto allineate in maniera più o meno ordinata. In tal modo formano una sorta di
“treno” di bollicine, definito catenella. Durante quest’ascesa la bollicina, oltre ad attirare altra anidride carbonica, veicola
molecole di composti diversi, per esempio le molecole odorose presenti nel vino. Giunta sulla superficie in tempi rapidissimi, dapprima galleggia
semisommersa e successivamente, quando il suo involucro si assottiglia, finisce con l’esplodere.
Immaginiamo l’effetto provocato da una goccia che cade sulla superficie libera di un contenitore pieno di acqua: prima genera una sorta di cavità e,
per reazione delle spinte che si creano e dei diversi gradienti di pressione, origina uno schizzo d’acqua. Tale schizzo, chiamato getto liquido (o
più propriamente vaporoso), si forma anche per l’esplosione della bollicina e contribuisce a enfatizzare le percezioni olfattive e gusto-olfattive.
In alcuni calici dedicati alla degustazione dei vini spumanti si creano appositamente alcune incisioni sul fondo del bevante per favorire lo
sviluppo delle bollicine, anche se il risultato può apparire artificiale e meno affascinante.